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Dal gemello “sacrificato” alla rinascita della individualità – PARTE 5

Gemello "sacrificato": L. incontra un bambino disabile; esprime rabbia per paura di essere assimilato a quel bambino, in cui rivede la sua parte “difettosa”

Di Redazione

Pubblicato il 01 Nov. 2013

Alessandra Cocchi.

 

Dal gemello “sacrificato” alla rinascita della individualità

Un intervento di Danza Movimento Terapia

PARTE 5

 

DANZAMOVIMENTO TERAPIA:

 La rabbia e il cambiamento

LEGGI: PARTE 1 – PARTE 2 – PARTE 3 – PARTE 4

Dal gemello sacrificato alla rinascita della individualità - parte 5. - Immagine: © fasphotographic - Fotolia.comIl gemello “sacrificato”: un giorno, L. incontra in corridoio un bambino disabile; esprime rabbia e rifiuto per il timore di essere assimilato a quel bambino, in cui si vede rispecchiate alcune delle sue fragilità e probabilmente la sua parte “difettosa” e di conseguenza rifiutata.

L. si rispecchia in quel bambino che ha evidenti difficoltà e mi chiede molte informazioni su di lui, che cosa faccia insieme a me, se siano le stesse cose che fa lui: mi esprime a parole il suo timore di “non essere normale” come quel bambino e contemporaneamente se ne distacca prendendolo in giro.

Esprime rabbia e rifiuto per il timore di essere assimilato a quel bambino, in cui si vede rispecchiate alcune delle sue fragilità e probabilmente la sua parte “difettosa” e di conseguenza rifiutata. In questo incontro L., disperato, attacca direttamente l’ambiente, calcia gli oggetti nella stanza, ma in particolare esprime la sua rabbia saltando a pie’ pari sulla faccia di un bambolotto.

Questa rabbia distruttiva, da me attesa, è funzionale all’affermazione di sé (Winnicott), alla separazione da un vissuto materno che lo identificava nelle sue fragilità. Infatti la qualità di movimento è cambiata, L. decisamente sta mettendo in scena azioni che finalmente sono francamente e totalmente lottanti. Quando salta sul bambolotto il peso è attivo e i salti sono intensi ed efficaci nella loro intenzionalità, il corpo si raccoglie per prendere lo slancio e si spinge verso l’alto, chiudendosi nel salto, e poi si riallunga verso il basso, tornando a terra, atterrando sul bambolotto, per poi ricominciare, in una attivazione piena della connessione corporea parte superiore-parte inferiore1. E’ tutto preso a tenere la verticalità, mentre sta affermando qualcosa di sé che non riesce ad esprimere a parole: la dimensione verticale, in cui la forma del corpo si allunga verso l’alto e si accorcia verso il basso, è propria del bambino nella Fase Anale (Kestenberg), in cui è l’effort del peso a dare una forma di base per la presentazione e la rappresentazione di Sé e degli oggetti, ed è attinente all’intenzione e all’affermazione di sé. Accolgo questa grande distruttività di L., e, quando vedo che è molto in affanno e che il movimento inizia a perdere efficacia, lo fermo con un abbraccio.

Possiamo vedere questa aggressività come una espressione della volontà di autoaffermazione di L.. Secondo Winnicott il comportamento aggressivo spinge ad un movimento esplorativo, che conduce al rapporto con gli oggetti; essa è legata all’acquisizione del senso di permanenza dell’oggetto, e al servizio positivo della costituzione dell’oggetto reale come altro-da-Sé. Grazie a queste esperienze, il bambino evolve il suo rapportarsi al mondo, dal relazionarsi all’Oggetto (esperienza soggettiva, in cui l’oggetto è sotto il controllo onnipotente del bambino), all’usare l’Oggetto (l’oggetto fa parte di una realtà esterna). Così gli oggetti possono essere aggrediti e distrutti senza pericolo per la loro sopravvivenza (realmente o in fantasia: odiati, ripudiati, attaccati) perchè reali, e diventare reali perchè distrutti/distruggibili (Winnicott 1969). Come accade al bambino che impara a tenersi in piedi, presentandosi al mondo nella dimensione verticale, L. ha avuto un comportamento oppositivo e imperioso, è uscito dalla dimensione soggettiva, ed ha espresso rabbia e aggressività, attraverso le quali ha tentato di definirsi e affermare il suo essere attraverso gesti e pensieri autonomi.

