Valentina Retto, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA
Psicoterapia: la concezione che la mente e il corpo siano entità separate è anacronistica e limitante nel campo della diagnosi e della cura del ventunesimo secolo. Oggi si presenta un’opportunità importante per la convergenza tra la medicina e la psicologia, attraverso le neuroscienze.
Psicoterapia: Il pregiudizio originale
Ancora troppo diffusa è la credenza che in psicoterapia si facciano solo “chiacchiere”.
Questo pregiudizio, ovvero un giudizio anticipato e prematuro, come altri ha delle fondamenta culturali profonde. E’ nato da una visione dualistica della cultura occidentale che separa nettamente il concetto di mente da quello di corpo.
Dicotomia che ha condotto a una disparità, anche nell’importanza comunemente attribuita in maggior misura alla salute fisica, a discapito di quella mentale. (McClanahan et al., 2006).
Tuttavia, le più recenti scoperte hanno permesso di stabilire con certezza che la psicoterapia agisce sul cervello, producendo un vero e proprio mutamento dei circuiti neuronali. Le tecniche di neuroimaging dimostrano che il lavoro psicoterapeutico produce le stesse modifiche chimiche che sono apportate dalla terapia psicofarmacologica, indebolendo la concezione dualistica che vede come nettamente separati la mente e il corpo (Gabbard G. O., 2000).
Le radici del pregiudizio: il dualismo mente-corpo
In origine, la Psicologia è nata con lo scopo di studiare gli aspetti caratteriali e comportamentali dell’uomo. Il termine psicologia è stato coniato nel XVI secolo, da Rodolfo Goclenio, e deriva dalle parole: psiché (respiro, alito, fiato, principio vitale, ma anche carattere personale e modo di agire), e logos (discorso, pensare, ragion d’essere, studio). Tuttavia, le radici della Psicologia affondano ancora più in profondità nella filosofia dell’Antica Grecia, con il pensiero di Platone (400 a.C.). Dalla sua teoria nasce la contrapposizione tra tutto ciò che è considerato immateriale e intangibile, il mondo delle idee, e ciò che invece è materiale, corporeo.
Successivamente, questo pensiero dicotomico viene rinforzato dalla filosofia Cartesiana del XVII secolo, con la res cogitans e la res extensa, e fino ad oggi ha influenzato, insieme alla cultura Cattolica, il pensiero del mondo occidentale (Damasio, 1995). Da tali basi si è istaurata una netta divisione tra mente e corpo, questo dualismo ci ha portato a concepire l’uomo come un insieme di organi con distinte funzioni, perdendone il senso di unicità. Da un lato, stimolando un elevato sviluppo conoscitivo e tecnologico, “le specializzazioni”, dall’altro, però, ostacolando un approccio multidimensionale allo studio e alla cura dei fenomeni umani, normali e patologici (Trombini, G. & Baldoni, F., 1998).
In un recente studio condotto tra Belgio e Regno Unito, sono stati osservati gli atteggiamenti inerenti il rapporto mente-corpo e le variabili che rappresentano le differenze di tali inclinazioni, in un campione di studenti universitari e operatori sanitari. I sondaggi indicano una predominanza dell’ideologia dualistica. I giovani, le donne, e chi ha credenze religiose sono i più propensi a credere che la mente e il cervello siano separati e negano la fisicità della mente. La fede religiosa è risultata essere il miglior predittore per tale atteggiamento. Tra gli operatori sanitari, invece, la maggior parte è contraria alla presenza di una divisione tra la coscienza e il corpo. Tuttavia, anche una parte considerevole di questi professionisti, medici e paramedici, più di un terzo, sostiene la concezione dualistica (Demertzi, A. et al., 2009).
Psicoterapia e dualismo mente-corpo: un diverso punto di vista
Una prospettiva alternativa la ritroviamo nella cultura orientale, caratterizzata per avere una visione più ampia dell’oggetto osservato, che viene sempre posto in relazione agli altri elementi del contesto (Nisbett R.E. & Masuda T., 2003). Corpo e mente sono visti come aspetti inseparabili; in particolare, nella filosofia Buddista per unicità non si intende che corpo e mente siano identici, ma che non siano separati, essi sono considerati entità distinte di uno stesso essere vivente che dialogano e interagiscono profondamente. (Feldenkrais, M., 1991; Frank R., 2005).
