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Riflessioni circa l’importanza delle scale di valutazione del DSM-5

L'organizzazione del nuovo DSM indica come i disturbi possano essere interdipendenti a seconda di vulnerabilità preesistenti e si adotta un'ottica evolutiva

Di Filippo Turchi

Pubblicato il 02 Lug. 2015

Aggiornato il 31 Ott. 2019 11:00

Filippo Turchi

Psichiatra e Psicoterapeuta, Professore a contratto presso l’Università di Firenze. Socio SITCC e SIP. Docente presso la Scuola Cognitiva di Firenze.

 

L’organizzazione di ogni capitolo del nuovo DSM avrebbe l’ambizione, o la presunzione, di indicare come i disturbi possano essere interdipendenti a seconda di vulnerabilità preesistenti o di caratteristiche dei sintomi. Con lo stesso criterio sono stati ulteriormente suddivisi alcuni disturbi sulla base di una maggiore comprensione delle loro cause, sposando un’ottica evolutiva dei disturbi.

L’avvento della pubblicazione dei manuali proposti dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) con le scale di valutazione da utilizzare, mi ha spinto a fare delle riflessioni sull’importanza di queste scale in questo momento della storia dei disturbi mentali.

Il DSM-5 nasce, secondo le intenzioni del coordinatore della Task Force del DSM 5 David J. Kupfer, come un manuale che dovrebbe aiutare i clinici e i ricercatori a diagnosticare e classificare i disturbi mentali con più precisione, così da migliorare la diagnosi e la terapia conseguente. [blockquote style=”1″]Con la nuova edizione del DSM, noi volevamo promuovere la condivisione e la partecipazione più larga possibile e raccogliere la più ampia gamma di opinioni. Volevamo inoltre facilitare l’utilizzo finale del manuale per i clinici, i pazienti ed i ricercatori. Abbiamo raggiunto entrambi gli obiettivi e ci aspettiamo che il DSM abbia un’immediata utilità per i clinici e beneficio per i pazienti.[/blockquote] ha dichiarato Dilip Jeste, Presidente dell’American Psychiatric Association (APA).

È intenzione dell’APA promuovere futuri processi di revisione [blockquote style=”1″]con una sempre maggiore attenzione agli elementi innovativi nel campo della ricerca, con aggiornamenti continui fino a quando sarà necessaria una nuova edizione del DSM. Così come la ricerca di base sui disturbi mentali sta evolvendo a diverse velocità per diversi disturbi, anche le linee guida diagnostiche non devono essere vincolate a pubblicazioni statiche ma, al contrario, devono essere dinamiche e correlate ai progressi scientifici.[/blockquote]

L’organizzazione di ogni capitolo del nuovo DSM avrebbe l’ambizione, o la presunzione, di indicare come i disturbi possano essere interdipendenti a seconda di vulnerabilità preesistenti o di caratteristiche dei sintomi. Con lo stesso criterio sono stati ulteriormente suddivisi alcuni disturbi sulla base di una maggiore comprensione delle loro cause, sposando un’ottica evolutiva dei disturbi. Questo è un primo punto d’interesse, in quanto si propone, in questo DSM, un modello di malattia che di fatto è ibrido, a differenza di quello proposto nei precedenti manuali DSM.

La parte “ufficiale” del sistema diagnostico ripropone un modello dicotomico, per cui la malattia c’è quando ci sono i criteri e c’è salute quando non vengono soddisfatti tutti i criteri necessari. Nella sezione III del manuale, tuttavia, ci sono le dimensioni psicopatologiche e le scale di valutazione che dovrebbero misurarle e valutarle, facendo riferimento ad un modello di malattia che prevede una continuità tra normale e patologico che sfuma l’una nell’altra. Da qui la nuova proposta di concettualizzazione dei disturbi di personalità.

