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Mondovisione di Ligabue: recensione – Psicologia & Musica

Un viaggio tra le sonorità del cantautore, tra i testi delle sue canzoni: il mondo non appare più sgualcito perche sono sempre i sogni a dare vita al mondo.

Di Selene Pascasi

Pubblicato il 04 Set. 2014

Aggiornato il 25 Set. 2017 10:32

Un viaggio doloroso, ma positivo: nell’ultima di copertina Ligabue osserva il cielo e le sue stelle, dalla prospettiva di un mondo non più sgualcito e spiegazzato perché Sono sempre i sogni a dare forma al mondo

 

Un mondo accartocciato, come un foglio pronto a finire in un cestino. Un mondo distratto, ma non distrutto. Un mondo che ha ancora qualcosa da dire, che reclama attenzione, abbracciato da ringhiere in cui il titolo del disco è impresso in lettere di un Carosello d’annata.Un mondo pronto a (ri) partire dal metallico tunnel di un aeroporto (seconda e terza di copertina), per attraversare luoghi, vivere guerre, terremoti, lutti, in un viaggio di istantanee dirette e senza sconti incastonate tra i testi.

Un viaggio doloroso, ma positivo: nell’ultima di copertina l’artista osserva il cielo e le sue stelle, dalla prospettiva di un mondo non più sgualcito e spiegazzato perché – e così chiude l’album

Sono sempre i sogni a dare forma al mondo.

Questa, la visione del mondo che Luciano Ligabue consegna al suo pubblico, con Mondovisione (Zoo Aperto srl, distribuzione Warner Music). Il lavoro, giunto a più di tre anni di distanza da Arrivederci Mostro, racconta in 14 tracce, di cui 2 strumentali, il percorso dell’artista, i suoi cambiamenti (non solo nel look), le sue esperienze e quelle di un’intera umanità ormai disabituata a
comunicare.

Un’evoluzione che si specchia anche nei suoni, sulla cui ricerca – afferma il cantautore in conferenza stampa – è confluito l’impegno maggiore. L’intento, sostiene, è quello di creare un prodotto il più possibile omogeneo all’ascolto, dove live e registrato riescono quasi a confondersi nelle stesse sonorità.

Più leggeri, anche alcuni arrangiamenti ed inserite – per dare respiro all’ascolto – le brevissime pause strumentali Capo Spartivento e Il Suono, Il Brutto e Il Cattivo. Il desiderio, sostiene, era quello di fare un disco in cui fossi presente e che rispecchiasse il suono del gruppo attuale e che schivasse il metodo di lavoro dei dischi moderni.

In fondo, per l’artista (Conferenza stampa, Milano, 22.11.13), il rock è il modo migliore per urlare i propri sentimenti in faccia alla gente .

Ad aprire il lavoro, è Il muro del suono. Un suono, senza compromessi e dal sapore live, quello delle chitarre che accompagnano l’urlo di rabbia che l’artista lancia contro chi riesce a dormire/comunque sia andata. Sotto accusa, gli occhi da sempre/distratti del mondo, dove ogni storia è riscritta in economia, dove i tempi della giustizia lacerano vite, dove il vampiro – nella scalata al successo – non chiede scusa e non paga per tutto quel sangue.

Ma quella gridata dal cantautore non è solo indignazione. È impulso ad abbattere il muro, a reagire, a trasformare la difficoltà in opportunità. Si, perché ognuno di noi può far molto. Si, perché un cerino sfregato nel buio/fa più luce di quanto crediamo.

Venature soul e sound più dolce, per Siamo chi siamo, seconda traccia in cui Ligabue si abbandona, nel cantato e nel recitato di chiusura, a riflessioni più introspettive, in cui l’ascoltatore può ritrovarsi mentre si osserva allo specchio e comprende che da certe certezze non si scappa. E se la vita non da indicazioni, ti mette lì a sbagliare, a scegliere percorsi tra mille incroci, sono le rughe a parlar chiaro dei tentativi che non ho mai fatto.

 

Tornano a vestirsi di rock, le note di Il volume delle tue bugie, quadro del disincanto femminile di chi scopre che la fiaba è ben diversa dalla realtà e si tatua un’anima dura dentro/molto più di quel che basta. Un brano che si fa apprezzare per la penna capace di delineare con estremo realismo il vissuto di una donna ferita, che ormai arrotonda per difetto e che mente – tradendosi – quando, di fronte al mare gira in fretta gli occhi e il cuore.

E non credo sia un caso, che il terzo brano lasci il posto alla favola, questa volta a lieto fine, il cui narrato è accompagnato dalla seducente atmosfera melodica di La neve se ne frega (già titolo di un romanzo di Ligabue). La ballata si muove sul suono fiabesco di una chitarra che trova il suo dialogo, nelle ultime note, in un pianoforte che non stupisce ma rassicura. Un brano che si ascolta
a sensi aperti, immaginandosi sfiorati dalle piume di una neve che cade e che costringe ad un tempo diverso. Molto intima, l’istantanea in cui il parlami davvero/dentro questo gelo ed il baciami davvero/che non casca mica tutto il cielo/che ci stiamo ancora sotto insieme evocano la magia di due ciglia bagnate che si promettono di tutto.

