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La percezione del tempo nel deterioramento cognitivo

Lesioni o disfunzioni cerebrali, ovunque siano, provocano problemi nella percezione del tempo. Questo è evidente anche in casi di deterioramento cognitivo. %%page%%

Di Barbara Magnani

Pubblicato il 17 Dic. 2015

Aggiornato il 30 Set. 2019 16:01

Barbara Magnani – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Modena

Ogni volta che abbiamo a che fare con una lesione o disfunzione cerebrale, ovunque essa sia, abbiamo a che fare con un problema nella percezione del tempo. Questo fenomeno si riscontra in modo evidente nel deterioramento cognitivo.

La complessita’ della percezione del tempo e il suo coinvolgimento nel deterioramento cognitivo

La percezione del tempo è uno degli argomenti più controversi della neuropsicologia. Nonostante decenni di studi non abbiamo ancora un modello che descrive il funzionamento neurocognitivo della percezione temporale con il quale siamo tutti d’accordo. Probabilmente questo accade perché non sappiamo bene come definire il tempo, esattamente come diceva Agostino nelle sue ‘Confessioni’: Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so….

Quando parliamo di percezione del tempo in termini cognitivi cosa intendiamo? Come fa il cervello a codificare o decodificare un intervallo di tempo trascorso? Oppure come fa il cervello a rappresentarsi il tempo di vita trascorso nel passato, formulare un’idea del tempo futuro o, ancora più difficile, orientarsi nel tempo quotidianamente per sapere sempre che giorno, mese e anno è per 365 giorni all’anno per tutta la vita?

La dimensione del tempo e’ troppo poco definibile e troppo complessa per poter essere operazionalizzata e studiata e infatti la letteratura sul tempo è molto dibattuta. Esistono diversi modelli che si contendono il primato (Gibbon et al., 1984; Killeen e Fetterman, 1988). Tuttavia tutti quanti cercano di spiegare unicamente come riusciamo a stimare una durata temporale (quanto tempo è passato tra due stimoli o quanto tempo è durato uno stimolo), funzione che, tra l’altro, nella quotidianità non usiamo mai perché abbiamo sempre un orologio a portata di mano.

Tutti i modelli sono complessissimi e prevedono diversi moduli cognitivi in cui l’informazione temporale viene elaborata. Tali moduli prevedono sempre il coinvolgimento di una componente sensoriale che elabora la modalità con cui viene presentato lo stimolo che deve essere decodificato (ad esempio modalità uditiva), per la quale si attivano le cortecce sensoriali primarie. Inoltre sono previsti moduli attentivi (devo prestare attenzione allo stimolo temporale per decodificarlo), moduli mnesici (devo rievocare durate simili per capire più o meno in che ordine temporale siamo) e moduli esecutivi (devo confrontare la durata corrente con quelle esperite in passato e rievocate dalle componenti mnesiche per decidere quanto è durato quello stimolo), per le quali si attivano le aree parieto-frontali e temporali.

Insomma, indipendentemente dal modello che consideriamo, che dia più peso alle componenti mnesiche o attentive, pare che per decodificare una durata temporale siano indispensabili molteplici aree cerebrali. Se poi consideriamo gli altri aspetti della percezione temporale di cui sopra ci domandavamo, (ordine temporale e rappresentazione dell’arco di vita) per cui occorrono ulteriori funzioni mnesiche ed esecutive, possiamo dire che tutto il cervello interviene nella percezione temporale (Grondin, 2010). Come non esiste concretamente il tempo, non esiste l’area cerebrale del tempo, come esiste invece l’area dello spazio solidamente localizzato nel lobo parietale destro. Pertanto, ogni volta che abbiamo a che fare con una lesione o disfunzione cerebrale, ovunque essa sia, abbiamo a che fare con un problema nella percezione del tempo. Questo fenomeno si riscontra in modo evidente nel deterioramento cognitivo.

Il deterioramento cognitivo: come si manifesta

Per deterioramento cognitivo si intende una patologia in cui le cellule cerebrali vanno incontro a progressiva necrosi. Una volta iniziato il processo di deterioramento cognitivo non lo si può fermare e l’esito finale è sempre lo stesso. I diversi quadri di deterioramento cognitivo, o demenze per meglio intenderci, si distinguono a seconda delle aree inizialmente coinvolte dal processo di degenerazione cellulare. Nella demenza di Alzheimer le prime aree coinvolte sono l’ippocampo e i lobi temporali mesiali. Il risultato e’ una iniziale perdita di memoria. Nella demenza di Parkinson le prime aree coinvolte sono i gangli della base che proiettano ai lobi frontali e parietali. Il risultato e’ una iniziale perdita delle funzioni di controllo dei movimenti e delle funzioni attentive. Nelle demenze vascolari, le quali si sviluppano a causa di encefalopatia multilacunare diffusa, si riscontra una iniziale perdita delle funzioni attentive, esecutive e visuo-spaziali. In ogni caso, indipendentemente dal quadro dementigeno in atto e dall’area inizialmente coinvolta, avremo un deficit nella percezione temporale che è destinato a peggiorare. Questo non è un problema da poco. E’ vero che perdere la memoria impedisce di apprendere nuove informazioni e rievocarne di vecchie, ma perdere la percezione del tempo disconnette dalla realtà con grosse ripercussioni sull’adattamento all’ambiente.