Un altro elemento esplicitamente sottolineato nel DSM 5 è la necessità di valutare meglio la comparsa, la durata e la gravità dei sintomi. Questo ultimo elemento ha di nuovo messo in risalto implicitamente l’importanza delle scale di valutazione nella pratica clinica quotidiana, e ne sponsorizza un maggiore utilizzo, rispetto a quanto venga fatto nella realtà odierna.

La stima della gravità offre vantaggi a cui credo non possiamo più rinunciare se vogliamo offrire trattamenti di qualità: consente di differenziare i pazienti sulla base della quantità (per la diagnosi non conta se hai 5 o 10 criteri positivi perché avrai comunque sempre e solo quella diagnosi) e della qualità dei sintomi; consente di capire e dimostrare meglio l’efficacia dei trattamenti, perché potrebbe chiarire quanto e su quali elementi agiscono maggiormente i diversi trattamenti, e in che tempi (inutile dire che questa è una delle sfide che devono essere raccolte dai clinici e dai ricercatori anche per le varie forme di psicoterapia); consente, infine, di avere elementi per personalizzare un trattamento sulla base di elementi discreti, e di poter verificare quali tra gli elementi è un indicatore migliore di risposta alla terapia nel tempo.

Non credo di poter essere smentito se affermo che in ambito clinico (SPDC, ambulatori ASL, CSM), si sente una maggior affinità con la psicodiagnostica. Come scrivono Fossati, Borroni e Somma, curatori del manuale sulle “Linee Guida di Psicometria”, psicometria e psicodiagnostica non sono ortogonali: sono poli estremi di una stessa dimensione dell’agire (e del pensare) psicologico.

La psicometria, a cui le scale rimandano, ha come interesse centrale lo sviluppo di misure (test, tecniche di intervista, prove di laboratorio ecc.) che siano quanto più affidabili e valide possibile (e anche lo sviluppo di nuovi modelli, metodi statistici e approcci computazionali alla definizione delle proprietà psicometriche delle misure psicologiche): lo sguardo è al comportamento di una misura in campioni rappresentativi di persone. L’ottica della psicodiagnostica ha a che vedere con il saper scegliere un sistema di provata affidabilità e validità per arrivare a dare una risposta a quesiti – usualmente, ma non esclusivamente, clinici – relativi a una singola, specifica persona. Senza psicometria non sarebbe possibile alcuna valutazione psicologica credibile; senza assessment psicologico (ossia psicodiagnosi) la creazione di test avrebbe un significato puramente “accademico”.

Non c’è dubbio che i clinici debbano riconciliarsi con le basi psicometriche dell’attività testologica, allo scopo di promuovere un uso sempre più competente dei test e anche il desiderio di “mettere alla prova” in prima persona nuove misure, conducendo degli studi di affidabilità e di validità, perché è un altro elemento problematico che deve essere superato. A questo punto della storia delle scienze psicologiche emerge con forza la necessità di una maggiore condivisione e standardizzazione degli item delle scale e degli score nella valutazione, che ci consentano di avere strumenti affidabili di valutazione della risposta a breve e lungo termine.

Nella sezione III del manuale viene dedicata tutta la prima parte nel tentativo di coinvolgere, spiegare l’importanza e promuovere l’utilizzo delle scale e lo studio di questi parametri. Essendo il DSM 5 manuale di transizione, e coerentemente con questa volontà d’integrazione di un sistema categoriale con quello dimensionale, si esorta all’utilizzo delle scale di valutazione per superare le limitazioni derivanti da un approccio diagnostico categoriale.

Queste scale di valutazione del paziente sono state messe a punto per essere somministrate nel colloquio iniziale e per monitorare i progressi del trattamento. Dovrebbero essere utilizzate per migliorare il processo diagnostico e non come base unica per formulare una diagnosi clinica. I vantaggi portati dall’utilizzo delle scale di valutazione includono, per gli autori del DSM 5, anche: il superamento delle difficoltà di individuare zone di discontinuità tra le diagnosi; la possibilità di definire meglio i soggetti che ricevono una diagnosi di un disturbo non altrimenti specificato; dare la possibilità di un resoconto soggettivo dei sintomi; fornire una valutazione più completa dello status mentale.

