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Uomo e cane: le origini dell’amicizia più lunga del mondo

Vari scienziati studiano il legame uomo-cane, da alcuni studi emerge persino l'esistenza di una relazione d'attaccamento tra i due, come tra madri e figli %%page%%

Di Giulia Grigi

Pubblicato il 24 Dic. 2015

Aggiornato il 05 Set. 2019 12:39

Giulia Grigi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Le relazioni tra esseri umani e cani danno vita a storie affascinanti. I cani sono fisicamente molto diversi e si comportano in modo differente da noi. Non dicono una parola, e non sembrano interessati alla cultura. Eppure molte persone considerano i cani come membri della propria famiglia. Diversi scienziati sono interessati al legame uomo-cane e hanno iniziato a raccontare come nasce questa amicizia.

 

Circa 20 anni fa, il gruppo di ricerca di Michael Tomasello del Max Plank Institute per l’antropologia evoluzionistica di Lipsia, in Germania, e lo Cśanyia di Budapest, pubblicarono indipendentemente articoli scientifici su come i cani che vivono in famiglia riuscissero a seguire i gesti del proprietario (pointing) per ritrovare il cibo nascosto. Da questa scoperta è nata una florida area di ricerca che si occupa di indagare le basi biologiche del legame uomo-cane.

Ad esempio, i ricercatori hanno imparato che gli esseri umani ed i loro amici vivono in una relazione d’attaccamento, proprio come la mamma col suo bambino. L’uomo e il cane godono l’uno della compagnia dell’altro trovando mutuo supporto anche in situazioni rischiose. La relazione di attaccamento fornisce inoltre il fondamento della cooperazione: noi umani aiutiamo i cani a muoversi nella società moderna, e loro ci aiutano quando manchiamo di specifiche abilità; ne sono un esempio i cani-guida per i le persone non vedenti. Inoltre i cani, se maltrattati dimostrano, alle volte, sintomi psicologici simili a quelli dei bambini che hanno sviluppato una relazione di attaccamento insicura con le figura di riferimento.

Le ricerche hanno anche dimostrato che i cani possono facilmente adattarsi alla vita in famiglia grazie alle loro abilità attentive, alla sensibilità ai metodi comunicativi e al comportamento emotivo umano. In modo simile agli esseri umani, i cani tendono ad esprimere le emozioni attraverso delle vocalizzazioni, sembrano reagire alle sfumature emotive del pianto e del parlato di noi uomini. I cani, inoltre, eccellono nell’imparare attraverso l’osservazione, e ciò gli permette di seguire le regole della vita domestica.

Oggi le moderne tecnologie stanno ampliando la relazione uomo-cane, aiutandoci a comprenderla meglio, ed a sviluppare nuove forme di interazione. Strumenti tecnologici, come i robot interattivi, potrebbero un giorno far si che i cani partecipino a nuovi compiti cooperativi con gli esseri umani. Ci stiamo muovendo verso un mondo sempre più complesso, e l’abilità di attaccamento e di adattamento dei cani, potrà continuare a tenerli al nostro fianco.

 

L’ARTICOLO PROSEGUE DOPO IL VIDEO

https://vimeo.com/19472436

 

Senso di appartenenza

Il cane è una specie unica nel regno animale, poiché ha capito come unirsi ed adattarsi ad una comunità di un’altra specie – segno di competenze sociali sofisticate. Gli psicologi definiscono la competenza sociale come l’abilità degli individui di armonizzare i propri bisogni ed aspettative con il gruppo. Essa dipende dal padroneggiare una serie di abilità complesse: generare attaccamento, regolare l’aggressività, imparare e seguire le regole, fornire assistenza e partecipare alle attività del gruppo. Questa gioca un ruolo fondamentale quando i membri di una specie non umana partecipano alle nostre unità sociali. È per questo che quando si progettano studi che coinvolgono uomini e cani si devono tenere in considerazione tutte le caratteristiche della competenza sociale. Così possiamo capire la loro compatibilità con noi. Ma la domanda interessante è: come sono stati in grado i cani di sviluppare questa competenza?

Chiunque abbia avuto la possibilità di crescere un lupo o un cane in casa sarà d’accordo nell’affermare che tra i due c’è grande differenza. I primi non diventano facilmente membri della famiglia, nonostante tutti gli sforzi che si possano fare per socializzarli. I cani, invece, sono stati in grado di creare un ponte, poiché hanno apportato modifiche significative nei loro geni nel corso dei secoli di addomesticazione, seguiti dalla selezione di componenti genetiche che supportano lo sviluppo di competenze sociali simili a quelle umane.

