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Geologia di un padre di Valerio Magrelli (2014) – Recensione

Magrelli in Geologia di un padre racconta la relazione con suo padre, riportando appunti e ricordi accumulati negli ultimi 10 anni. 

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 16 Feb. 2016

Geologia di un padre è il ritratto di una relazione padre/figlio, disegnato in stile puntillista, attraverso frammenti di memoria consegnati a foglietti di appunti raccolti in un decennio e poi unificati in un’opera che è omaggio e congedo allo stesso tempo.

Uno scrittore appartenente a una generazione ben conscia della psicoanalisi decide di raccontare il padre. Non un padre ma il proprio padre. Uno sciame di Edipi, Saturni, Creonti si affaccia quindi alla mente del potenziale lettore evocando complessi e ambivalenze, detti e non detti. Per la verità nel libro di Valerio Magrelli non si troverà tutto questo: l’autore compie uno sforzo palese di espressione diretta, priva di infingimenti e di narcisismi. Se una parola chiave si deve cercare nel vocabolario psicologico essa è identificazione.

Il tema di fondo sotteso da Geologia di un padre è infatti l’interrogativo su quanto ci sia nel figlio del proprio genitore (e quanto, di seguito, rimarrà di proprio nella discendenza genetica). Il simbolo concreto di questo interrogativo si manifesta già sulla copertina del libro, dove figura un disegno di Giacinto Magrelli (padre di Valerio) rielaborato graficamente da Zest (figlio di Valerio) attraverso un’inversione cromatica tra bianco e nero rispetto all’originale.

Nella costruzione del testo, Valerio Magrelli ricorre a frammenti di memoria, raccolti nel corso di dieci anni su foglietti sparsi di appunti progressivamente accumulati. Ne risulta infine un ritratto organizzato alla stregua di un saggio scritto da Walter Benjamin: tessere di mosaico si intersecano e si innestano l’una nell’altra, fondendosi poi con una trama intermittente di riferimenti letterari. E come per il Benjamin di Senso unico, le citazioni sono [blockquote style=”1″]come predoni armati che balzano fuori all’improvviso e strappano l’assenso al lettore ozioso.[/blockquote]

L’incastro si incastra ricorsivamente, allorché si osserva che la prefazione si compone di disegni architettonici di Giacinto Magrelli; che l’appendice consta di poesie a lui dedicate dal figlio; infine che Geologia di un padre [blockquote style=”1″] costituisce l’ultimo pannello di una serie avviata nel 2003 da Nel condominio di carne[/blockquote] e proseguita con La vicevita e Addio al calcio. Di tali opere, Geologia di un padre [blockquote style=”1″]recupera brani e brandelli […] riportandoli in circolo, innestandoli su un nuovo tronco narrativo.[/blockquote]

Giacinto e Valerio apparentemente non potrebbero essere più diversi: ingegnere dalla mano felice, eppure uomo assai poco concreto e versato nei rapporti economici il primo; uomo destinato alle lettere, eppure piuttosto incline alla soluzione di problemi pratici il secondo. L’accordo (anche in senso musicale) tra i due si rende possibile attraverso la pratica del bello: le passeggiate nelle quali il padre porta il figlio a vedere e apprezzare Borromini in una Roma ancora non del tutto annichilita dal traffico costituiscono forse il ricordo fusionale più intenso. Le coordinate spazio/temporali mutano e mostrano un rapporto padre/figlio declinato in tutte le sue possibili mutazioni. Il figlio non ha paura di mostrarsi ragazzino che ammira le imprese del genitore e la sua straordinaria capacità di non piegarsi e non compromettersi; come non dissimula quel senso di indulgente superiorità, quel paradossale cambiamento di ruolo che si genera di fronte all’invecchiamento. Allora le debolezze del padre diventano icone dell’affetto filiale. Il modo di guardare lo stesso quadro cambia a seconda di come i medesimi tratti vengono guardati: quando Franz Kline dava il titolo a un’opera a partire dagli spazi bianchi e non dalle pennellate, in qualche modo, esprimeva il medesimo concetto.

Geologia di un padre parte dalla fine, o meglio, oltre la fine. Arriva un momento nel quale l’illusione di aver seppellito “qualcuno” viene meno. Quando la bara è stata chiusa, il defunto aveva ancora un aspetto umano. Quando viene tumulata, l’interno non è più visibile e rimane il ricordo di quando il morto vi era stato posto. L’esterno è curato: la bara è una sorta di mobile. Viene scelta come se dovesse conservarsi a lungo e in vista; proteggere e accompagnare un’entità individuale e individuabile. L’abitudine italiana di foderare di zinco l’interno delle bare ribadisce quest’illusione. Quando passano gli anni, però, ciò che rimane è la resa, una certa quantità di materiale di origine organica che non ha più forma. L’esperienza di vedere la resa di una persona che ha costituito parte della propria famiglia è probabilmente quanto di più vicino vi sia alla percezione diretta della propria mortalità.

Accanto agli aspetti tragici, però, l’esperienza offre anche una dimensione grottesca: in Geologia di un padre Magrelli racconta icasticamente cosa avviene quando l’umidità invade una tomba di famiglia e diviene necessario effettuare dei lavori per recuperare quei corpi trasformati in rese. L’aggettivo che egli usa per descrivere i resti è “torrefatti”. Umanità divenuta infine fondi di caffè. Ironia e lutto. Pudore e curiosità per anticipare il risultato di un evento rinviabile ma comunque atteso.

La meditazione sulla morte è anche meditazione su presenza e assenza. La morte dell’uno, in una coppia, è la morte della coppia. La separazione è separazione per ambedue. Come l’altro non è più per me, io non sono più per l’altro. In questo modo la morte stessa diventa l’espressione di un paradosso. Un paradosso simile, del resto, era adombrato dalle parole di Epicuro: quando ci sono io, la morte non c’è; quando c’è la morte non ci sono io; non v’è dunque ragione di temerla.

L’atmosfera del libro vira spesso dal sottofondo cupo alla policroma allegria del divertissement. Uno dei sintomi micronevrotici confessati dall’autore è la propria a lungo perdurante incapacità di visitare il paese d’origine del padre. Finché, dopo avere a lungo accumulato materiale informativo in gran copia, Valerio Magrelli giunge infine a Pofi, patria del genitore, pervaso dall’emozione di un Freud in visita a Roma. Salvo fuggirne subito colpito, piuttosto che dall’estasi delle proprie radici, dal disagio di fronte agli infissi di alluminio che vi vede trionfare sulle facciate delle case, epifania della perdizione estetica.

Si può segnalare anche che Geologia di un padre contiene una delle più riuscite allitterazioni della letteratura italiana recente. La si trova nella descrizione di un episodio singolare, quando alla notturna esperienza di un’invasione di blatte nella casa paterna segue un’improvvisata disinfestazione, che si conclude accumulando in un bustone della spazzatura una significativa quantità di insetti neri:

[blockquote style=”1″]un sacco croccante di orrori ridicoli.[/blockquote]

 

 

Valerio Magrelli parla di Geologia di un Padre

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Magrelli, V. (2014). Geologia di un padre. Einaudi: Torino.
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