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Psicoterapia inefficace: l’esperienza soggettiva dei pazienti

Lo studio esplora l'esperienza della terapia per i pazienti che non mostrano un miglioramento o che addirittura mostrano un peggioramento - Psicoterapia

Di Veronica Iazzi

Pubblicato il 17 Mar. 2015

Aggiornato il 01 Apr. 2015 13:48

FLASH NEWS

I ricercatori, sulla base delle risposte dei pazienti, sostengono che il possibile errore dei terapisti che hanno lavorato con il gruppo dei pazienti non migliorati potrebbe essere quella di aver aderito troppo rigidamente alla tecnica psicoanalitica tradizionale.

La psicoterapia funziona per la maggior parte delle persone, ma c’è un gruppo di pazienti per i quali potrebbe essere inefficace, o peggio ancora dannosa. Un nuovo studio sostiene di essere il primo a indagare sistematicamente ciò che rappresenta l’esperienza della terapia per i pazienti che non mostrano un miglioramento dopo la terapia, o che addirittura mostrano un peggioramento.

Andrzej Werbart ei suoi colleghi hanno condotto delle interviste rivolte a 20 pazienti che non hanno mostrato miglioramenti o che hanno subìto un peggioramento a seguito di un trattamento di psicoterapia psicoanalitica individuale o di gruppo presso l’ex Istituto di Psicoterapia di Stoccolma (appartenenti ad un gruppo più ampio di 134 pazienti). All’inizio del trattamento i pazienti avevano un’età media di 22 anni, e 17 di loro erano di sesso femminile. I pazienti presentavano disturbi dell’umore, problemi di relazione e disturbi della personalità. Le interviste si sono svolte alla fine del ciclo di terapia, e poi di nuovo un anno mezzo più tardi.

I ricercatori trascrissero le interviste e trovarono una chiave di lettura condivisa tra i pazienti: la sensazione che qualcosa di importante si avvicinava spesso, ma era una sensazione non condivisibile col terapeuta. Alcuni, invece, riferivano di avere una visione generale positiva dei terapeuti ma li consideravano poco impegnati.

Un problema ricorrente tra i pazienti era provare sentimenti di incertezza circa gli obiettivi della terapia e le modalità per raggiungere gli stessi.

I ricercatori, sulla base delle risposte dei pazienti, sostengono che il possibile errore dei terapisti che hanno lavorato con il gruppo dei pazienti non migliorati potrebbe essere quella di aver aderito troppo rigidamente alla tecnica psicoanalitica tradizionale (aver sostenuto momenti di silenzio prolungati orientando il focus della terapia su esperienze infantili nella vita familiare).

In seguito i terapeuti, invitati dai ricercatori a riflettere su una terapia più giusta per questo tipo di pazienti, hanno riconosciuto l’utilità di una terapia più direttiva, più orientata allo scopo e all’azione. Da ricerche precedenti emerse invece che pazienti insoddisfatti della  terapia cognitivo-comportamentale sostenevano di preferire una tecnica terapeutica più focalizzata sulla riflessione e comprensione.

Gli autori hanno riscontrato poi una difficoltà da parte dei terapeuti di riconoscere il momento in cui la terapia non risulta essere efficace. Per rimediare a questo inconveniente, propongono di utilizzare interviste che possano indagare il gradimento del paziente verso la terapia in corso ed eventualmente aprire discussioni utili per garantire l’efficacia della terapia.

Al contrario di quanto avvenuto nel gruppo di pazienti che hanno mostrato un miglioramento immediato grazie alla psicoterapia, un aspetto positivo che ha coinvolto i pazienti che non sono migliorati è che nella fase tra la fine della terapia e il follow-up si ha una diminuzione dei sintomi.

 

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Veronica Iazzi
Veronica Iazzi

Dottoressa Magistrale in Psicologia Clinica, dello Sviluppo e Neuropsicologia

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