Attaccamento per la vita

Una componente cruciale della competenza sociale è l’abilità di creare attaccamento. Molti ricercatori (se sono molti, qualcuno va citato) sono concordi nell’affermare che il legame di attaccamento dei cani giovani o adulti ed i loro proprietari, ricordi molto quello che esiste tra madre e neonato.

Negli anni ’60 gli psicologi John Bowlby e Mary Ainsworth hanno sviluppato un interessante teoria per spiegare il forte legame tra la madre e il suo piccolo. Affermano che il legame, noto come attaccamento, fa si che il piccolo cresca in un ambiente sicuro con l’opportunità di esplorare e conoscere la complessità della vita umana. Ainsworth e colleghi introducono un semplice test che oggi è un metodo standard per misurare la qualità di tale legame nella vita di ogni giorno: la strange situation.

Gli etologi hanno impiegato vari anni per riconoscere che i cani ed i loro proprietari mostrano dei pattern analoghi a quelli madre-bambino. Nel 1998, il comportamentalista animale Jòzey Topàl chiese a 51 proprietari di cani di partecipare ad un esperimento simile alla strange situation. Esseri umani e cani erano portati in una stanza e lì passavano del tempo giocando insieme, inizialmente loro due soli, poi con un gioco offerto dal proprietario. Dopo un certo tempo l’essere umano lasciava la stanza ed il cane rimaneva solo o in compagnia di un estraneo. Con sorpresa degli sperimentatori molti cani si sono comportati come i bambini: quando i proprietari erano presenti i cani gli stavano vicino e non cercavano di lasciare la stanza, e molti giocavano volentieri con loro. I cani giocavano di meno con gli sconosciuti, molti smettevano di giocare con l’estraneo quando il proprietario si allontanava dalla stanza. I ricercatori hanno interpretato questa preferenza come un’indicazione che il cane vede nel proprietario un rifugio sicuro in caso di potenziale pericolo.

Il gruppo di ricerca di Topàl ha effettuato un test per capire se questo comportamento rappresentasse una relazione di attaccamento attraverso uno studio comparativo tra giovani cani e lupi. In questo studio 13 lupi e 11 cani sono stati separati dalla madre a 4/6 giorni dalla nascita e sono stati cresciuti da un essere umano fino all’età di 4 mesi. Passato questo lasso di tempo hanno riproposto la situazione nella stanza con il gioco e la presenza di un estraneo. Nonostante avessero avuto la stessa esperienza sociale dei cani, i lupi non mostravano differenze quando era presente il proprietario o un estraneo; solo i cani usavano il primo come “base sicura”. In uno studio parallelo del 2001 la comportamentalista animale Marta Gacsì scoprì che anche i cani adulti possono sviluppare una relazione di attaccamento con gli umani.

Secondo queste ricerche è possibile affermare che una relazione di attaccamento tra umano e cane è presente e si instaura durante tutto l’arco della vita del cane.

Nel bene e nel male

Come accade per i bambini, anche le relazioni di attaccamento uomo-cane possono essere di tipo insicuro. Quando i proprietari sono anaffettivi, i loro cani sono propensi a sviluppare ansia da separazione: se lasciati soli abbaiano eccessivamente, cercano di scappare distruggendo porte e pareti e facendo i propri bisogni in casa. Uno studio del 2011 condotto dall’etologa Veronika Konok mostra che quando separati dai propri umani, i cani rimangono vicini alla sedia sulla quale si siedono di solito. Al contrario i cani che mostrano ansia da separazione non manifestano preferenze per gli oggetti toccati o dimenticati dai proprietari. I ricercatori hanno concluso che questi animali potrebbero avere problemi nell’associare i proprietari con la loro casa o con gli oggetti personali, così da non essere sicuri quando se ne vanno.

Proprio come succede per i bambini che manifestano ansia di separazione, l’ansia nei cani è sintomo della personalità di che se ne prende cura. In uno studio del 2015, Konok e colleghi riportano che i proprietari che manifestano maggiori livelli di evitamento nelle proprie relazioni di attaccamento tendono ad avere cani con più alti livelli di ansia da separazione.

Legami emotivi

I cani sono ammirati anche per la loro sensibilità emotiva. Le persone che vivono con loro gli attribuiscono spesso emozioni; assumendo che possano essere felici, tristi, arrabbiati e gelosi, proprio come gli esseri umani. Per anni i ricercatori accademici si sono rifiutati di attribuire emozioni agli animali. Questo atteggiamento sta lentamente cambiando: oggi parlare di emozioni nei cani o in altre specie animali non è più considerato un sacrilegio. C’è ancora una domanda che rimane senza risposta: l’emozione provata dal cane ha lo stesso significato che intendiamo noi?

