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Problemi di salute mentale & rischio maggiore di essere vittime di omicidio

Pazienti con diagnosi di malattie mentali avrebbero un rischio due volte e mezzo maggiore della popolazione generale di essere vittima di un omicidio.

Di Roberta Mazzara

Pubblicato il 03 Lug. 2014

 

 

FLASH NEWS

Pazienti con diagnosi di malattie mentali avrebbero un rischio due volte e mezzo maggiore della popolazione generale di essere vittima di un omicidio.

Questa sarebbe l’allarmante conclusione raggiunta da uno studio nazionale, pubblicato sulla rivista The Lancet Psychiatry, che ha esaminato le caratteristiche delle vittime di omicidio in Inghilterra e Galles.

Generalmente gli omicidi commessi da pazienti psichiatrici ricevono maggiore attenzione mediatica, ma il rischio di tali soggetti di essere le vittime di atti criminali e la loro relazione con gli aguzzini, raramente sono stati esaminati.

In tale studio, il National Confidential Inquiry into Suicide and Homicide by People with Mental Illness (NCI), ha esaminato i dati relativi alle vittime e ai carnefici di tutti gli omicidi commessi in Inghilterra e nel Galles tra il Gennaio del 2003 e il Dicembre del 2005. I ricercatori hanno trovato che in tale lasso di tempo le vittime di omicidio erano state 1496 e che il 6% di queste (90) era stato fruitore dei servizi di salute mentale negli anni precedenti la morte. Inoltre, un terzo di tali soggetti (29) erano stati a loro volta vittima di altri pazienti con problemi mentali, i quali potevano essere il loro partner, un membro della famiglia o comunque un loro conoscente, spesso frequentatori della stessa struttura di riferimento. Abuso di alcool e droga e una storia passata di violenza sono spesso presenti sia nelle vittime che negli assassini.

Come ha affermato il Professor Louis Appleby della University of Manchester, UK, “Il nostro risultato mostra come il personale sanitario dei servizi di salute mentale dislocati in Inghilterra e nel Galles si possa aspettare che almeno uno dei propri pazienti sarà vittima di un omicidio circa ogni due anni”. E aggiunge “Valutare il rischio di suicidio e di violenza dei paziente è una pratica consolidata, ma esaminare il rischio di essere vittima di violenza non lo è. Capire che il rischio che un paziente si trova ad affrontare può dipendere dal contesto di vita in cui si trova – ad esempio il fatto che faccia uso di alcool o droga, o il contatto con altri pazienti con una storia di violenza agita alle spalle – e valutare appropriatamente tale rischio dovrebbe diventare un elemento chiave del piano di cura”.

D’accordo anche la Dott.ssa Alyssa Rheingold della Medical University of South Carolina, USA, che aggiunge: “I ricercatori suggeriscono che fattori di rischio quali uso di sostanze, basso status socioeconomico, tipo di psicopatologia e comportamenti che aumentino tali rischi debbano essere indagati”.

Sono necessari ulteriori approfondimenti su tali caratteristiche individuali, sulla loro interazione e sul loro contributo al rischio di omicidio. Tuttavia, una piena comprensione di tali fattori di rischio sarà difficile da realizzare in vista dei potenziali effetti di fattori individuali, situazionali e sociali.

I ricercatori devono, quindi, intraprendere lo sviluppo di un modello multicomponenziale che spieghi adeguatamente in quale maniera contribuiscano le caratteristiche individuali e quelle ambientali.

 

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Roberta Mazzara
Roberta Mazzara

Psicologa. Specializzanda iscritta alla Scuola di Neuropsicologia dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.

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