Dedichiamo un momento di riflessione alla memoria: accantoniamo le ben conosciute teorie che la catalogano come magazzini a breve e lungo termine, stazioni di lavoro al servizio di altre funzioni psicologiche, e con l’aiuto dell’articolo pubblicato da Jens Brockmeier, superiamo l’idea riduttiva di memoria come archivio.
La memoria è una delle funzioni psicologiche più affascinanti essendo l’essenza della nostra identità e dell’esistenza di ciascuno. Quanto terrore all’idea delle patologie che colpendo la memoria vanno al cuore del nostro essere in quanto individui non puramente biologici ma anche culturali.
Dunque dedichiamo un momento di riflessione alla memoria: accantoniamo le ben conosciute teorie che la catalogano come magazzini a breve e lungo termine, stazioni di lavoro al servizio di altre funzioni psicologiche e con l’aiuto dell’articolo pubblicato da Jens Brockmeier, superiamo l’idea riduttiva di memoria come archivio.
La crisi della memoria come archivio e magazzino passa da studi che ne evidenziano la scarsa stabilità e l’ incoerenza (Young, 2008) a ricerche cliniche sulla False Memory Syndrome (Conway, 1997) sottolineando la malleabilità, la plasticità e il carattere interattivo-dialogico dei nostri ricordi.
La memoria è qualcosa di più, memoria sono le pratiche sociali e culturali della nostra quotidianità, ricordare e dimenticare significa non replicare ma ricostruire e ricostruire di nuovo le nostre esperienze. Inoltre la memoria non è solo affare psicologico.
Nell’articolo si evidenziano altri campi di studio che ne mettono in crisi la semplicistica nozione di archivio: dalle scienze storiche alla tecnologia fino alle scienze neurobiologiche. Nell’ambito storico si osserva lo studio di nuovi generi di memorie narrative collettive e politiche (Andrews, 2007) che portano il concetto di memoria strettamente interdipendente con le pratiche sociali e culturali di un certo momento storico. La tecnologia e i nuovi media: il fenomeno globale della rivoluzione digitale è di fatto una rivoluzione della memoria e della comunicazione umana che presenta una serie di conseguenze e implicazioni psicosociali sul processo mnestico in sé, sulle pratiche e sulle azioni del ricordare e dimenticare nonché sulla modificazione delle nostre funzioni cognitive (Dijck, 2007).
Da non trascurare l’influenza degli studi di psicologia cross-culturale: se la memoria è dialogica e narrativa (Nelson, 2007), se la conversazione e il narrare seguono le convenzioni e le pratiche culturali, allora le memorie avranno aspetti di variazione culturale: nelle culture ad alta contestualizzazione – come ad esempio il Giappone-la temporalità nella memoria autobiografica è concepita in modo ciclico, a differenza dei paesi occidentali a bassa contestualizzazione in cui il tempo nelle nostre menti e nelle narrazioni è tipicamente lineare (Yamada e Kato, 2006).
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BIBLIOGRAFIA:
- Andrews, M. (2007). Shaping history: Narratives of political change. Cambridge: Cambridge University Press.
- Brockmeier, J. (2011). After the Archive: Remapping Memory. Culture and Psychology, vol.16-1, 5-35
- Bartlett, F.C. (1932). Remembering. Cambridge: Cambridge University Press.
- Conway, M.A. (1997). Recovered memories and false memories. Oxford: Oxford University Press
- Dijck, J.V. (2007). Mediated memories in the digital age. Stanford, CA: Stanford University Press.
- Nelson, K. (2007). Developing past and future selves for time travel narratives. Behavioral and Brain Sciences, 30, 327–328.
- Yamada, Y., & Kato, Y. (2006). Images of circular time and spiral repetition: The generative life cycle model. Culture & Psychology, 12, 143–160.
- Young, M. (2008). The texture of memory: Holocaust memorials in history. In A. Erll & A. Nünning (Eds.), Cultural memory studies: An international and interdisciplinary handbook (pp. 357–365). Berlin & New York: de Gruyter.