Torna il sociale con il singolo di lancio “Il sale della terra”, denuncia a chi, Montblanc tra le dita, può farti fuori. Nessuna impronta politica, però, perché anche le canzoni d’incazzatura sono canzoni sentimentali (dall’intervista concessa a Fabio Fazio).

Ancora amore in Tu sei lei, dichiarazione d’eterno che riflette il sogno di ogni donna: essere scelta, nonostante i difetti come il domani, il futuro, il progetto del proprio uomo. Un uomo che i tuoi occhi li conosce davvero (io li ho visti spesso nudi/ma non si vedeva mai la fine”).

Inietta energia pura, il rock della traccia Nati per vivere, in cui la rabbia diventa motivo per ricordarci che siamo sulla terra per vivere adesso e qui.

Una vita messa a dura prova in La terra trema, amore mio, pezzo dedicato al sisma che ha colpito l’Emilia e al bisogno vitale di una profonda ricostruzione – non solo architettonica – ma esistenziale (sottolinea il cantautore), tesa a riconquistare punti di riferimento, affetti e certezze. Amore, distruzione e morte, dunque, ma anche rinascita. Queste le chiavi del domani. Del resto, una catastrofe che cristallizza gli animi di fronte a L’urlo delle viscere – sia consentito citare un mio componimento poetico, scritto nella notte del sisma che ha distrutto la mia città nel 2009 – cambia prospettive e aspettative, perché ti pone di fronte ad un quadro in cui, paralizzato, vedi solo anziani fermi al muro/bambini già fantasmi/e intorno solo vuoto.

Si torna ai primi amori, all’infanzia, alla famiglia, con Per sempre, nostalgica ballata che libera nell’aria toccanti flashback, fotografie di attimi vissuti con i propri genitori, ai quali canta per sempre/solo per sempre/cosa sarà mai portarvi dentro solo tutto il tempo. Un eterno racchiuso in pochi istanti, tra un parlato e un assolo di chitarra. Un brano che arriva.

Il contrasto tra la poesia del Natale ed il dolore intenso di un lutto che svuota di senso ogni pensiero, che ti fa riflettere su cosa c’è e cosa no, è ben narrato in Ciò che rimane di noi, a mio parere uno dei brani più intensi del lavoro. E la melodia, con la sua alternanza di suoni, a volte morbidi ed altre graffianti, si armonizza alla sofferenza e alla voglia di comprendere come non è andata/e cosa non è stato. L’invito, è a cogliere l’essenza di ciò che rimane al di là di un’emozione effimera, che (e prendo in prestito le parole dell’autore) dura cinque minuti e poi passa.

Non poteva mancare, poi, sulla scia dei Sogni di rock’n’roll e di In pieno rock’n’roll, un richiamo diretto allo stile amato dall’artista, che Con la scusa del rock’n’roll (track n. 13) sostiene di aver detto cose che potevo non dire e fatto cose che potevo non fare.

Ligabue ci saluta con Sono sempre i sogni a dare forma al mondo. Sonorità che vogliono adagiarsi, senza soffocarle, sulle sensazioni regalate all’ascoltatore. L’idea è quella di trasmettere la forza di credere ancora al potere dei sogni, perché – afferma il cantautore – qualsiasi cosa abbia plasmato il mondo, è passata attraverso il sogno di qualcuno che poi l’ha realizzato.

Ecco che anche il sogno diviene realtà, strumento e mezzo per restituire al mondo quella dignità e quella forma di cui la società
ha saputo privarlo.

E se noi siamo fatti anche di canzoni – perché noi siamo storia e perché la citazione è il sintomo d’amore al quale non sappiamo rinunciare (dalla sinossi all’opera di G. Antonelli: Ma cosa vuoi che sia una canzone) – Ligabue ci ha consegnato molto di se (confessa: ho raccontato tutto nelle mie canzoni. Mi sono spolpato).

Non resterà, allora, che indagarci dentro per comprendere se davvero vogliamo che la nostra terra continui a ruotare attorno ad un format, trasmesso in Mondovisione, figlio di presunzione, aridità e superficialità. E se non è questo che vogliamo, allora restituiamo sale a questa terra e forma al mondo.

 

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BIBLIOGRAFIA:

  • Ligabue, L. (2013). Mondovisione. Zoo aperto. Warner Music distribuzione ACQUISTA
  • Antonelli, G. (2010) Ma cosa vuoi che sia una canzone. Il Mulino ACQUISTA
  • Ligabue, L. (2013) La vita non è in rima (per quello che ne so). Intervista sulle parole e i testi a cura di G. Antonelli, Laterza  ACQUISTA
  • Pascasi, S. (2013). L’urlo delle viscere (tratto da Con tre quarti di cuore). Edizioni Galassia Arte ACQUISTA

 

 

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Selene Pascasi
Selene Pascasi

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Scrittrice

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