Il lavoratore ed il datore di lavoro firmano un accordo “mentale” non scritto, il cosiddetto contratto psicologico, ovvero il complesso delle aspettative che il lavoratore nutre nei confronti dell’azienda e, allo stesso tempo, il complesso delle aspettative che il datore di lavoro ha nei confronti di un proprio collaboratore. Il contratto psicologico, a differenza di quello giuridico, ha una natura molto più fluida e si evolve nel tempo in relazione ai cambiamenti sociali e culturali.
Il contratto giuridico e il contratto psicologico
L’epoca attuale è caratterizzata da un mercato del lavoro in continuo cambiamento, dove [blockquote style=”1″]gli individui non sperimentano più stabilità e sicurezza, ma si confrontano con lavoro flessibile ed organizzazioni fluide[/blockquote] (M. Savickas, 2011). In tale contesto viene a modificarsi anche il rapporto individuo-organizzazione, dal contratto psicologico alla concezione della carriera. All’interno di una tale mutata cornice culturale e tecnologica, le organizzazioni attuano cambiamenti rapidi nella loro forza lavoro e nelle politiche di impiego e tutto ciò ha un impatto considerevole sull’adempimento del contratto psicologico.
Al momento del suo ingresso in azienda, il lavoratore firma un accordo scritto, il cosiddetto “contratto giuridico”, che segue le disposizioni del contratto nazionale del lavoro. Il contratto giuridico definisce i diritti e i doveri delle Parti e stabilisce una serie di norme a cui il datore di lavoro da una parte ed il lavoratore dall’altra dovranno attenersi. Il riferimento normativo è l’art. 2094 del codice civile secondo cui è [blockquote style=”1″]prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale.[/blockquote]
Contemporaneamente, il lavoratore ed il datore di lavoro firmano un accordo “mentale” non scritto, il cosiddetto contratto psicologico, ovvero il complesso delle aspettative che il lavoratore nutre nei confronti dell’azienda e, allo stesso tempo, il complesso delle aspettative che il datore di lavoro ha nei confronti di un proprio collaboratore. Il contratto psicologico, a differenza di quello giuridico, ha una natura molto più fluida e si evolve nel tempo in relazione ai cambiamenti sociali e culturali.
Le tipologie di contratto psicologico
Denise Rousseau ha identificato quattro tipologie di contratto psicologico, suddivise secondo criteri di durata (breve, lungo, indeterminato) e criteri di performance.
Il cosiddetto contratto transazionale è basato su uno “scambio” (transazione) di breve durata, in cui l’investimento emotivo è minimo per entrambi gli attori.
Il contratto di transizione (cosiddetto “di nessuna garanzia”) è caratterizzato dall’assenza di impegno da parte di entrambi gli attori, generalmente dovuto ad una situazione di rottura del contratto o da situazioni di cambiamento organizzativo, in cui si verifica un conflitto con il contratto precedente.
Il contratto relazionale, invece, è di tempo lungo o indeterminato, senza compiti di performance ben specificati, dove il rapporto tra gli attori è generalmente continuo e basato sulla fiducia e lealtà reciproche. In questo tipo di contratto è molto sentita l’appartenenza all’organizzazione e la partecipazione alle attività nei rispettivi ruoli.
Il contratto bilanciato, infine, è a tempo indeterminato ed è caratterizzato da precisi compiti di performance. Gli accordi tra le parti sono in evoluzione, basati sul successo non solo dell’azienda ma anche del lavoratore, il quale gode della possibilità di migliorare ed evolvere il proprio ruolo. Entrambe le parti collaborano attivamente e reciprocamente, essendo l’una elemento del successo dell’altra.
Il contratto psicologico permette di individuare i cambiamenti in atto nelle relazioni lavorative, di decifrare le forme di relazione tra lavoratore ed azienda e di comprendere le variazioni di coinvolgimento lavorativo ed organizzativo.
In passato il contratto psicologico riguardava soprattutto il fatto che il lavoratore si potesse aspettare dal datore di lavoro la sicurezza di un impiego ed una retribuzione adeguata in cambio di impegno, fedeltà e lealtà.
Oggi il contratto psicologico riguarda soprattutto le aspettative non scritte, secondo le quali il datore di lavoro supporta e stimola le capacità e le potenzialità del lavoratore, rendendo il lavoratore stesso più pronto ad inserirsi nelle dinamiche di mercato relative alla propria professionalità.
La maggior parte degli studiosi è concorde nel ritenere che il contratto psicologico si formi nelle prime fasi del rapporto lavorativo, e precipuamente, nella fase di selezione e di inserimento in azienda.
Conclusioni
È palese che il contratto psicologico, come tutti gli altri contatti, si presta ad essere interpretato in modo diverso dalle parti e questo può creare dei problemi. Talvolta basta una sola parola di troppo da parte di un nostro collega o superiore per sentirci completamente disprezzati nella nostra professionalità o addirittura nella nostra persona e spingerci quindi a tirare i remi in barca. Anche per molti anni a venire. Altre volte invece il contratto è rafforzato da elementi di gratitudine e di riconoscenza. Ma non sono necessariamente solo problemi. Il contratto psicologico, infatti, può fare miracoli, riuscendo a motivare anche la persona più demotivata dell’universo. Se ben gestito, il contratto psicologico può consentire di trasformare i dipendenti in artefici del successo dell’azienda. Nelle organizzazioni in cui il top management gestisce in modo proattivo e positivo il contratto psicologico, la classica tripartizione tra chi lavora per sbarcare il lunario, chi lo fa per mostrare la propria professionalità e chi lo fa per passione viene meno. Se creiamo un’organizzazione alla quale tutti si sentono orgogliosi di appartenere, tutti remeranno dalla stessa parte.
Il contratto psicologico incide dunque sul comportamento organizzativo degli individui; Edgar Schein (1965) lo considera come l’insieme di aspettative circa gli obblighi reciproci che una relazione di scambio deve comportare: per mantenersi nel tempo sono in gioco i due partner della relazione che hanno condiviso le aspettative reciproche iniziali. Quando lavoratore e datore di lavoro investono molto nel contratto relazionale, una sua rottura implica dei costi che sono decisamente più elevati rispetto a quelli che ci sarebbero stati se non ci fosse stato coinvolgimento emotivo o se il coinvolgimento fosse stato basso. Il lavoratore può percepire che la violazione rinneghi le promesse che gli sono state fatte o che vi sia un’incongruenza tra le sue credenze e quelle del top management dell’organizzazione. La violazione del contratto psicologico porta a reazioni di carattere emozionale, quali: disappunto, rabbia e senso di tradimento. Questa violazione può portare all’ insoddisfazione dei lavoratori, ad un alto turnover ed alla riduzione del committment.