expand_lessAPRI WIDGET

Mentalizzazione e disturbi di personalità – Bateman & Fonagy a Pavia

Il modello presenta molti aspetti caratteristici degli approcci cognitivi ma trae la sua origine dalla tradizione psicoanalitica, in particolare bowlbyana.

Di Valentina Davi

Pubblicato il 17 Set. 2015

Mentalizing and personality disorders: contemporary theory and practice

 Report dal Convegno del 10 settembre 2015

 

Immaginate per un attimo di tornare indietro di anni, a quando, giovani studenti, non avevate la più pallida idea di cosa fosse un Disturbo di Personalità. Il mio professore di Psicologia Clinica tenne una lezione memorabile in cui ci spiegò la storia di uno dei disturbi che più ha affascinato e dato del filo da torcere al mondo clinico: il Disturbo Borderline di Personalità.

 

Breve storia del disturbo borderline di personalità

Romanzando un po’ la storia (spero mi perdonerete per la libertà che mi prendo), già il vecchio Freud sul finire della vita in Analisi terminabile e interminabile (1937) si domandava come mai alcuni pazienti inequivocabilmente nevrotici non rispondessero alla psicoanalisi; secondo Freud questi pazienti avevano messo in atto meccanisimi di difesa primitivi in maniera così intensa e massiccia da determinare una distorsione dell’Io. In altre parole Freud aveva identificato dei pazienti pseudonevrotici, cioè pazienti che pur presentando una mente nevrotica mostravano aree psicotiche di tipo paranoide, che per di più mostravano un aspetto ben peggiore della resistenza al transfert: erano incapaci di sviluppare un rapporto di fiducia con il terapeuta.

La scoperta di questi pazienti atipici, che sembravano nevrotici ma invece erano psicotici (appunto “borderline”), segnò un punto di svolta nella storia della psicologia e rappresentò una sfida per numerosi analisti americani (e non solo) che negli anni ‘40 e ‘50 diedero vita a nuove concezioni teoriche dal punto di vista terapeutico nel tentativo di risolvere il problema di come trattare questi pazienti.

Durante il corso il mio professore si focalizzò sulle principali forme di trattamento psicoterapeutico altamente formalizzato disponibili ai tempi (siamo nel 2008) per i pazienti borderline: la Transference-Focused Psychotherapy (TFP) di Kernberg, la Dialectic Behaviour Therapy (DBT) di Linehan e la Mentalization Based Therapy (MBT) di Bateman e Fonagy, che nella mia mente di psicologa in erba formarono “la triade del trattamento per pazienti borderline”, coloro che avevano dato una risposta al problema dei pazienti borderline elaborando forme di trattamento efficaci.

 

La Mentalization Based Therapy per i disturbi di personalità

Capite bene che quindi non mi sarei mai potuta perdere Bateman e Fonagy ospiti al convegno soldout MENTALIZING AND PERSONALITY DISORDERS: CONTEMPORARY THEORY AND PRACTICE organizzato dall’Università di Pavia. Un’occasione non solo per ascoltarli presentare in prima persona il loro modello e gli ultimi aggiornamenti in merito, ma anche per vederli all’opera durante la simulazione di una seduta.

La MBT, come dice il nome stesso, pone al centro il concetto di mentalizzazione, cioè “la capacità di avere un pensiero sugli stati mentali come condizioni distinte anche se potenziali determinati del comportamento” (Bateman & Fonagy, 2004).

Tale capacità emerge attraverso l’interazione con il caregiver ed è influenzata dalla qualità della relazione di attaccamento: se il genitore è capace di riflettere in maniera accurata le intenzioni del bambino senza sopraffarlo, ciò contribuisce allo sviluppo della regolazione emotiva e della funzione autoriflessiva nel bambino. La mentalizzazione ha pertanto le sue radici nel sentirsi compresi dalla figura di attaccamento; qualsiasi comunicazione che implichi il riconoscimento dell’ascoltatore come agente intenzionale aumenterà in lui la fiducia epistemica e la possibilità che codifichi la comunicazione come rilevante, generalizzabile, degna di essere memorizzata.

Il disturbo di personalità secondo Bateman e Fonagy rappresenta il fallimento della comunicazione, l’impossibilità di accedere alla comunicazione culturale e di instaurare una relazione di apprendimento poiché l’apprendimento dall’esperienza è parzialmente negato dall’assenza di fiducia nella conoscenza sociale. Il cambiamento non è possibile proprio perché il paziente non ha fiducia nell’esperienza, ritiene che le intenzioni dell’interlocutore siano differenti da quelle dichiarate e quindi non considera quanto comunicato come proveniente da fonte affidabile; pertanto il normale processo di modificazione delle credenze sul mondo (di sé in relazione agli altri) rimane precluso e il paziente vive un insopportabile senso di isolamento.

Ovviamente questa sfiducia si manifesta anche in terapia, determinando grande frustrazione nel terapeuta (e anche la tendenza a colpevolizzare il paziente), il quale ha la sensazione che il paziente non lo stia ascoltando; in realtà il paziente trova difficile fidarsi della verità di ciò che sta ascoltando. La terapia quindi si pone l’obbiettivo di creare le condizioni affinché la verità epistemica possa crescere ed essere generalizzata al mondo esterno ponendo fine all’isolamento epistemico in cui il paziente verte.

Il modello di Bateman e Fonagy presenta molti aspetti caratteristici degli approcci cognitivi (per es. prevede un lavoro sulla rappresentazione cognitiva delle emozioni e sui nessi tra emozione e comportamento), ma trae la sua origine dalla tradizione psicoanalitica, in particolare bowlbyana.

Se si considerano le sue radici salta all’occhio l’assenza proprio di uno dei concetti chiave della tradizione psicoanalitica: l’inconscio. Che fine ha fatto? E’ scomparso per un semplice motivo: non è possibile lavorare sul profondo in assenza di fiducia epistemica, a maggior ragione su materiale di cui il paziente è inconsapevole.

Con i disturbi di personalità mancano le basi per poter lavorare ai “livelli superiori” e proprio da quelle bisogna partire, che si tratti di migliorare la metacognizione prima di procedere con la ristrutturazione cognitiva oppure di incrementare la fiducia epistemica prima di dedicarsi al lavoro di analisi dell’inconscio.

 

GUARDA: Peter Fonagy – Interview on Mentalizazion Based Therapy

 

BIBLIOGRAFIA:

  • TRATTAMENTO BASATO SULLA MENTALIZZAZIONE
  • Freud. S, (1937) “Analisi terminabile e interminabile”, vol. XI. Bollati Boringhieri, Torino, 1977.
  • Bateman, A.W., Fonagy, P. (2004), Il trattamento basato sulla mentalizzazione: psicoterapia con il paziente borderline. Tr. it. Raffello Cortina, Milano 2006.
  • Bateman, A.W., Fonagy, P. (2006), Guida pratica al trattamento basato sulla mentalizzazione per il disturbo borderline di personalità. Tr. it. Raffello Cortina, Milano 2010
Si parla di:
Categorie
SCRITTO DA
Valentina Davi
Valentina Davi

Coordinatrice di redazione di State of Mind

Tutti gli articoli
ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel