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Le parole sono importanti: psicoterapeuti e “psicanalisti”

Una delle ragioni che non aiutano la crescita professionale del mestiere di psicoterapista è la confusione terminologica. Ci sono troppe parole...

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 05 Gen. 2015

Una delle ragioni che non aiutano la crescita professionale del mestiere di psicoterapista è la confusione terminologica. Ci sono troppe parole per troppi concetti. Prima di tutto il dilemma: psicoterapista o psicoanalista? Poi le varianti: analista, psicoterapista, psicoterapeuta, terapista, terapeuta. E infine le specializzazioni: psicoterapista psicodinamico (o solo dinamico), cognitivo, cognitivo-comportamentale, sistemico, familiare, umanistico, esperienziale e così via.

Troppe parole creano confusione. Per comunicare occorre semplificare. Meglio sarebbe convenire su una sola parola per iniziare a capirsi. Però a volte il rimedio scelto è peggiore del problema. E già, perché il termine più diffuso tra i non addetti ai lavori per indicare la nostra professione sembra ancora essere “psicoanalista” o –peggio- “psicanalista” senza la “o”, con inevitabile effetto retrò anni ’70. No, “psicoanalista” o “psicanalista” non sono le parole giuste per indicare il nostro mestiere. Indicano solo un gruppo che effettua un determinato tipo di psicoterapia. Appunto la psicoanalisi. La parola giusta è “psicoterapista” o, se si preferisce, “psicoterapeuta”.

C’è cascato anche il Post, che ha pubblicato un estratto di un bel libro di fotografie, cinquanta ritratti di psicoterapisti effettuati da Sebastian Zimmermann. Il libro s’intitola “Fifty shrinks”, ovvero “Cinquanta strizza-cervelli”.

La scelta del Post di rendere “Fifty shrinks” con “Gli psicanalisti a New York” è comprensibile.

“Shrink “è un termine gergale intraducibile in italiano. Nel doppiaggio al cinema o nei fumetti è reso con “strizza-cervelli”, parola che convenzionalmente fornisce l’appropriato saporino americano alla conversazione dei personaggi. Nessuno però userebbe “strizza-cervelli” in una conversazione normale, così come nessuno dice mai “chiudi il becco” in italiano. Al Post avranno pensato giustamente che in un titolo di giornale “strizza-cervelli” sarebbe suonato fumettistico. Meglio “psicoanalista”, che a quanto pare nella conversazione sociale italiana è ancora il termine più popolare per indicare il nostro mestiere.

D’accordo, tutto vero. “Shrink” però ha un merito: è un termine neutro, che va bene per qualunque tipo di psicoterapista. E non per caso Zimmermann ha scelto questo termine neutro. Gli “shrinks” che lui ha fotografato non sono tutti psicoanalisti. Tra le foto di Zimmermann pubblicate nel Post la numero #5 ritrae Albert Ellis, che, a parte il periodo iniziale, tutto è stato nella sua vita professionale meno che uno psicoanalista. Anzi, Ellis è uno dei fondatori della terapia cognitivo-comportamentale. Una psicoterapia diversa dalla psicoanalisi.

Esageriamo?

La tentazione di lasciar perdere ci sarebbe. In fondo si tratta di parole. Le parole sono strumenti e devono il loro significato a convenzioni effimere e mutevoli. Lasciamo ai pedanti la mistica del significato esatto delle parole. Può accadere che un termine particolare indichi un più ampio insieme, senza danno per la comprensione.

Però noi della redazione di State of Mind riteniamo che in questo caso il danno per la comprensione ci sia. Al contrario di quanto accade nella conversazione sociale, nel campo professionale il termine “psicoanalisi” non è diventato il termine comune e neutro da tutti accettato per indicare il nostro mestiere, la pratica psicoterapeutica. Non basta. Gli stessi psicoanalisti ci tengono moltissimo a distinguere la loro pratica non solo dalle psicoterapie non psicoanalitiche, ma anche dalle psicoterapie di derivazione psicoanalitica che non sono psicoanalisi pura. Queste sono chiamate “psicoterapie psicodinamiche”.

Bene sarebbe iniziare ad abituarsi anche nella conversazione sociale e popolare italiana a usare un termine appropriato. “Psicoterapia”, “psicoterapista” e/o “psicoterapeuta” sono le parole giuste. Non così evocative come “psicoanalista”, ma molto più precise e appropriate. Comprendiamo che la pletora di sottotipi di psicoterapie, compresa la psicoanalisi, sono una giungla che probabilmente crea confusione nei non addetti ai lavori. Tuttavia usare in maniera imprecisa e indiscriminata i termini “psicoanalisi”, “psicanalisi”, “psicoanalisti” e “psicanalisti” è confusivo e non aiuta noi professionisti a far capire ai pazienti quale trattamento forniamo e soprattutto non aiuta i pazienti a comprendere cosa possono aspettarsi e cosa cercare per la loro sofferenza.

 

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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