Il decorso del deficit di percezione temporale nel deterioramento cognitivo

Il primo aspetto della percezione temporale che perde di funzionalità quando è in atto un deterioramento cognitivo è l’orientamento temporale ovvero la capacità di individuare il corretto momento della giornata, della settimana, del mese e dell’anno in cui ci troviamo, senza l’ausilio di indizi come la lettura del calendario. Per orientarsi nel tempo occorre avere appreso la ricorsività di giorni, mesi e stagioni, aspetto non banale per chi ha difficoltà di apprendimento e/o memoria. Occorre focalizzare l’attenzione ed elaborare correttamente gli indizi a disposizione come la luce del sole o la temperatura esterna. Occorre inoltre rievocare altri indizi come ad esempio se si tratta di un giorno lavorativo o feriale e infine tradurre tutte queste informazioni in numeri e nomi astratti e convenzionali. A noi tutti potrebbe sembrare facile poiché abbiamo a che fare quotidianamente con agende, telefoni e impegni lavorativi. Ma basta andare in vacanza e dimenticare il telefono a casa per accorgesi quanto sia immediato perdere qualche giorno e confondere la domenica con il martedì.

In altre parole l’orientamento temporale è una funzione che per operare perfettamente necessita di un cervello perfettamente funzionante. Non e’ un caso che l’orientamento temporale sia compromesso in tutti i quadri dementigeni anche in fase iniziale. Anzi, è il primo campanello d’allarme che ci indica che c’è un’alta probabilità che ci sia un deterioramento cognitivo in atto o che si svilupperà, anche nel caso in cui tutte le altre funzioni operano ancora nella norma (Guerrero-Berroa et al., 2009). Tutti i clinici che si occupano di demenze sanno che le prime 4 domande del Mini-Mental State Examination (MMSE – test breve per la valutazione del deterioramento cognitivo) che indagano l’orientamento temporale, sono estremamente significative per formulare la diagnosi. Anche quando l’errore è soltanto uno e le restanti 29 domande del test sono corrette, comunque ci si insospettisce.

Tractenberg e colleghi (2007), nell’intento di inserire 4 items brevi negli studi epidemiologici per poter indagare il funzionamento cognitivo oltre a quello prettamente medico, hanno individuato i 4 items dell’orientamento temporale del MMSE. In altre parole anche una piccola esitazione nell’orientamento nel tempo è un indice di disfunzione cognitiva, anche se lieve, e un forte predittore di futuro deterioramento cognitivo.

Deterioramento cognitivo: cosa provoca il deficit nella stima temporale?

E’ difficile stabilire quale aspetto della percezione temporale sara’ interessato dal deterioramento cognitivo successivamente all’orientamento temporale. Come dicevamo, ciò dipenderà dalle aree interessate dalla degenerazione cellulare. Certamente, la capacità di stimare la durata di un intervallo o di uno stimolo temporale, per la quale occorre una buona funzionalità di attenzione, memoria e funzioni esecutive, viene ben presto interessata dalla demenza.

Il modello che pare meglio spiegare questa funzione è la SET theory di Gibbon e colleghi (1984). Tale modello postula l’esistenza di un orologio interno che si attiva quando un individuo presta attenzione ad una durata temporale. L’orologio invierebbe pulsazioni costanti per tutta la durata dell’intervallo da stimare. Le pulsazioni sarebbero inviate ad un accumulatore, dopodiché contate. Il conteggio del numero delle pulsazioni rappresenterebbe una prima traccia grezza dell’intervallo temporale, la quale viene confrontata con rappresentazioni di intervalli temporali in memoria. Una volta eseguito il confronto l’individuo sarà in grado di fornire una risposta sulla durata dell’intervallo.

Il processo di produzione e invio di pulsazioni sarebbe localizzato nei gangli della base e sotteso dal sistema dopaminergico (Allison et al., 2011). Le funzioni attentive di focus sull’intervallo e le funzioni esecutive di confronto sarebbero sottese dai lobi frontali e parietali mentre le funzioni mnesiche di recupero di tracce temporali immagazzinate sarebbero sottese dai lobi temporali.