Sono sostanzialmente 5 i pacchetti di scale di valutazione nel DSM 5: 1) Le Scale di valutazione dei sintomi trasversali; 2) Le Scale di valutazione della gravità; 3) Gli Inventari di personalità per il DSM-5 (PID-5); 4) I Questionari relativi allo sviluppo infantile e all’ambiente domestico; 5) Le Interviste per l’inquadramento culturale (IIC) .

Le scale di valutazione dei sintomi trasversali si compongono di due livelli: le domande di livello 1 costituiscono un breve esame di 13 domini di sintomi per pazienti adulti (Depressione, Rabbia, Mania, Ansia, Sintomi somatici, Ideazione suicidaria, Psicosi, Sonno, Memoria, Pensieri e Comportamenti ripetitivi, Dissociazione, Funzionamento della personalità, Uso di sostanze) e 12 domini per pazienti in età infantile e adolescenziale. Le domande di livello 2 forniscono una valutazione più approfondita di alcuni domini.

Le scale di valutazione della gravità sono disturbo-specifiche e sono strettamente correlate con i criteri che definiscono il disturbo. Alcune scale possono essere compilate dal soggetto, mentre altre richiedono l’intervento del clinico.

Gli Inventari di personalità per il DSM-5 (PID-5) misurano i tratti di personalità non adattivi in cinque domini: Affettività negativa, Distacco, Antagonismo, Disinibizione e Psicoticismo. Tali domini seguono una sorta di consenso su 5 dimensioni che costituiscono la sintesi di 3 strumenti di misura di elementi personologici differenti: il modello psicobiologico a 7 fattori di Cloninger, la Valutazione dimensionale della patologia di personalità secondo il Dimensional Assessment of Personality Disorder (DAPP) e il modello di personalità “BIG FIVE”.

Sono disponibili – per gli adulti e i soggetti sopra gli 11 anni – la versione breve costituita da 25 item e la versione completa costituita da 220 item. In questa transizione del concetto di disturbo di personalità molto deve essere fatto perché si possa creare un modello condiviso ed affidabile.
I Questionari relativi allo sviluppo infantile e all’ambiente domestico possono essere utili nella valutazione delle prime fasi dello sviluppo e delle esperienze attuali relative all’ambiente domestico del bambino assistito. Sono fornite due versioni: una che deve essere compilata da un genitore, o da un tutore, del bambino; l’altra che deve essere compilata dal clinico.

Le Interviste per l’inquadramento culturale (IIC) possono essere utilizzate per ottenere informazioni durante una valutazione della salute mentale a proposito dell’influenza della cultura sugli aspetti chiave della presentazione clinica e dell’assistenza di un individuo. Contengono: l’Intervista per l’inquadramento culturale (IIC), l’’Intervista per l’inquadramento culturale (Versione per l’informatore) e i Moduli supplementari all’IIC.

 

La sensazione è di essere storicamente di fronte ad un momento di grande evoluzione della comprensione della mente e dei sui disturbi, e che ognuno di noi sia chiamato a fare la sua parte. In questo contesto, le scale di valutazione, che escono dal DSM 5 in questo modo, forse arbitrario e molto sperimentale, offrono comunque un substrato di lavoro perfettibile, ma che richiama tutti a fare un significativo passo in avanti nella definizione più accurata delle malattie, riproponendo un modello complesso; richiama alla necessità della condivisione scientifica e della verifica della confrontabilità e dell’efficacia dei trattamenti.

 

 

Un altro articolo dello stesso autore:

Primo, non curare chi è normale. Di Allen Frances – Recensione

Primo, non curare chi e normale. Allen Frances 2013 - SLIDE

BIBLIOGRAFIA:

  • American Psychiatric Association (2015). DSM-5. Raffaello Cortina Editore: Milano.
  • Fossati, A., Borroni, S., Somma, A. (2015). Linee guida di psicometria. Raffaello Cortina Editore: Milano.
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