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Gli estremi contano fin dalla nascita: i neonati sfruttano la prima e l’ultima sillaba per riconoscere le parole

Secondo un gruppo di ricercatori della SISSA i neonati codificano meglio la prima e l'ultima sillaba delle parole.

Di Redazione

Pubblicato il 28 Lug. 2015

SISSA (Scuola Internazione Superiore di Studi Avanzati) – Comunicato Stampa

Il sistema cognitivo codifica meglio la prima e l’ultima sillaba delle parole. Un gruppo di ricercatori della SISSA, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera di Udine, ha dimostrato per la prima volta che questo meccanismo cognitivo è presente fino dalla nascita.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivisita scientifica Developmental Science. Forse pensate che i neonati, quei deliziosi fagottini che sembrano intenti solo a dormire, ciucciare e piangere, non siano troppo coscienti di quanto accade intorno a loro. Vi stupirete dunque a sapere che i loro cervelli sono invece in piena e febbrile attività e che riescono già a cogliere informazioni importanti nel mondo intorno a loro. Per esempio sono attentissimi a ogni parola che sentono e già a soli due giorni dalla nascita elaborano il suono linguistico con processi tipici dell’adulto. Per esempio, come ha dimostrato un gruppo della SISSA, sono già più sensibili alla parte più importante delle parole, gli estremi, un meccanismo cognitivo più volte osservato negli   adulti e nei bambini più grandi.

L’effetto di “supremazia” degli estremi è ben noto a chi studia la memoria in generale e il linguaggio: quando dobbiamo ricordare e riconoscere delle parole il cervello dà un maggior peso all’informazione contenuta all’inizio e alla fine della sequenza di sillabe. Si tratta infatti di una regolarità generale nell’analisi del linguaggio: [blockquote style=”1″]l’informazione contenuta agli estremi è molto importante, e si riflette in molti fenomeni associati al linguaggio. Per esempio le particelle che nelle parole contengono informazione, quelle che denotano il genere, il numero, le declinazioni dei sostantivi e dei verbi, sono quasi tutte contenute all’inizio o alla fine delle parole, in tutte le lingue conosciute[/blockquote] spiega Alissa Ferry ricercatrice della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste primo autore della ricerca.

[blockquote style=”1″]È un fenomeno pervasivo e con il nostro studio dimostriamo che è presente già alla nascita. Qui alla SISSA erano già stati fatti degli esperimenti con bambini in età prelinguistica, di 7-­8 mesi, ma noi siamo andati ancora oltre e abbiamo lavorato con neonati di soli 2-­3 giorni di vita[/blockquote] commenta Ana Flo, ricercatrice SISSA coinvolta nello studio.

[blockquote style=”1″]I neonati hanno ascoltato una sequenza continua di 6 sillabe e sono in grado di distinguerla da un’altra molto simile in cui vengono scambiati gli estremi, mentre lo stesso non avviene quando si spostano le sillabe all’interno della parola[/blockquote] spiega Perrine Brusini, ricercatrice SISSA fra gli autori dello studio.

Nel linguaggio reale ci sono tanti segnali che segmentano il discorso in parole diverse, e che potrebbero aiutare a ricordare le parole da discorsi molto lunghi.  

[blockquote style=”1″]In un’altra serie di esperimenti poi abbiamo cercato di capire se è possibile fare in modo che il cervello dei neonati elabori anche le sillabe all’interno della sequenza. Abbiamo dunque introdotto una piccola discontinuità nelle sequenze, una pausa brevissima, quasi impercettibile anche all’ascolto più attento. Anche se si trattava solo di 25 millisecondi questa pausa divide la parola lunga in due parole corte, e grazie a questo trucco il cervello riusciva a distinguere le parole con le sillabe scambiate al loro interno[/blockquote] continua Ferry.

La supremazia degli estremi è dunque presente fino dalla nascita, e si manifesta senza alcuna esperienza o apprendimento da parte del neonato, concludono le ricercatrici della SISSA.  

Più in dettaglio…Come si fa a capire cosa succede nel cervello di un neonato (senza disturbarlo troppo, si intende)? Non è semplice, ma esistono metodologie sperimentali che sfruttano il fenomeno dell’ “abituazione”. Si usano per i bambini ancora incapaci di parlare: quando viene loro mostrato uno stimolo sempre uguale, ripetitivo, la risposta del cervello a questo stimolo cala rapidamente. Usando la spettroscopia a raggi infrarossi (un esame  non invasivo) possiamo misurare l’attività cerebrale: [blockquote style=”1”]Sapevamo quando una parola suonava diversa al cervello del neonato quando osservavamo un picco di attività cerebrale[/blockquote] ha spiegato Flo.

 

Sissa

Link  all’articolo  originale  su  Developmental  Science

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