Tra gli approcci più moderni in ambito medico, invece, si cerca di colmare questa distanza con la medicina integrativa, l’approccio olistico, o la psicosomatica. Infine, il concetto di Engel di medicina biopsicosociale suppone una matrice triangolare, in cui il corpo e la mente sono posti in una relazione reciproca e nei confronti di un terzo agente, l’ambiente. Ciò che emerge da questi nuovi approcci è la necessità di un lavoro interdisciplinare, nel quale il paziente venga preso in carico nella sua interezza, in un’ ottica di cura alla persona e non della malattia (Brunnhuber S. & Michalsen A., 2012; Herrmann-L Sargent, P.A. et al., 2012; Santagostino, 2005; Scogliamiglio, 2008).
Psicoterapia e pregiudizio occidentale: pillole per il corpo e parole per la mente
A causa del “pregiudizio occidentale”, l’ambito di indagine della psiché ha imboccato due percorsi separati: quello biologico (neurologia e psichiatria) e quello psicologico (psicologia e psicoterapia), creando la distinzione tra le “malattie del cervello” e i “disturbi della mente”. Si è strutturata, così, anche una divisione dell’iter diagnostico e dell’approccio terapeutico; secondo questa visione dicotomica i disturbi della mente devono essere trattati con la psicoterapia, mentre per le “malattie del cervello” vengono utilizzati gli psicofarmaci (Andreasen, N.C., 2004).
In sostanza, vige la credenza secondo la quale il cervello si cura con i farmaci, mentre la mente si cura con le parole, perché queste non hanno effetti sul corpo. In relazione a ciò, nel senso comune si è venuta a formare l’idea che dallo psicoterapeuta “si facciano delle chiacchiere”, e che le figure professionali dello psicologo e dello psicoterapeuta siano serenamente intercambiabili, se non addirittura sostituibili con figure professionali non adeguatamente formate come il counselor, il life-coach e il trainer o il migliore amico.
Dualismo mente-corpo: è davvero così?
Sigmund Freud, nel suo Progetto di una psicologia (1895), ha scritto:
[blockquote style=”1″]Un giorno sarà possibile rappresentare il funzionamento psichico negli elementi organici del Sistema Nervoso.[/blockquote] (Kandel, E.R., 1998).
Oggi, gli studi dimostrano che quell’auspicio si sta avverando.
Le ricerche degli ultimi anni stabiliscono con certezza che la psicoterapia agisce sul cervello, producendo al suo interno modifiche chimiche del tutto simili a quelle apportate dai farmaci (Frewen, P.A. et al., 2008).
Quindi, questa “terapia della parola” non solo cambia il comportamento, ma è anche in grado di rinnovare i processi di pensiero e, dunque, di mutare i circuiti neurobiologici del cervello (Gabbard, G.O., 2000).
Integrazione mente-corpo: come accade?
Le percezioni, la memoria, i pensieri, le emozioni e i comportamenti sono gestiti da determinati circuiti neuronali. Ogni disturbo cognitivo deriva da un’alterazione della struttura o della funzionalità di queste reti. Il cervello è un organo plastico, capace di modificarsi nel momento in cui l’individuo riflette, apprende e memorizza, ed è in grado di generare, regolare o modificare le funzioni indispensabili per la vita, sia da un punto di vista biologico che sociale (Dolan R.J., 2002; Squire, L. & Kandel, E.R. 2003; Straube T. et al.,2006).
La psicoterapia promuove l’apprendimento di modi alternativi di pensare e comportarsi, ovvero altera la forza delle sinapsi tra i neuroni, portando, quindi, a dei veri e propri cambiamenti morfologici nei neuroni stessi.
Alla luce di queste conoscenze, in campo scientifico si sta già da tempo gradualmente correggendo la dicotomia culturale di partenza, che prevede una rigida distinzione tra i disturbi neurologici, psichiatrici e psicologici, accogliendo un approccio integrato e interdisciplinare (Manna V., 2008).
Psicoterapia: come agisce?
Lo psicoterapeuta cognitivo-comportamentale divide la terapia principalmente in due fasi, in un primo momento raccoglie informazioni personali, familiari e sull’evoluzione del disturbo per il quale la persona ha richiesto assistenza, inoltre, osserva gli schemi di pensiero e di comportamento, lo stile relazionale e la modalità in cui esprime le emozioni. In un secondo momento si apre la fase dell’intervento terapeutico vero e proprio, i cui obiettivi sono concordati esplicitamente con il paziente sulla base delle richieste fatte, e vengono perseguiti con un coinvolgimento attivo da parte di entrambi, applicando tecniche specifiche, che il professionista può conoscere e padroneggiare solo in seguito ad anni di studi e praticantato. Il fine di una corretta psicoterapia non è quello di modificare l’intera struttura di personalità dell’individuo, bensì stimolare l’apprendimento di pensieri e comportamenti più funzionali, ovvero che non generino sofferenza e disadattamento sociale.
