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Il destino è un tassista abusivo di Luca Manzi (2012) – Letteratura e Psicologia

Il libro esce nel 2012 e descrive con situazioni spiazzanti e imprevedibili e in chiave comica e senza retorica la generazione dei precari.  

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 02 Feb. 2016

Aggiornato il 03 Feb. 2016 18:37

Uscito quasi in sordina nel 2012, il romanzo d’esordio di Luca Manzi merita di essere ri-scoperto per moltissimi ottimi motivi. Il primo è ovviamente la vis comica. Straniante, spiazzante, fuori dagli schemi. Sorge da situazioni e momenti imprevedibili.

C’è poco da dire: ad avviso del recensore questo è il più grande romanzo umoristico italiano degli ultimi anni.

Come si fa a riconoscere un capolavoro dell’umorismo da un semplice libro divertente? Il semplice libro divertente, dopo avervi strappato qualche risata (magari anche tante risate), viene infilato nella libreria accanto ai romanzi di Montalbano e a quelli di Montalbán, a prendere polvere per l’eternità. Il capolavoro rimane in vista e a portata di mano, perché ogni tanto vi torna la voglia di rileggere quel passo in cui succede quella certa cosa. Continua a piacervi e a procurarvi piacere ogni volta che l’occhio torna a scorrere le battute più brillanti. Pochissime volte si ama un libro umoristico fino a questo punto. Per qualcuno può trattarsi dei racconti di Woody Allen, per un altro la Guida galattica per autostoppisti, per altri ancora… ecco, sì, proprio quello che avete in mente. Il destino è un tassista abusivo è uno di questi capolavori.

Uscito quasi in sordina nel 2012, il romanzo d’esordio di Luca Manzi merita di essere ri-scoperto per moltissimi ottimi motivi. Il primo è ovviamente la vis comica. Straniante, spiazzante, fuori dagli schemi. Sorge da situazioni e momenti imprevedibili. La descrizione dello sciogliersi di un frollino nel latte, la rievocazione del concerto BWV 1052 di Bach, la crudeltà di un boss balcanico, una cupola di Borromini, un seminario di sociologia: tutto questo può nascondere un’esplosione di comicità folle e amara. Perché il segreto del Destino è anche nella capacità di rendere la risata un atto esistenzialista (e qualche volta situazionista).

Un secondo motivo di interesse del romanzo consiste nella sua capacità di descrivere l’esistenza quieta ma non ancora rassegnata della generazione dei precari, senza retorica e senza facili effettacci. I protagonisti, sia maschili che femminili, sono coscienti di un orizzonte plumbeo che incombe su di loro e sono preparati ad affrontare momenti grami; ma non perdono per questo la loro capacità di assorbire ogni colpo con autoironia. Ma la battuta non finge una falsa impermeabilità ai problemi: è sempre superamento dell’istante e attesa del prossimo ostacolo. Non ci sono eroi o supereroi, e neanche quegli Edipi appollaiati sulla spalla da ebrei newyorkesi, ormai saturati dal Lamento di Portnoy. Ogni personaggio trasuda umanità autentica, sia quella del romano che vive al Quadraro vicino al Parco degli Acquedotti o quella del milanese che gravita illuso intorno all’università.

L’appassionato di psicologia, però, verrà catturato soprattutto dalla descrizione delle relazioni nevrotiche tra i principali personaggi. Giorgio Correnti, colui che mai abbandona la scena, è un ricercatore (ovviamente non strutturato) moderatamente ossessivo. Questo tipo psicologico è di norma efficiente in un lavoro di ricerca: controlla i suoi risultati come la sua prosa; non trascura i particolari; non azzarda interpretazioni se non è completamente sicuro che siano sostenibili. Meno a proprio agio si muove in campo sentimentale. La donna della quale Giorgio si innamora, Agnese (una studentessa) è da parte sua una tipica isterica della nuova generazione. Si infatua di personaggi apparentemente non disponibili, salvo ritrarsi nel momento in cui il rapporto con il partner prescelto è concretamente possibile o addirittura rischia di incanalarsi sui binari della stabilità. Però, al contrario dell’isterica di epoca freudiana, non si preclude la sessualità ed anzi può viverla con una certa scioltezza, salvo quando sembra profilarsi la possibilità di un appagante reciproco abbandono. Per conseguenza, se Giorgio viene visto da Agnese come il docente irraggiungibile può essere desiderato, ma se si innamora veramente rischia di perderla. E di perdersi, perché, da buon ossessivo, tenderà a sovrainterpretare ogni segnale che viene dall’altra. La quale, da buona isterica, non starà certo a porsi il problema di una vera e propria strategia nell’emettere segnali, dato che la contraddizione interna nel comunicare è parte della sua natura.

Il professore con il quale Giorgio stabilisce finalmente un rapporto di collaborazione significativo, Zanbesi, è a sua volta un ossessivo, con quelle leggere punte paranoiche tipiche di (quasi) ogni ordinario della nostra Università. D’altronde, com’è noto, nell’ambiente universitario le difese paranoidi non sono difese primitive, ma altamente adattive. Ognuno dei due ossessivi vedrà riflessi i propri pregi e i propri difetti nell’altro. Si sprigionerà in modo inerziale una tipica e “sana” ambivalenza da rapporto padre-figlio/maestro-allievo. La voglia di Zanbesi di aiutare Giorgio è bilanciata dall’esistenza di una serie di regole non scritte dell’Accademia che vedono l’anzianità prevalere sulla brillantezza. Zanbesi ha allievi più anziani di Giorgio e non può o non vuole violare le regole che egli stesso ha contribuito a scrivere. Giorgio, da parte sua, ammira il grande studioso e accetta con gratitudine i suoi apprezzamenti ma non riesce ad adattarsi all’idea che gli venga preferito un mediocre.

Gli amici di Giorgio sono a loro volta prigionieri di schemi cognitivi dai quali non riescono a evadere: schemi che possono portarli al fallimento ma anche risultare paradossalmente efficaci proprio nell’istante della disperazione. Franco pensa che un atteggiamento da macho rappresenti l’unica possibilità di affermarsi in un mondo nel quale le opportunità sembrano venire solo dalla malavita; ma questo modo di proporsi è perdente nel rapporto con la moglie che, alla fine, è l’unica donna che veramente gli interessi. Davide trova del tutto possibile che la ragazza della quale è innamorato possa, in ultima analisi, non esistere. La sua debolezza diventa, però, il suo massimo punto di forza. Corrado vive la sua omosessualità con un certo equilibrio; salvo rivelarsi un narcisista covert, del quale è meglio essere amico che subire una vendetta.

L’autore del romanzo, Luca Manzi, già creatore di “Boris”, produttore televisivo, spin doctor per politici italiani di rilievo, docente alla Cattolica di Milano, ha scritto, tra l’altro, una sceneggiatura con David Seidler (che vinse il premio Oscar per Il discorso del re). Negli ultimi tempi è stato anche regista teatrale e televisivo. Chi scrive, però, si augura che torni al più presto a scrivere un romanzo. Se non è chiedere troppo, il seguito di Il destino è un tassista abusivo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Manzi, L. (2012). Il destino è un tassista abusivo. Rizzoli.
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