È un esercito di vanagloriosi, quello dei vecchi, troppo intenti a mostrarsi ancora forti e capaci, non finiti, da non capire quanto una battaglia contro i giovani sia inutile e infruttuosa e vada contro la bellezza, la natura e la vita stessa.
Il giornalista e scrittore Michele Serra ci presenta con dolceamara ironia la sua visione di paternità, ponendosi dal di dentro. È lui il padre ed è suo il figlio portati ad esempio, sullo sfondo di una modernità, anche emozionale, che li ospita.
Nonostante la brevità dello scritto, nelle pagine si intrecciano tre strade narrative: episodi quotidiani del rapporto tra il Serra-padre e suo figlio adolescente, a cui si interpongono spezzoni di un romanzo sarcastico, che l’autore dichiara di voler scrivere, ambientato in un futuro ipotetico e che racconta della grande guerra finale tra giovani e vecchi. Compaiono, inoltre, brevi flash di una gita in montagna.
Il fil rouge è lo scambio intergenerazionale tra gli “eretti” e gli “sdraiati”, tra vecchi padri e giovani figli, tra generazioni consecutive ma allo stesso tempo lontane.
Forse a causa di una modernità più larga e più comoda, sono le posizioni ad essere cambiate, e con esse la visione che ciascuna prospettiva comporta. Il rapporto genitori/figli che emerge dall’asciutta prosa dell’autore è un rapporto di conflitto, di incomprensioni, di mancata conoscenza reciproca e di una conseguente estraneità che connota questa coppia relazionale e ne allontana i membri.
La voce del padre che urla tre le righe del romanzo sottilmente racconta proprio di una non comprensione e per certi aspetti di una non accettazione del mondo dei figli, che può evolversi in un’inadeguatezza nell’avvicinarsi a loro, o addirittura in un’ostilità. Ciò che non si conosce, spaventa e ciò che spaventa, o si allontana o si combatte.
Proprio quello che l’autore si propone di portare in scena nel fantascientifico romanzo di cui anticipa la genesi: è la lotta tra vecchi e giovani, tra la superiore lungimiranza dei primi e la confusione dei ultimi. È un esercito di vanagloriosi, quello dei vecchi, troppo intenti a mostrarsi ancora forti e capaci, non finiti, da non capire quanto una battaglia contro i giovani sia inutile e infruttuosa e vada contro la bellezza, la natura e la vita stessa.
Nell’epilogo della gita in montagna, infine, fa capolino l’essenzialità del messaggio dell’autore/padre. Bastano due sillabe urlate al fondo di un sentiero nel paesaggio dove ancora galleggiava la sua infanzia a destarlo dal dialogo mentale che si snoda per tutte le 100 pagine: è un’accusa, un richiamo all’ordine. “Io – non altri- sono quelle due sillabe. Io sono quello che deve. Forse non vuole, forse non può, comunque deve” (p. 107). È un riconoscimento: la restituzione da parte del figlio al padre, del giovane al vecchio, dell’importanza di un ruolo, del suo peso imprescindibile, della sua necessaria presenza.
Al di là di regole, schemi, consigli, cioè che rende genitori è esserci nella relazione, riconoscere la propria parte, senza dare per scontata l’assoluta adesione alla stessa. Si diventa genitori, ma si continua ad essere persone che seguitano comunque a vivere: “L’amore naturale che si porta ai figli bambini non è un merito. Non richiede capacità che non siano istintive. Anche un idiota o un cinico ne è capace. […] E anni dopo, è quando tuo figlio si trasforma in un tuo simile, in un uomo, in una donna, insomma in uno come te, è allora che amarlo richiede le virtù che contano. La pazienza, la forza d’animo, l’autorevolezza, la severità, la generosità, l’esemplarità…troppe, troppe virtù per chi nel frattempo cerca di continuare a vivere.” (p. 21).
È una sagoma paterna (più in generale, genitoriale) delicata, quella che compare sullo sfondo del romanzo, che rappresenta anche un elogio ad una generazione tanto discussa, ma forse poco compresa. Sono gli sdraiati e i loro padri.
ARTICOLO CONSIGLIATO:
I papà vengono da Marte e le mamme da Venere – Recensione
BIBLIOGRAFIA:
- Serra, M. (2013). Gli sdraiati. Feltrinelli Editori, Milano.