Negli incontri successivi, L. mi chiede di eseguire insieme a lui alcuni origami che aveva trovato in un libro, mentre lui mi leggeva le istruzioni, poichè teme di non capire le indicazioni. E’ in realtà una composizione abbastanza semplice, ma lui fatica a capire come la carta vada ripiegata. E’ la prima volta che L. mi descrive e mi mostra in maniera aperta e diretta una sua fragilità, servendosi finalmente e consapevolmente di me per le mie caratteristiche reali di adulta che può guidarlo, indirizzarlo, rassicurarlo. Per qualche incontro, L. è intento a sperimentare attraverso la realizzazione degli origami, il senso di esitazione che è il pre-effort integrativo della repentinità precedentemente espressa, legato al processo cognitivo della gradualità di apprendimento. Non è chiaramente abituato a questo genere di movimento, e per la prima volta mi chiede aiuto, gli mostro come si fa ad attivare il peso delle dita e delle mani per piegare la carta, come dare un focus, come usare il tempo continuo, nello spazio sagittale, attivando il pre-effort del channeling, e il corrispondente processo cognitivo della concentrazione2. L. sta dunque sperimentando nuove modalità di apprendimento e di approccio alla realtà. Probabilmente questo lavoro gli è servito anche per unire nella sua esperienza ciò che accadeva nella stanza della terapia con ciò che avveniva a casa e a scuola. Mi racconta, infatti, che in quel periodo le maestre hanno deciso di fargli usare la calcolatrice nei compiti di matematica, per permettergli di concentrarsi sul ragionamento e sul processo logico, e non sull’esecuzione del calcolo, che lo mandava in ansia e in blocco. Il mostrarmi e il nominarmi la sua fragilità, l’ho letto come segno dello sforzo che L. stava compiendo per integrare i vissuti della sua difficile e problematica quotidianità, e la ricerca di autoaffermazione, pienezza e individuazione espressa nella stanza della terapia.

Cambia anche il gioco dei calci al pallone: L. ha ancora voglia di approfondire l’attivazione del peso e della sagittalità, e mi chiede di aiutarlo a costruire un’alta torre di elementi della psicomotricità e la butta giù calciandole la palla contro. Ora L. è preciso e forte nei tiri, capace di movimenti tridimensionali, ed esprime una aperta e rivelata intenzionalità degli effort, che rende il suo movimento efficace. La grande novità è che insieme studiamo modi, angolazioni, punti deboli nella torre che ci permettano di buttarla giù.

Compare parallelamente anche il tema del “salto all’ostacolo”: mi chiede come può allenarsi nei salti e gli propongo di scavalcare saltando il grande cilindro nero della psicomotricità. Accetta di buon grado, e noto che, nella soddisfazione di saltare a piè pari il cilindro, L. esprime il bisogno di sperimentarsi ancora un po’ nella dimensione verticale, che si attiva pienamente nella connessione sopra-sotto, e nella connessione controlaterale, che gli fa raggiungere una tridimensionalità di movimento che gli dà un senso di efficacia atletica. E’ finalmente pronto per un ritmo di flusso di tensione muscolare che da uretrale (rincorsa a piccoli passi), diventa genitale esterno (grande balzo per superare il cilindrone).

Questa fase si riferisce alla avvenuta separazione-individuazione da un femminile non nutritivo e fonte di disperazione e frustrazione. L’alternare l’esperienza del calcio e del salto gli permette di sperimentare e consolidare la verticalità autoaffermativa, la sagittalità esplorativa dell’ambiente, la tridimensionalità del gesto atletico completo ed efficace. Il sostegno ricevuto inizialmente, l’esperienza di distruttività-sopravvivenza dell’Oggetto Sé, fatta nella “seduta decisiva”, l’accompagnamento e lo sviluppo simbolico e cinetico delle sue possibilità di agire sulla realtà, lo aveva proiettato in una nuova fase. In questi salti intravedo l’espressione di una seconda nascita di un “venire alla luce” di L., in cui la scissione fra corpo e mente, fra Sé grandioso e Sé deprivato è ricomposta e L. si riconosce in quello che fa, e si propone per quel che è. L. ha stabilito un contatto col mondo reale, della relazione con oggetti oggettuali (Winnicott) e con le concrete caratteristiche che essi presentano. L. ora può usare il suo corpo nella pienezza e metterlo in gioco interamente: grazie a una migliore gestione del peso e delle connessioni corporee, la parte inferiore del corpo è più stabile e consente che le braccia e le mani vengano via via sempre più utilizzate, nell’esplorazione della verticalità, fino ad arrivare alla verticale e alla camminata sulle mani.