Psicofarmaci: coadiuvanti della psicoterapia, non sostitutivi
La psicoterapia modifica il cervello, quindi non è meno “biologica” rispetto alla terapia farmacologica. Ciò non significa che la terapia con i farmaci, non sia uno strumento necessario nel processo di trattamento dei pazienti con maggiore disagio. Tuttavia, gli psicofarmaci tendono ad essere prescritti anche quando non necessari, oppure vengono utilizzati in modo sostitutivo della psicoterapia. Questo accade anche quando le evidenze ci insegnano che la psicoterapia, o la terapia associata se necessario, hanno risultati superiori rispetto all’utilizzo esclusivo della terapia farmacologica (DeRubeis, R.J. et al., 2008; Hirvonen, J. et al, 2010; Hollon, S.D., et al., 2005; Praško, J. et al., 2004).
Efficacia della Psicoterapia: che prove abbiamo?
La psicoterapia è efficace, in particolare, l’American Psychiatric Association (APA) ha stilato le linee guida internazionali sulla base di rigorose revisioni della letteratura scientifica, indicando la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) come la più indicata per la gran parte dei disturbi psicologici raccolti nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), e la definisce più efficace della terapia psicofarmacologica sul lungo periodo (Evidence-Based Mental Health, 2003; Fonagy, P. et al., 2002; Michielin P. & Bettinardi O., 2004).
Più recentemente, i risultati di una ventina di studi hanno riscontrato che la CBT modifica la disfunzione dei circuiti neuronali correlati al disturbo psicopatologico trattato. I percorsi psicoterapici testati riguardano pazienti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo (Apostolova, I. et al., 2010; Baxter, L.R. et al., 1992; Lehto, S.M. et al., 2008; Nakao, T. et al., 2005; Schwartz, J.M. et al., 1996), disturbo depressivo maggiore (Brody A.L. et al., 2001; Goldapple, K. et al., 2004; Hirvonen, J. et al., 2010; Hollon, S.D. et al., 2005; Karlsson, H. et al., 2010), fobia sociale (Furmark, T. et al., 2002), fobia specifica (Johanson A. et al., 2006; Paquette V. et al., 2003; Straube, T. et al., 2006), disturbo da attacchi di panico (Sakai, Y. et al. 2006), schizofrenia (Penadés, R. et al., 2002), disturbo post-traumatico da stress (Felmingham K. et al., 2007; Levin, P. et al., 1999; Peres, J.F.P. et al., 2005), sindrome del colon irritabile (Lackner, J.M. et al., 2006) e disturbo borderline di personalità (Schnell, K. & Herpertz, S.C., 2007).
Gli effetti neurobiologici della psicoterapia possono essere misurati utilizzando metodi di neuroimaging funzionale, che sono visti come estremamente rilevanti sia per le neuroscienze sia per la psicologia, dal momento che possono gradualmente raggiungere una più precisa identificazione dei circuiti neurali associati a disturbi mentali specifici. Studi condotti utilizzando metodi come la tomografia a emissione di singolo fotone (SPECT), la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fRMI), forniscono un importante contributo, dal momento che le dinamiche cerebrali possono essere osservate in vivo e in situazioni controllate (Sargent, P.A., 2000).
Psicoterapia, mente e corpo: conclusioni
La concezione che la mente e il corpo siano entità separate è anacronistica e limitante nel campo della diagnosi e della cura del ventunesimo secolo. Oggi si presenta un’opportunità importante per la convergenza tra la medicina e la psicologia, attraverso le neuroscienze.
Ogni cambiamento nei nostri processi psicologici e cognitivi si riflette in variazioni strutturali e funzionali del cervello stesso.
Non si tratta di un sostegno al riduzionismo biologico, l’obiettivo non è certo provare che tutto quello che non si può misurare con strumenti di neuroimaging allora non ha valenza scientifica. Piuttosto, si vuole dire che grazie ai suddetti progressi tecnologici e all’incremento delle conoscenze scientifiche, è possibile osservare come i pensieri e i loro correlati biologici si modificano all’unisono.
Inoltre, si è dimostrato come la psicoterapia cognitivo-comportamentale sia in grado di produrre tali cambiamenti, mutando la chimica celebrale al pari o più a lungo della terapia psicofarmacologica. Un numero sempre maggiore di neuroscienziati e di psicoterapeuti sta costruendo collegamenti sperimentali e concettuali tra questi due rami complementari e interdipendenti della conoscenza.
Quanto raccolto, infine, spezza le radici di quel pregiudizio ancora troppo presente nel senso comune, che tuttora continua a fraintendere l’efficacia e la natura stessa della psicoterapia.