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To be or not to be, vogliamo vivere – Recensione – Cinema & psicologia

To be or not to be, vogliamo vivere: film del '42 di E. Lubistch e da poco riproposto nelle sale dopo essere stato restaurato e rimasterizzato, è perfetto.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 10 Ott. 2013

Recensione

“To be or not to be, vogliamo vivere!”

(2013)

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To be or not to be. Vogliamo vivere! - LocandinaRaramente un film si può definire perfetto. Come trama, tempi recitativi, costruzione dei dialoghi. “To be or not to be,Vogliamo vivere!” nella traduzione italiana -, pellicola del 1942 firmata da Ernst Lubistch e recentemente riproposta nelle sale dopo essere stata restaurata e rimasterizzata, è un film perfetto.

Siamo nella Polonia invasa dai nazisti e le vicende di una coppia di attori teatrali si intrecciano a quelle della Resistenza; il dilemma amletico è una scena che ritorna più volte e puntualmente il protagonista, iniziando il celebre monologo shackespeariano, vede uno spettatore alzarsi da una delle prime file e andarsene: la ferita all’orgoglio d’artista sarebbe ancor più cocente se l’attore sapesse che il camerino di sua moglie è il luogo in cui lo sconosciuto, un giovane e aitante aviatore, si reca ogni sera all’incipit del monologo.

In breve tempo scoppia il conflitto bellico e il triangolo amoroso inaugura un susseguirsi di equivoci e intrighi sottili in cui il marito intuisce senza aver certezza, trovandosi poi costretto dagli eventi a collaborare con il presunto amante della moglie per combattere il comune nemico tedesco.

La compagnia teatrale è al centro di acrobazie pericolose ed esilaranti a stretto contatto con la Gestapo, che viene ripetutamente ingannata e sbeffeggiata a pochi passi dal precipizio mortale.

To be or not to be“, si diceva, è un’opera perfetta; l’ironia con cui viene affrontato un tema complesso come la guerra, l’arguzia utilizzata per descrivere gli stati d’animo dei personaggi non possono essere pienamente trasmesse a chi non ha visto il film: si tratta di una comicità seria, comunicata attraverso espressioni da registro drammatico che vengono sapientemente modulate per ottenere l’effetto della farsa.

I dialoghi sono geniali, spesso serrati e i colpi di scena si susseguono senza diventare ridondanti, le situazioni alternano i diversi piani del racconto e li sovrappongono, variando di continuo i temi, i riferimenti. Le risate dello spettatore sono inevitabili ma non indotte dalla ricerca del ridicolo, poiché ogni scena sarebbe perfettamente plausibile anche in un film drammatico e lo stesso può dirsi per i dialoghi; sono la magistrale espressività degli attori e la superba raffinatezza della sceneggiatura, che in ogni passaggio afferma qualcosa per intendere altro, a generare l’effetto comico.

La regia di Lubistch è eccezionale specie nel lavoro sugli interpreti, che con un gesto quasi impercettibile o un movimento del corpo studiato ad arte fanno comprendere al pubblico le differenti dinamiche dei sentimenti, la gelosia, una reazione indispettita, il gioco divertito tra realtà e finzione o il compiacimento incosciente di un ingenuo Amleto al cospetto del Terzo Reich. La missione di far ridere senza un solo sorriso recitato viene ampiamente portata a termine e l’opera riesce anche a entrare nel cuore, dileggiando la follia nazista con leggerezza penetrante, mettendo a nudo l’ottusità di certi umani ma in fondo di tutti gli umani e mantenendo vivo l’interesse dello spettatore sia verso le intenzioni comiche sia nella riflessione sul destino dei personaggi; un film da assorbire tutto d’un fiato, da amare e rivedere per cogliere i dettagli che nella prima proiezione si perdono.

Vogliamo vivere, ed è molto meglio farlo con questi film.

 

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