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La vocazione della psiche. Undici terapeuti si raccontano (2015) a cura di N. Janigro – Recensione

Il libro offre l'occasione per confrontare racconti su come vari terapeuti hanno deciso di intraprendere la professione, su come è nata la loro vocazione.

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 27 Ott. 2015

Aggiornato il 29 Dic. 2015 13:24

Il libro offre un’occasione per confrontare racconti su come diversi terapeuti hanno deciso di intraprendere il loro mestiere; su come è nata la loro vocazione.

Libri nei quali vengono messe a confronto teorie, pratiche cliniche, persino tecniche di supervisione proprie di diverse scuole psicoterapeutiche sono diventati, nel corso degli anni, abbastanza frequenti. Molto più rara è l’occasione di confrontare racconti su come diversi terapeuti hanno deciso di intraprendere il loro mestiere; su come è nata la loro vocazione, per utilizzare l’espressione usata dalla curatrice. Si potrebbe sostenere, con un paradosso, che l’organizzazione del libro è piuttosto diversa da come ci si aspetterebbe, ma forse proprio questa circostanza ne costituisce il motivo di maggiore interesse. Proviamo a spiegare per quale motivo.

Certamente gli undici terapeuti scelti sono figure di rilievo nell’ambiente clinico e vantano una notevole attività pubblicistica alle loro spalle: tutti hanno scritto almeno due libri e la maggioranza di loro ha almeno dieci libri al proprio attivo (anche non direttamente correlati con la pratica terapeutica), senza contare il numero sterminato di articoli e interventi a proprio nome. Ci si aspetterebbe tuttavia, in un simile contesto, una scelta rappresentativa di scuole e di ambienti socio-culturali differenti. Al contrario il campione è stranamente omogeneo: dieci su undici dei prescelti sono milanesi di nascita o di adozione (fa eccezione il torinese Franco Borgogno). Dieci su undici (ancora) sono di orientamento psicodinamico (solo Fabio Giommi è un cognitivista). Dei dinamici, sei sono di formazione e orientamento junghiano e dei sei due sono sposati tra di loro (Luigi Zoja e Eva Pattis). Un settimo, cioè Vittorio Lingiardi, nasce junghiano ma si è poi spostato su un orientamento relazionale. Lo stesso Lingiardi e Fabio Madeddu hanno curato insieme un libro di notevole importanza per la formazione degli psicologi, ovvero I meccanismi di difesa (Cortina). Gli altri tre sono psicoanalisti, pur se di orientamento diverso. Con una sorta di curiosa forma di paraprassia, poi, uno di loro (Borgogno), intitola il proprio intervento Ricordi, sogni, riflessioni come l’autobiografia di Carl Gustav Jung.

Proprio la relativa omogeneità, tuttavia, finisce per costituire la più forte conferma della considerazione che sorge spontanea dopo la lettura del libro: non esiste probabilmente un profilo di personalità caratteristico dell’aspirante medico della psiche. Ognuno degli undici terapeuti racconta di sé una storia profondamente diversa da quella degli altri, per tipologia familiare, rapporto con i genitori, interessi giovanili, avvicinamento alla professione. Diversi sono gli stili narrativi, le motivazioni, la disponibilità ad aprirsi e soprattutto le reticenze, che spesso costituiscono il motivo di maggiore interesse per il lettore professionista nel ramo.

C’è chi racconta un profondo travaglio interiore al fondo della propria scelta e chi lo metaforizza (o se si vuole lo intellettualizza) parlando dell’ambiente culturale. C’è chi chiama in causa, quali autori chiave della propria formazione, Goethe e Shakespeare, Pasolini e Dickinson, Frost e Borges, Melville e Schnitzler; come c’è chi non esce dal seminato della psicologia dinamica. C’è chi si definisce terapeuta per caso e chi per passione. Curiosamente, nessuno degli undici terapeuti ha alle proprie spalle studi universitari di Psicologia: alcuni sono medici, altri laureati in Filosofia (Màdera può essere definito un filosofo oltre che un analista), ma c’è anche chi ha studiato Giurisprudenza (Marina Valcarenghi), Filologia romanza (Giulia Valerio) ed Economia (Zoja).

La ragione della circostanza è essenzialmente anagrafica: si tratta soprattutto di terapeuti esperti, laureatisi prima della Legge del 1989 se non prima della stessa istituzione del corso di laurea in Psicologia. Se tuttavia un giovane aspirante psicologo difficilmente potrà rispecchiarsi nei percorsi illustrati nel libro, potrà invece constatare la pluralità delle anime che hanno contribuito allo svilupparsi della professione psicoterapeutica in Italia.

Forse agli undici terapeuti del libro, potrebbero essere attribuiti due tratti fondamentali in comune: una profonda curiosità intellettuale e una (correlata) tendenza anti-dogmatica. La curiosità culturale è testimoniata da un lato dalla varietà delle rispettive formazioni e dall’altro da un’identità che spesso si spinge oltre l’essere univocamente professionista della psicoterapia.

Giommi, per esempio, scrive di aver aderito alla tesi di Bruno Bara per cui essere terapeuta non può costituire un lavoro a tempo pieno. Zoja rivela di dedicare ormai all’attività clinica non più di due giorni a settimana, per votarsi negli altri alla scrittura. In diversi casi (la maggioranza) l’identità politica e l’impegno sociale giocano o hanno giocato un ruolo fondamentale; in altri casi lo hanno svolto l’arte e la poesia. Scrive Lingiardi al riguardo:

Il mio modo di stare al mondo, di guardare le cose, è attraversato da due correnti, una poetica e una politica. Le ho sempre considerate alternative, se non nemiche. Ora ho capito che devono convivere e possono sostenersi a vicenda (p. 89).

Zoja vede il contributo dell’analisi come una terapia della civiltà (p. 197). Giommi viene ancora in aiuto per illustrare l’antidogmatismo prevalente, quando, parlando del proprio periodo di formazione, afferma:

La sola cosa chiara era l’insoddisfazione per quello che via via mi si proponeva, l’impossibilità di essere persuaso (p. 52).

I racconti autobiografici, pur riportando ampi debiti di gratitudine, pullulano di riferimenti a mostri sacri della storia della psicoterapia italiana (ovviamente soprattutto della psicoanalisi e della psicologia analitica) piuttosto demistificanti. L’irritazione verso l’analista che rimane in silenzio, la perplessità verso chi fa in prima persona libere associazioni invece di lasciarle fare all’analizzando, l’ironia verso chi dall’alto della propria posizione scoraggia un giovane che diventerà a sua volta un terapeuta famoso, la rabbia verso il teorico che pontificava idee oggi considerate aberranti: sono tutti sentimenti che nel libro compaiono, in modo più aperto o più velato. Soprattutto però emerge l’apertura verso la diversità e la contaminazione, verso una concezione delle teorie come modelli probabili in evoluzione; come strumenti da impiegare per la loro valenza clinica da confrontare sul campo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Janigro, N. (a cura di) La  vocazione  della  psiche.  Undici  terapeuti  si raccontano.Einaudi, Torino 2015.
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