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Winter Sleep, Il Regno d’Inverno (2014) – Cinema & Psicologia

Un film dal sapore amaro, come le relazioni che si trascinano nei bisogni inespressi. Lo spettatore metterà in discussione le parti più profonde di sé.

Di Rossana Piron

Pubblicato il 29 Ott. 2014

Aggiornato il 05 Nov. 2014 12:05

Un film straordinario e dal sapore amaro, come quello che accompagna le relazioni che si trascinano nel vortice dei bisogni inespressi, della castrazione emotiva e della rivendicazione, e che obbliga lo spettatore a mettere in discussione le parti più profonde di sé.

Vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2014, il film il Regno d’Inverno – Whinter Sleep di Nury Bilge Ceylan, è un’indagine lenta quanto dolorosa sui lati più oscuri dell’animo umano. Un film avvincente dal punto di vista emotivo, dove il regista riesce magistralmente a portare lo spettatore verso la dissacrazione degli ideali, della morale e dei sentimenti. Una storia di solitudini, di aspettative mancate, di colpe inveite e richieste di perdono celate dall’orgoglio.

Le personalità dei protagonisti si svelano progressivamente, abbandonando le maschere dell’ipocrisia e del perbenismo per lasciare spazio alla rivendicazione e alla rabbia.

Il protagonista Aydin, ex attore di teatro, decide di ritirarsi dalle scene insieme alla moglie per rifugiarsi in un albergo di sua proprietà, l’Othello, incastonato nei monti aggrovigliati dell’Anatolia. L’arrivo dell’inverno accresce ancor di più la discrepanza tra l’immobilità delle sconfinate lande cappadociche coperte di neve e l’oscurità dei cunicoli dell’albergo, dove si sviscerano i monologhi dei personaggi principali. Le discussioni si fanno sempre più incalzanti, i litigi non sconfinano quasi mai nella rabbia espressa, ma vengono controllati egregiamente, come sa fare chi trova nelle parole armi fendenti e lame affilate.

Con lui c’è la dolce e cara Nihal, giovane moglie e compagna di vita, che lascia da parte le proprie aspirazioni in virtù di una vita agiata, fino al crollo. Dopo anni di litigi e turbolenze emotive sceglie di vivere in un’ala distaccata dell’albergo, dove cerca di ritrovare se stessa impegnandosi a inseguire ideali di solidarietà nei confronti dei più disagiati. Sola e disillusa, riverserà sul marito il proprio senso di inadeguatezza e fallimento esistenziale, che porterà alla rottura definitiva della relazione.

Altra figura di spicco nelle vicende sentimentali è la sorella di Aydin, che vive con la coppia. Ancora alle prese con l’elaborazione della separazione dal marito alcolista, intrattiene lunghe chiacchierate con il fratello nella penombra di una piccola stanza, in un crescendo di toni di autocommiserazione ad attacchi diretti verso le reciproche aspettative disattese.

Il protagonista cerca di arrabattarsi in tutte le vicende emotive che si susseguono, cercando la fuga nella scrittura di un libro sulla storia del teatro turco. Personaggio emblematico, dalla mente autarchica e dai connotati malinconici, rivela nel corso del film una celata arroganza e tratti narcisistici che gli impediscono di far fronte in modo empatico alle richieste emotive della moglie e della sorella. Il rifugio da lui costruito diventa la tana di ricordi gloriosi e teatro di dissapori, ai quali risponde con un viaggio verso Istanbul per approfondire gli studi.

Da qualcuno è stato definito un film presuntuoso, nei suoi 196 minuti, forse quanto può esserlo l’animo umano, quando il bisogno di proteggere il proprio mondo interno spinge verso l’incomunicabilità e l’incapacità di riflettere sulle proprie mancanze.

Un film lentissimo e al contempo violento, tale da lasciare lo spettatore incollato allo schermo nella speranza di una riconciliazione. Nelle battute finali il protagonista torna al rifugio. Rimangono nella mente le immagini sbiadite della moglie dietro alla finestra e il monologo interno di lui, mentre chiede perdono per una colpa che non conosce.

Un film straordinario e dal sapore amaro, come quello che accompagna le relazioni che si trascinano nel vortice dei bisogni inespressi, della castrazione emotiva, della rivendicazione e che obbliga lo spettatore a mettere in discussione le parti più profonde di sé.

 

TRAILER DEL FILM:

 

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Rossana Piron
Rossana Piron

Tecnico di Riabilitazione Psichiatrica, Psicologa clinica

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