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Il cinema come lente di ingrandimento sulla società: la Nouvelle Vague e “Fino all’ultimo respiro”

Le pellicole cinematografiche spesso costituiscono una lente di ingrandimento di ciò che accade nella società ed emerge il rapporto tra cinema e psicologia.

Di Manuela Agostini

Pubblicato il 05 Mag. 2015

Aggiornato il 07 Mag. 2015 09:49

 

Attraverso l’uso della profondità di campo, dei piani-sequenza, di inquadrature lunghissime, silenzi, lunghi dialoghi, il jump cut e non da meno l’utilizzo di camere leggere nasce la Nouvelle Vague che apre il sipario con “I quattrocento colpi” di Truffaut e “Fino all’ ultimo respiro” di Godard che ha come unica esigenza quella di voler fare film esorcizzando il “classico”.

Spesso quando si parla di cinema e psicologia, si tendono ad analizzare le pellicole che trattano di temi legati alle diverse e innumerevoli psicopatologie e deficit che affliggono l’uomo.

Il termine “psicologia” risale però al XV secolo, termine utilizzato dal teologo tedesco Philipp Schwarzed, che intendeva l’insieme delle conoscenze psicologiche, filosofiche, religiose, pedagogiche e letterarie di un essere umano. Su questa base il campo della psicologia è davvero molto ampio, ma in fondo essendo tutto dedicato alla mente umana non potrebbe essere altrimenti.

Il tema psicologia non si concentra solo sui contenuti delle pellicole ma a parer mio anche sul linguaggio cinematografico e la regia utilizzata nel voler esprimere determinati temi. Nella seconda metà del secolo scorso nascono diverse discipline, tutte da un solo grembo, quello appunto della psicologia: la mediazione famigliare, la psicologia di comunità, il counseling tutte pensate per un nuovo adattamento generazionale e sociale. La società cambia e ha l’esigenza di un riesame qualitativo con la prospettiva di un miglior adeguamento. In parallelo, nuove menti artistiche si sentono strette nell’ utilizzare canoni e canali comunicativi standardizzati.

Così quando Andrè Bazin, fonda e dirige la rivista “Quaderni di cinema” 1951, giornale dove scriveranno Truffaut, Godard, Rivette arriva una svolta anche nel campo cinematografico dove il fine ultimo non era altro che quello di utilizzare il mezzo cinema come espressione del reale, di un nuovo modo di pensare, vivere e percepire le cose, che senz’altro trae spunto dal neorealismo, imponendo però un proprio stile che non si rispecchia più nel modo classico di girare film, che non può utilizzare descrittori di una realtà che non esiste più o che per lo meno sta’ cambiando e vuole finalmente essere vista, ufficializzata. 

Si abbandona il classico e attraverso questo nuovo linguaggio cinematografico si mostra una nuova estetica, incongruente nella sua congruenza, che ha la necessità di dire, mostrare, chiarire un nuovo movimento che sta nascendo e che non vuole rimanere nascosto. Così attraverso l’uso della profondità di campo, dei piani-sequenza, di inquadrature lunghissime, silenzi, lunghi dialoghi, il jump cut e non da meno l’utilizzo di camere leggere nasce la Nouvelle Vague che apre il sipario con “I quattrocento colpi” di Truffaut e “Fino all’ultimo respiro” di Godard che ha come unica esigenza quella di voler fare film esorcizzando il “classico”.

“ Fino all’ultimo respiro” come già scritto, apre la pista alla nuovo movimento cinematografico. Goddard, nonostante la trama del film sia abbastanza classica, dona allo spettatore una certa perplessità. Pieno di discussioni esistenziali, apre una riflessione sul cinema, importa la nuova tecnica linguistica e introduce gli antieroi.

Micheal (Jean-Paul Belmondo) seppur assuma un atteggiamento “Bogartiano” (e ad un certo punto lo dichiarerà apertamente davanti un poster dell’attore dicendo “ vorrei essere come te”) tra sigarette a filtro bianco l’accarezzarsi le labbra , è un deliquentello che mentre ruba una macchina per tornare a Parigi è inseguito da un poliziotto. Nella macchina rubata è presente una pistola, così spara al poliziotto e lo uccide. Si dirige da Patricia (Jean Seberg) una studentessa americana con cui si era frequentato e di cui è innamorato. Cerca di convincerla a scappare con lui in Italia. La ragazza non vuole, ha altre aspirazioni e una volta interrogata dalla polizia, denuncia Michael che inseguito, verrà trafitto da una pallottola davanti agli occhi della ragazza.

L’arte cinematografica a volte pone il limite alla parola scritta ed esige di petto di essere vista per poter essere pienamente appresa. Questo è il caso.
La trama è semplice. Cosa c’è di strano? Forse che alla prima scena, che è l’elemento chiave del film e che di solito è posto centralmente nella trama, Micheal si gira verso la camera, verso di noi e dice “Se non amate il mare, se non amate la campagna, se non amate nemmeno la città andate a quel paese!” . Forse la camera non troppo stabile che riprende alcune scene? i lunghissimi dialoghi sulla vita, sull’esistenza, sulle aspettative, su un certo senso di inadeguatezza tra i protagonisti? L’interruzione di linearità nel montaggio che ci ricorda che stiamo vedendo un film? Il lunghissimo piano sequenza nella camminata sugli Champs Élysées, in cui i passanti si girano incuriositi non sapendo di essere entrati nella storia del cinema?

Come da introduzione, il grande occhio che va a posarsi sui cambiamenti della società, dei bisogni, delle percezioni, si poggia sull’ arte in genere e lo evidenzia con tutti i mezzi di cui dispone e così, che si voglia parlare di malati e malattie, di ingiustizie, devianze, criminalità, povertà ecc è bene non solo porre attenzione al contenuto, ma, per allargare le proprie vedute, anche al modo in cui il messaggio viene inviato che se ad una prima occhiata superficiale sembra privo di significato emozionale, psicologico e sociale in realtà, come in questo caso è un movimento cinematografico che entrerà nella storia del cinema e cambierà di molto il modo di vedere le cose e influenzerà i giovani, gli adulti del domani, la società futura.

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Manuela Agostini
Manuela Agostini

Dott.ssa in Psicologia della salute clinica e di comunità

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