Quando vuole riposarsi dai grandi salti, dopo alcuni minuti di respiro profondo, propone una variante di gioco col cilindro: prova a camminarvi e a gattonarvi sopra standovi in equilibrio mentre lo fa rotolare per tutta la stanza. Qui prevale la ricerca di un movimento piccolo, di equilibrio, mi sembra che s’approfondisca così il ritmo uretrale, con una attivazione delle connessioni omolaterali e una forte impronta nel cercare di tenersi in equilibrio nei piccoli spostamenti sagittali in avanti e aggiustamenti indietro, ma anche una ricerca di tempo sempre più prolungato, sia nello stare in equilibrio che nello spostarsi in avanti col cilindro.

In questo gioco io lo seguo e lo assisto, gli porgo la mia mano, dove poggia la sua, sto attenta che non cada, e gli dò consigli su come giocare in sicurezza a questa “prova da circo”. Ammiro poi sinceramente -e glielo faccio presente- la sua abilità di “saltimbanco”, poiché rivela doti atletiche e acrobatiche non comuni, in cui sembra mi sembra in grado di coordinarsi e anche di sapere come cadere. Noto che sa anche raccogliere le mie raccomandazioni e limitarsi, quando intravede rischi nella gestione del cilindro. L. accetta di buon grado consigli e suggerimenti, in un’ottica dialettica, per cui se non è d’accordo con qualcosa che gli dico mi argomenta il perchè.

Giunto all’età puberale, L. cerca un aggancio anche fuori dalla stanza della terapia col suo lato lottante, vitale e maschile: ha in suo nonno e in suo zio un riferimento con le figure maschili delle sue stirpi familiari e desidera calcarne le orme. Infatti ora si prende sul serio come karateka, e ha l’obiettivo di diventare cintura nera con dan come lo zio, forse di diventare insegnante, e ha richiesto di iniziare a studiare batteria, come aveva fatto il nonno. Con la psicologa abbiamo fortemente sostenuto questo aggancio al maschile, sollecitando il papà a coinvolgere L. in attività di tempo libero che entrambi apprezzano.

Parallelamente L. ha iniziato le scuole medie: con la psicologa abbiamo lavorato col gruppo operativo degli insegnanti di L., per fortuna molto sensibili e attenti, invitandoli a sostenere il ragazzo. L. ha iniziato sotto i migliori auspici, impegnandosi, non scoraggiandosi più se non capiva. Gli insegnanti raccontano che in più momenti è anche stato anche in grado di controllare l’ansia che lo coglieva duranti i compiti in classe, grazie al loro atteggiamento rassicurante che lo sosteneva a portare a termine il compito in questione. L. accetta la sfida di impegnarsi fino in fondo e riesce a ottenere discreti risultati scolastici, ma soprattutto una maggiore serenità. La madre è commossa e rinfrancata da questi cambiamenti di L., e non manca di esprimere la sua gratitudine, i suoi sensi di colpa sono un po’ rientrati, e la sua ferita narcisistica non è più così profonda.

Nel lavoro con me, svoltosi per altri sei mesi, L. cercherà forme sempre più tridimensionali e complete di movimento. E’ felice di mostrarmi i suoi enormi progressi nelle forme del karate, eseguendo per me kata, salti, calci e pugni molto efficaci, invitandomi a assistere alle gare. Ormai può modulare consapevolmente e genuinamente l’espressività del movimento, agire affettivamente e cognitivamente in relazioni di attaccamento più maturo e consono alla sua età.

L’ampliamento e l’integrazione delle capacità motorie ha coinciso con la trasformazione della propria immagine e ha modificato la relazione con la realtà: L. aveva preso contatto con le sue parti maschili e contemporaneamente aveva riconosciuto e integrato nella sua storia le proprie parti più deboli e passive: aveva dismesso la maschera di grandiose fantasie, e ammesso le sue difficoltà, chiedendo aiuto e affidandosi alla terapeuta e alle altre figure di riferimento.

1Questa connessione corporea costruisce messa a terra, forza, intenzione attraverso la spinta verso il suolo. Sviluppa la capacità di risalire dalla spinta a terra per dirigersi verso lo spazio e di tirarsi su senza perdere la connessione col nucL. del corpo. E’ in relazione con la costruzione di un senso personale di potere.

2Il channeling è il precursore dello spazio diretto. Su questo pre-effort si basa la difesa dell’isolamento, di ritirarsi e chiudersi agli stimoli esterni, ma anche la capacità di isolarsi per potersi concentrare. Si serve della continuità come attributo del flusso di tensione.

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