Nel DSM 5 i disturbi della personalità sono presenti sia nella sezione II, dove sono stati riproposte le stesse categorie diagnostiche presenti nel DSM IV TR, sia nella sezione III dove si propone il nuovo modello “ibrido” . Lo scopo è abituare i clinici alla nuova classificazione, dimensionale e tratto specifica, e orientare la ricerca in questa direzione. Malgrado possano esistere dei vantaggi nell’effettuare una diagnosi dimensionale ci sono state molte resistenze nell’accogliere la nuova proposta diagnostica al punto da dover riproporre le vecchie diagnosi. Presenteremo, in ogni caso, la nuova nosografia.
Come cambia la diagnosi dei disturbi di personalità alla luce del DSM 5? Tantissime sono state le voci che si sono susseguite, cosa resta e cosa sarà eliminato, ma ecco finalmente fare l’ingresso trionfale del nuovo manuale e della nuovissima nomenclatura, almeno per quanto riguarda l’Asse II.
Come si procede in ambito di personalità?
Prima di effettuare diagnosi vera e propria il clinico, esperto, deve seguire una serie di indicazioni che portano a valutare la gravità del disturbo presentato e il funzionamento interpersonale del paziente. In sostanza, sono tre i livelli da valutare: il funzionamento generale, la patologia e i tratti/domini.
In primo luogo, dunque, si effettua una valutazione dimensionale del livello di compromissione del Sé e delle relazioni interpersonali, attraverso un continuum di gravità espresso con 5 livelli (Self and Interpersonal Functioning Continuum).
Successivamente, il clinico deve verificare se presente un disturbo di personalità patologico (borderline, evitante, etc.). Nel caso in cui non fosse presente patologia, ma solo una compromissione generale derivante dalla prima valutazione effettuata, si passa alla valutazione dei tratti/domini di personalità.
Primo step valutativo che mira a definire i diversi livelli di organizzazione della personalità. La Scala dei Livelli di Funzionamento della Personalità, permette di individuare delle dimensioni che si dividono in disturbi del Sé e funzionamento interpersonale.
Per quanto riguarda i disturbi del Sé si hanno due aree da valutare lungo un continuum di gravità:
(1) l’identità, intesa come l’esperienza di se stessi come soggetti unici e dotati di confini definiti, la stabilità della propria autostima, l’accuratezza della propria auto-valutazione e la capacità di regolare una vasta gamma di emozioni;
(2) l’autodirezionalità, intesa come capacità di perseguire obiettivi a breve termine e scopi di vita coerenti e significativi, l’utilizzo di standard di comportamento interni costruttivi e prosociali e la capacità di riflette in modo produttivo su di sé.
Il Funzionamento interpersonale, invece, è valutato tenendo conto di due dimensioni:
(1) l’empatia, intesa come comprensione delle esperienze e motivazioni altrui, tolleranza di prospettive diverse e comprensione degli effetti del proprio comportamento sugli altri;
(2) l’intimità, intesa come profondità e durata delle relazioni positive con gli altri, desiderio e capacità di intimità e rispetto reciproco.
Dopo aver definito questa parte generale, si passa a quella di diagnostica vera e propria, secondo step.
Anche qui, però, sono state introdotte delle novità: saranno sei i disturbi di personalità che si possono diagnosticare: schizotipico, antisociale, borderline, narcisistico, evitante e ossessivo compulsivo.
Mancano, e non saranno reintegrati lo schizoide, l’istrionico, il paranoide e il dipendente. Alcuni potrebbero dire, “che fine hanno fatto il passivo aggressivo e il depressivo di personalità?“. Beh, erano stati eliminati e inseriti in appendice da un pezzo, malgrado nella SCID II erano ancora presenti.
Ognuno di questi disturbi di personalità è presentato in maniera più articolata da come era stato inserito nel DSM-IV TR, perché caratterizzati da una parte sul funzionamento generale e un’altra sui tratti patologici di personalità relativamente stabili, non riconducibili alla condizioni socio-culturali dell’individuo e a una condizione medica generale o all’uso di sostanze.
In sostanza, per porre diagnosi di disturbo di personalità dovranno essere soddisfatti i seguenti criteri:
- Criterio A. Compromissioni significative del sé e del funzionamento interpersonale (empatia o intimità).
- Criterio B. Uno o più domini del tratto patologico della personalità o sfaccettature/aspetti del tratto.
- Criterio C. La compromissione nel funzionamento della personalità e l’espressione del tratto della personalità dell’individuo sono relativamente stabili nel tempo e costanti tra le situazioni.
- Criterio D. La compromissione nel funzionamento della personalità e l’espressione del tratto della personalità dell’individuo non sono meglio compresi come normativi per la fase di sviluppo individuale o per l’ambiente socio-culturale.
- Criterio E. La compromissione nel funzionamento della personalità e l’espressione del tratto della personalità dell’individuo non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o di una condizione medica generale
Fatto ciò, si passa alla parte successiva, ovvero l’individuazione di 5 grandi tratti/ domini: Affettività Negativa (AN), Distacco (D), Antagonismo (A), Disinibizione vs Compulsività (DS vs C) e Psicoticismo (P).
Questi 5 domini, valutati anche su una scala dimensionale (0-4) sono ulteriormente articolabili in un totale di 28 sottodomini o “trait-facets”.
Quindi, se un paziente soddisfa i criteri per la presenza di un funzionamento patologico, ma non per uno dei 6 disturbi di personalità, il clinico viene invitato a procedere alla valutazione secondo i 5 grandi domini appena elencati, per mezzo dei quali vengono descritti una serie di Personality Disorders Trait Specified (PDTs) che prendono il posto dei famosi disturbi di personalità Non Altrimenti Specificati del DSM-IV-TR.
Ogni trait-domain può essere ulteriormente valutato in modo dimensionale per mezzo di una scala a 4 passi (da 0 a 3). Questa descrizione può essere approfondita prendendo in considerazione le 28 trait-facets associate ai vari domini. Le informazioni derivate da domini e sottodomini possono essere quindi utilizzate per la formulazione del caso anche se nessuno dei criteri dei disturbi della personalità sia soddisfatto.
Da quanto emerge, risulta essere abbastanza evidente la poca linearità e scorrevolezza nella diagnosi, al punto da risultare molto difficile da far digerire soprattutto a chi effettua diagnosi da molti anni. In particolare, far parlare la patologia con i Big Five, da cui originano i tratti/domini sembra essere un impresa piuttosto ardua. Si otterrà una valutazione del funzionamento globale del paziente e l’incasellamento dello stesso in categorie poco diagnostiche.
Speriamo di non fare un volo nel vuoto.
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BIBLIOGRAFIA:
- Bender, D.S, Morey, L.C, Skodol, A.E. (2011), Toward a Model for Assessing Level of Personality Functioning in DSM–5, Part I: A Review of Theory and Methods. In: Journal of Personality Assessment, 93, 4, pp. 332-346.
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- Morey, L.C, Berghuis, H., Bender, D.S., Verheul, R., Krueger, R.F., Skodol, A.E. (2011), Toward a Model for Assessing Level of Personality Functioning in DSM–5, Part II: Empirical Articulation of a Core Dimension of Personality Pathology. In: Journal of Personality Assessment, 93, 4, pp. 347-353.
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