Sebbene alcuni ricercatori accettino il fatto che la felicità e la paura nei cani sia simile a quella dell’esperienza umana, ci sono degli studi che mostrano la differenza tra le due specie nelle emozioni complesse, come il ‘senso di colpa’. Negli uomini il senso di colpa insorge quando le persone violano una regola sociale, come ad esempio rubare il cibo di un altro. Due studi indipendenti, il primo condotto nel 2009 dal comportamentalista Alexandra Horowitz e il secondo nel 2012 ad opera della comportamentalista canina Julie Hecht, hanno preso in esame il comportamento di cani a cui era stato detto di non infrangere una determinata regola. Nel primo, a 14 cani era stato insegnato a non magiare il cibo dal tavolo da pranzo, dando loro la possibilità di obbedire o meno. Terminata questa fase veniva detto ai proprietari come si erano comportati: a volte riportando il vero, altre volte no; veniva chiesto loro di congratularsi con i cani obbedienti e di sgridare quelli che non lo erano stati. Tutti i cani che erano stati rimproverati, indipendentemente da come si erano comportati durante il compito, hanno mostrato dei comportamenti che gli esseri umani identificano come senso di colpa, suggerendo che i quadrupedi stavano reagendo al comportamento dei proprietari, piuttosto che essere consapevoli della trasgressione.

Sulla tristezza non ci sono ricerche che suggeriscono interpretazioni definitive, ma le psicologhe Deborah Custance e Jennifer Meyer sono state in grado di fornire dati scientifici sulla credenza che il pianto umano evochi nei cani comportamenti associati. In una ricerca del 2012 i due autori hanno osservato le reazioni di 18 cani a comportamenti di pianto (mugolii riconducibili al pianto o pianto vero e proprio) sia con estranei che con i propri familiari. Quasi tutti i cani si sono approcciati guardando la persona che piangeva o toccandola. Questi comportamenti erano meno frequenti se la persona parlava o mugolava.

Anche se i proprietari potrebbero aver antropomorfizzato il comportamento canino credendo che questi atteggiamenti siano segno di abilità empatiche, gli autori hanno concluso che c’è una spiegazione più semplice: il pianto umano è simile alle vocalizzazione di sofferenza dei mammiferi, cani inclusi, ed evoca in loro sofferenza e non empatia. Quest’ultima richiederebbe che il cane riconoscesse lo stato interno dell’umano.

A supporto di questi dati, una ricerca del 2014 condotta dagli psicologi Ted Ruffman e Min Hooi Yong ha mostrato che ascoltare un bambino che piange aumenta i livelli di cortisolo presente nel sangue del cane, provocando stress.

Fai come faccio io!

Molto della cultura umana è basato sull’apprendimento sociale. Il linguaggio, le regole della società e l’uso degli oggetti, sono trasmessi dai membri più anziani a quelli più giovani e da pari a pari. I cani sono molto propensi ad imparare osservando. Questa abilità è molto diffusa nel mondo animale, ma apprendere da rappresentanti di un’altra specie è molto più raro. Da poco tempo la scienza ha iniziato ad esplorare questa capacità.

Uno dei più comuni test per le abilità osservative è un semplice compito di deviazione chiamato detour task, nel quale il cane posto al di là di una recinzione di 3 metri di lunghezza deve raggiungere un target: del cibo o un gioco. In uno studio del 2001, il comportamentalista animale Peter Pongràcz, ed il suo gruppo, hanno mostrato come i cani che vivono in famiglia necessitano in media di 6/7 tentativi per padroneggiare questo compito, ma gli basta osservare una volta un cane esperto eseguire il compito per compierlo a loro volta. I cani apprendono in egual modo dagli esseri umani.

Il gioco che noi umani facciamo con i nostri bambini per insegnargli i comportamenti adeguati aiuta i ricercatori a capire come i cani imparano osservando. Madri e padri spesso mostrano una specifica azione (per esempio, come toccarsi il naso con un dito) ed incoraggiano i figli a fare altrettanto. Nel 2006 Topàl e i suoi colleghi sono stati i primi a dimostrare che le persone potevano insegnare allo stesso modo ai cani.

