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La costruzione dei ricordi: Il senso di una fine di Julian Barnes (Recensione)

Il libro spazia tra passato e presente, tra l’attuale vita di Tony e il suo passato da adolescente. Colpisce come nel romanzo si trovi tanta psicologia.

Di Chiara Niger

Pubblicato il 24 Set. 2014

Aggiornato il 09 Mar. 2015 09:16

Il libro spazia tra passato e presente, tra l’attuale vita di Tony (in pensione e separato) e il suo passato da adolescente e da ragazzo. Colpisce, a volte, come in un romanzo si trovi tanta psicologia quanta se ne possa trovare in un manuale universitario.

Colpisce, a volte, come in un romanzo si trovi tanta psicologia quanta se ne possa trovare in un manuale universitario. Leggendo anche i trascorsi e le vicende degli autori, si riesce a fare una serie di collegamenti e associazioni che fanno capire quanto i temi che emergono nel corso della lettura siano in realtà strettamente legati alle vite personali di chi quel libro l’ha scritto. 

Julian Barnes è uno scrittore inglese, vincitore con il libro Il senso di una fine del Booker Prize del 2011. Nel suo ultimo libro, Livelli di vita, parla della tragica esperienza della morte della moglie avvenuta nel 2008. In una recente intervista (Il dolore non serve a niente– Repubblica delle idee) dichiara quanto sia stato terapeutico per lui tenere un diario dal momento in cui ha saputo della malattia della moglie. …temevo di dimenticare, confida.

E sono proprio i temi della memoria e del ricordo che emergono prepotentemente dalle pagine che raccontano la vita relativamente tranquilla di Tony Webster.

Il libro spazia tra passato e presente, tra l’attuale vita di Tony (in pensione e separato) e il suo passato da adolescente e da ragazzo. Un gruppo di quattro amici separati dalle vicende della vita, una ragazza un po’ particolare che, dopo aver preferito il suo amico Adrian a lui, ritorna dopo anni come portatrice di elementi di cambiamento, fanno da sfondo ai ricordi di Tony. Fino ad arrivare alla morte per suicidio dell’amico Adrian e all’arrivo in eredità del suo diario.

Ciò che emerge dal racconto di Barnes è il concetto di memoria, non come copia fedele degli eventi trascorsi bensì come meccanismo attivo di costruzione e trasformazione. Tale concezione può essere ricondotta, in ambito psicologico, alle prime teorie di Bartlett che assimilava la memoria a uno schema, cioè a una struttura organizzata che guida il nostro comportamento, un modello che può essere modificato per adattarsi a circostanze diverse. Bartlett si oppose alle concezioni cognitiviste precedenti, come quella di Neisser, che propendevano più per un’ipotesi di riapparizione dei ricordi. Ovvero, i ricordi potevano ritornare alla memoria così come erano stati immagazzinati.

Ciò che Bartlett rivoluzionò fu la possibilità di integrare i processi mnestici ad altri processi cognitivi come quelli legati alle emozioni, alle motivazioni e all’immaginazione. Il legame tra memoria ed emozioni è ben esplicato dall’Associative Network Model che spiega, in un modello generale, come sono connessi affettività e cognizione (Mecacci, 2001).

La memoria opererebbe quindi una ricostruzione adattiva, integrando passato e presente. Non è quindi una mera riproduzione del passato. Lo stesso Barnes ci dice che molte volte, raccontando la storia della nostra vita la aggiustiamo, la miglioriamo, applicandovi tagli strategici. Tale meccanismo potrebbe servire per molteplici scopi come per esempio salvaguardare la propria identità escludendo tutto ciò che risulta essere dissonante, mirando quindi a una coerenza.

E alla coerenza mira anche la narrazione. Ricordare qualcosa, infatti, somiglia molto al raccontare una storia. Per questo motivo la memoria potrebbe seguire gli stessi principi della struttura narrativa. Tony, rivedendo i suoi ricordi alla luce di nuovi elementi emersi anni dopo, afferma come

la nostra vita non è la nostra vita ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri ma soprattutto a noi stessi.

Infatti, la teoria dei flashback di memoria (New Print Theory) prevede proprio l’importanza, per la maggior vividezza del ricordo, della reiterazione verbale e dei resoconti forniti ad altre persone (Brown & Kulik, 1977).

I personaggi di questo libro, avvolti a tratti da un’atmosfera che sembra fredda e lugubre, vanno alla disperata ricerca di un senso. Quindi non solo il senso di una fine, ma probabilmente anche di una vita.

Ognuno di loro sembra interrogarsi sul senso del mondo e dello stare al mondo: c’è chi non sceglie e chi invece vuole poter scegliere se andare avanti oppure no, prendendo in mano le redini della vita e della sua fine. Questa ricerca dura tutta la vita. Ma alla fine la risposta non arriva. Anzi,quando crediamo di aver compreso qualcosa, di aver messo insieme i tanti pezzettini del puzzle, in realtà ci accorgiamo di non aver capito nulla.

Tra diario e narrazione autobiografica, concezione costruttivista della memoria e creazione dell’identità mediante narrativa, molti sono i temi legati agli studi psicologici che rendono questo libro piacevole da leggere e anche molto istruttivo.

 

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