La letteratura su quale sia il processo funzionale del modello che determina un deficit nella stima temporale è scarsa e non del tutto chiara. Verrebbe spontaneo pensare che i pazienti con Parkinson potrebbero avere un deficit a livello della produzione e accumulazione di pulsazioni. Infatti un decremento di dopamina sembra produrre una decelerazione dell’orologio interno mentre un aumento di dopamina sembra produrre un’accelerazione (Perbal et al., 2005). Tuttavia pare che i pazienti con Parkinson mostrino deficit di stima temporale che sono attribuibili a difficoltà di memoria più che a variazioni di velocità dell’orologio interno. Infatti tali pazienti tendono a sottostimare gli intervalli più lunghi e sovrastimare intervalli più corti (Mioni et al., 2015) e commettono maggiormente errori quando gli intervalli da stimare vengono presentati nella stessa sessione, indice che la capacità di mantenere in memoria le tracce temporali gioca un ruolo importante nell’indurre i pazienti con deterioramento cognitivo a sbagliare (Koch et al., 2008).

Un altro studio sulla stima temporale nei pazienti con demenza dimostra che i pazienti con deterioramento cognitivo hanno performances simili in questo tipo di prestazione indipendentemente dalla diagnosi specifica (Heinik, 2012). Questi studi considerati globalmente ci dicono che la stima temporale è una funzione che tende ad essere deficitaria quando le funzioni mnesiche si riducono, ma può essere sufficiente una lieve riduzione della funzionalità della memoria affinché la stima temporale ne risenta. Diversamente i pazienti con Alzheimer ne sarebbero maggiormente colpiti rispetto agli altri quadri.

La Mental Time Travel in pazienti con deterioramento cognitivo

Un altro aspetto controverso della percezione del tempo è la capacità di rappresentarsi il proprio arco di vita sia in modo retrospettivo che prospettivo e spostarsi mentalmente su di esso. Tale capacità viene chiamata Mental Time Travel. I pazienti con Alzheimer, anche nelle fasi precoci del disturbo, sono particolarmente in difficoltà nel rievocare in corretto ordine temporale gli eventi passati. Non solo i pazienti con Alzheimer hanno difficoltà nell’ordinare gli eventi secondo una linea temporale, ma mostrano particolari difficoltà a generare immagini ego-centrate e forniscono racconti frammentati e depersonalizzati (Irish et al., 2011). Per contro, i pazienti con demenza frontotemporale sono maggiormente in difficoltà nel rappresentarsi il tempo in modo prospettico (Irish et al., 2013).

In altre parole, per essere in grado di viaggiare sulla propria linea di vita, è necessario compiere numerose operazioni mentali che coinvolgono memoria autobiografica, capacità visuo-immaginative, capacità esecutive e metacognitive per formulare idee future probabili sulla base di idee passate, ma soprattutto è necessario avere la capacità di rappresentarsi il tempo come dimensione unitaria e continua che ha luogo nei ricordi e termina in immagini formulabili ma non ancora avvenute. E’ una funzione eccessivamente complessa che nel deterioramento cognitivo si riduce presto e che ha un drammatico impatto sulla propria consapevolezza e senso di identità.

Conclusioni: l’importanza della ricerca in tema di deterioramento cognitivo e percezione temporale

Per riassumere abbiamo descritto la percezione temporale come funzione estremamente complessa, la quale si struttura di molteplici componenti. Per avere un corretto orientamento temporale, formulare una corretta stima di una durata di tempo o per essere in grado di rappresentarsi il proprio arco di vita e viaggiare su di esso nel passato e nel futuro, occorre un intatto funzionamento di tutte le funzioni cognitive e quindi un intatto funzionamento di tutte le aree cerebrali. Per questo motivo, quando è presente una disfunzione neurologica come un deterioramento cognitivo, indipendentemente dall’area cerebrale coinvolta e dallo stadio del disturbo, la percezione del tempo viene interessata in almeno una delle sue componenti.

Tutti i pazienti con demenza hanno difficoltà col tempo e tale deficit compromette significativamente l’adattamento all’ambiente. Questi presupposti sono di grande importanza sia scientifica che clinica. Da una parte abbiamo bisogno di modelli maggiormente definiti che descrivono la percezione del tempo in ogni suo aspetto e che non si limitino alla descrizione di tale funzione intesa come capacità di stimare una durata temporale. Dall’altra abbiamo bisogno di maggiori studi che descrivano i deficit temporali nei pazienti con deterioramento cognitivo e come essi interferiscano con il decremento della funzionalità delle altre funzioni cognitive.

In questo modo potremmo pensare alla formulazione di interventi specifici per preservare o rallentare la riduzione di questa funzione, così fondamentale in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Quando si parla di demenza e di interventi di stimolazione cognitiva per questi pazienti si pensa sempre all’attenzione e alla memoria. Ma se il tempo è una dimensione che integra tutte le funzioni ed è così determinante per l’adattamento, l’autonomia e il mantenimento di un senso di consapevolezza di Sé, potrebbe essere utile pensare ad interventi focalizzati primariamente a questa funzione.

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