“Il cane vuole essere il migliore amico dell’uomo, il gatto non proprio”.
Chiunque abbia una miagolante palla di pelo per casa sa benissimo che questa è una sacrosanta verità. Ci ostiniamo a vedere i gatti come i nostri pelosetti carini e coccolosi e a considerarli animali domestici, ma la realtà è che i gatti sono animali semi-addomesticati.
Provate a confrontare un gatto con il suo parente selvatico (Felis silvestris): il volatile che vi ritrovate ogni tanto agonizzante sul balcone di casa è la prova che il gatto, come il suo cugino selvaggio, possiede ancora grandi abilità di cacciatore (a differenza del placido cocker spaparanzato sul divano che con il suo parente lupo sembra quasi non avere più nulla in comune).
Ciononostante i gatti presentano anche le caratteristiche tipiche degli animali addomesticati, come per esempio il cranio più piccolo rispetto ai loro parenti selvatici (perché fauci enormi per mangiare cibo in scatoletta non servono più a nulla) e un cervello di minor dimensione (perché la necessità aguzza l’ingegno e l’intelligenza al servizio della sopravvivenza diventa inutile quando si vive al sicuro fra quattro mura domestiche), che derivano da una pressione selettiva genetica del processo di domesticazione. Questo processo ha investito nel corso dell’evoluzione anche l’Uomo; non stupisce infatti che la massa corporea e le dimensioni del nostro cervello abbiano raggiunto un picco durante il termine dell’era glaciale per poi diminuire con il diffondersi dell’agricoltura.
Nel momento in cui l’Uomo ha abbracciato la vita sedentaria, costituito ampi gruppi sociali, modificato le proprie abitudini alimentari (più porridge, meno carne cruda), è andato incontro a mutamenti importanti che hanno interessato, per esempio, la conformazione del cranio e dei denti, e il colore della pelle; ma fatto ancora più interessante, probabilmente la necessità di difendere i propri granai da parassiti come i roditori, ha spinto l’Uomo ad addomesticare i gatti selvatici, col risultato che vivere insieme ai gatti tra le tante cose ha significato condividerne le malattie, il che ha comportato un rimodellamento del nostro sistema immunitario.
Razib Khan, dottorando in genomica presso la University of California, Davis, nel suo articolo “Our Cats, Ourselves” pubblicato sul NewYork Times, illustra in maniera affascinante come ambiente e genoma interagiscano tra di loro influenzandosi a vicenda nel corso dell’evoluzione, sottolineando come sia fondamentale, per capire chi siamo veramente e dove stiamo andando, riconoscere quanto noi rimodelliamo chi ci sta intorno, e viceversa. Queste osservazioni ci lasciano curiosi del futuro, da un lato ma ci lasciano anche un dubbio tremendo su di noi, fosse che con tutti i tool per facilitarci la vita, stiamo iniziando a perdere testa?
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