Cooperazione: siamo pratici

Nella società occidentale moderna i cani sono spesso amati solo perché sono cani. Ma probabilmente oggi non ci sarebbero se non avessero dimostrato di essere così utili alle società del passato; svolgendo compiti di difesa del territorio, proteggendo il gregge e trainando slitte. Oggi i cani continuano a svolgere compiti di pubblica utilità, ad esempio nelle unità cinofile di polizie, eserciti e squadre di soccorso, così come i cani che aiutano le persone con disabilità fisiche e psichiche. Inoltre, i cani guida per disabili forniscono non solo un aiuto pratico nelle attività quotidiane, ma hanno un importante ruolo sociale: l’amicizia. Infatti, un elemento vitale della competenza sociale dei cani riguarda le loro impressionanti capacità di cooperazione. In un un’utile relazione di collaborazione ogni individuo deve dimostrare autocontrollo, tenere ben presenti gli obiettivi dell’altro e imparare quando è il suo turno. Degli studi hanno dimostrato che i cani guida possiedono queste competenze.

I cani possono collaborare in compiti nei quali sembrano capire le conseguenze di una azione di collaborazione. In uno studio pubblicato nel 2014, gli psicologi Ljerka Ostojic e Nicola Clayton si sono occupati dell’abilità dei cani di risolvere un compito di problem solving chiamato loose-string task. Nella predisposizione classica ai 2 partner è data una scatola dalla quale spuntano i capi di una medesima corda. Se entrambi i cani prendono un capo e tirano simultaneamente riusciranno a muovere l’oggetto target, posizionato sul fondo della scatola, in modo da avvicinarlo e poterlo afferrare. Tirando solamente un capo della corda, questa si sfilerà dall’apparato senza che nulla venga mosso. Durante l’esperimento i cani imparano a ricevere il premio quando coordinano i loro comportamenti, sia che si tratti di un compagno umano, che di un altro cane. Così, essi sono stati in grado di riconoscere la specifica azione che era necessaria da mettere in pratica per avere successo. Questo rapido sviluppo di cooperazione tra il cane e l’altro partner spiega perché sono così bravi ad aiutare noi umani in compiti di precisione come guidare una persona non vedente per le strade caotiche di una città.

I cani nel futuro High-Tech

L’invasione della moderna tecnologia nella vita di tutti i giorni potrebbe aver portato i proprietari di cani a pensare come la relazione con i loro compagni di vita potrebbe evolvere nell’era digitale. Già oggi i cani hanno iniziato ad interagire con la tecnologia e anche a creare delle partnership ad hoc con alcuni dispositivi. In un recente studio pubblicato su Plos One la comportamentalista animale Anna Gergely ha provato a mandare a dei cani del cibo attraverso una macchinina telecomandata. Dopo alcune interazioni, iniziano a guardarla, a toccarla o a spingerla, se questa non si muove più, come se volessero che la macchinina facesse il suo dovere.

In superficie, le azioni che i nostri amici a quattro zampe mettono in pratica con gli strumenti tecnologici sono simili a quelle messe in pratica con i proprietari in circostanze simili. In linea di principio, se l’abilità del dispositivo diventa più complessa, dovrebbe diventarlo anche la relazione cane-macchina. Questa relazione potrebbe avere anche dei risvolti positivi.

In un progetto recente guidato dall’ingegnere informatico Bernard Plattner, i ricercatori hanno testato l’idea che la ricerca di persone disperse nei boschi o in aree di montagna potrebbe essere più efficace se i gruppi di ricerca fossero accompagnati da gruppi di cani e da piccoli aerei dotati di telecamere. La comportamentalista animale Linda Gerencser ha lavorato in collaborazione con l’addestratrice cinofila Barbara Kerekes per insegnare a 4 cani a seguire un robot aereo ad una distanza di 100-150 metri. Hanno inoltre insegnato agli animali a fermarsi nel seguire i robot ed iniziare a cercare il disperso con l’olfatto se vedevano la macchina sorvolare una specifica area. I cani avrebbero poi avvertito i soccorritori umani abbaiando se avessero trovato la persona.

I ricercatori credono che con lo sviluppo della tecnologia queste macchine potrebbero migliorare le prestazioni dei gruppi di soccorso tradizionali, specialmente se i cani imparassero a riconoscere i robot volanti come compagni di squadra – ai quali potrebbero rispondere con lo stesso entusiasmo con cui rispondono a noi.

La vita dell’essere umano si sta sviluppando sempre più lontano dalla natura, ed i cani non saranno mai in grado di comprendere la mole di questi cambiamenti. Le loro competenze sociali, però, potranno aiutarli ad imparare a vivere in una società in evoluzione proprio come hanno fatto fin dall’inizio del loro viaggio al nostro fianco.

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