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“Do you speak Facebook? Guida per genitori e insegnanti al linguaggio del social network” – Recensione

Do you speak Facebook? La maggior parte di noi ha familiarità con quello che offre la Rete, in termini di fruizione di informazioni e in termini di “social”

Di Simona Meroni

Pubblicato il 09 Set. 2013

Aggiornato il 07 Gen. 2014 15:28

Recensione del libro

“Do you speak Facebook?

Guida per genitori e insegnanti al linguaggio del social network”

di Anna Fogarolo

Edizioni Erickson (2013)

 

Do you speak Facebook? - RecensioneLa maggior parte di noi ha dimestichezza con tutto quello che offre la Rete, sia in termini di fruizione di informazioni che in termini di “social”, macro categoria che racchiude tutti gli strumenti a disposizione del web che ci consentono di comunicare, interagire e gestire degli scambi sociali.

Smartphone, Tablet, PC: ormai siamo connessi ovunque e

comunque.

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Impossibile non pensare immediatamente a Facebook, la piattaforma sociale più utilizzata e il secondo sito internet più visitato al mondo (secondo solo al motore di ricerca Google), e a come continui ad influenzare, in qualche modo, la nostra vita.

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Il testo di Anna Fogarolo è un piccolo ma preciso manuale che introduce i profani all’utilizzo di Facebook, spiegando passo passo come creare un account, come impostare i paramentri di privacy, come creare un gruppo o una pagina, con particolare attenzione a chi volesse utilizzare questo strumento come risorsa per l’educazione.

Le premesse di questo testo sono duplici: si parte dall’assunto che Facebook, ormai, rappresenti una parte piuttosto consistente della vita dei così denominati “nativi digitali”, quelle generazioni – cioè – che sono nate e cresciute con internet e per questo, alcuni ritengono, siano in grado naturalmente di padroneggiare i suoi strumenti. In realtà nascere in un determinato contesto non significa saperlo gestire o conoscere a fondo, ecco perché i docenti rappresentano un punto di riferimento, o potrebbero rappresentarlo, anche nell’educazione al mondo virtuale e di internet, che non è scevro né da pericoli né da regole, né da limiti in realtà.

Condividere, postare, taggare, sono tutti termini che i pre adolescenti e gli adolescenti di oggi (ma non solo) maneggiano con naturalezza, come parte integrante del loro mondo emotivo, sociale e cognitivo.

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Chi volesse, dunque, riuscire ad entrare in contatto con loro, non può esimersi dall’utilizzare e padroneggiare sia gli strumenti a loro disposizione, sia il linguaggio ormai diffuso e comune.

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La seconda premessa, a mio avviso incoraggiante, viene dallo stesso Facebook che fornisce la disponibilità di creare delle pagine o dei gruppi specifici per le scuole. Interpretando molto bene la tendenza attuale di professori ed educatori che sfruttano le potenzialità di condivisione e di comunicazione della piattaforma, per poter avvicinarsi agli alunni ma anche – e soprattutto – per fare sì che gli stessi alunni si avvicinino ad un mondo variegato e spesso contestato come la Scuola.

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Proporre contenuti didattici attraverso Facebook è possibile e rappresenta una svolta nel rapporto alunno-insegnante, ecco perché vale la pena riflettere su questa dinamica e le implicazioni che comporta.

Far sì che i contenuti e le informazioni scolastiche assumano una veste più vicina a quelle che sono le esigenze e i ritmi di apprendimento (ma anche di vita) delle nuove generazioni, significa consentire ad un grande numero di studenti di avvicinarsi, di prendere confidenza, magari – perché no? – di appassionarsi.

Il tutto, naturalmente, senza snaturare il ruolo del docente, che può essere vicino ai suoi studenti e ai loro problemi e alle loro esigenze, ma non può diventarne un amico, nel senso più comune del termine. Può essere un confidente o un alleato, un sostegno e un punto di riferimento, ma – l’autrice suggerisce – non può venir meno al proprio ruolo educativo, che comporta anche l’utilizzo di limiti e di confini.

L’Autrice, nell’introduzione al testo, invita gli adulti a prendere dimestichezza con questo strumento, senza demonizzarlo a priori, anzi, cercando di mostrare come Facebook possa rappresentare l’equivalente del vecchio muro della scuola”, sul quale gli studenti scrivevano le loro proteste o le loro dichiarazioni d’amore. Non è un caso, infatti, che la terminologia di Facebook richiami questa immagine: ogni utente ha un profilo, un diario, e i contenuti che scrive sono pubblicati sul wall (= il muro). Questo strumento, data la facilità di utilizzo, ma soprattutto la visibilità che offre, può certamente spaventare, ma può anche – se utilizzato correttamente- rappresentare un “megafono al servizio dell’educazione”.

Forse ciò che spaventa di più di Facebook è il passaparola, che di per sé non può essere controllato (si sa magari da dove parte ma non si può certo sapere dove andrà a finire), e la così detta “Riprova Sociale”, teorizzata dallo psicologo Robert Cialdini (1995), fenomeno sul quale sembra basarsi il successo di Facebook.

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L’essere umano, infatti, tende ad adattare il suo pensiero e il suo giudizio a quelli prevalenti nel gruppo (o nei gruppi) che frequenta. Il social network creato da Zuckerberg nel 2004 con l’intento di aiutare a conoscere e a intrecciare legami, fa sentire potenti, opinion leader. Attraverso la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione, di condividere i propri vissuti, ma soprattutto di visionare e giudicare quelli degli altri, questa piattaforma ha un alto potere aggregativo. Consente, infatti, di sentirsi parte di un gruppo, di appartenere ad un’opinione più allargata, di non essere una goccia nell’oceano.

L’unione fa la forza, e questo meccanismo sicuramente è un’arma a doppio taglio: da un lato incontrollabile e a volte ingestibile nelle sue frange estremiste (rappresentate da veri e propri litigi e scambi di opinione poco educati), ma anche uno strumento per invogliare gli studenti a sentirsi parte integrante di un gruppo di lavoro, che ha uno scopo e una direzione e che, soprattutto, condivide alcuni strumenti per ottenere l’obiettivo.

Apprendere attraverso ciò che già si conosce, inoltre, mi viene da pensare, fa sentire più efficaci e capaci, riduce la distanza tra insegnante e alunno, incuriosisce e stimola.

Il libro, negli ultimi capitoli, porta ad esempio pagine di istituti scolastici in cui i professori hanno notato un maggiore coinvolgimento scolastico dopo l’apertura di uno spazio dedicato alla classe su Facebook.

Infine, l’Autrice, si sofferma a riflettere sulla lingua utilizzata dagli alunni sui social network e sull’allarmismo lanciato negli ultimi anni rispetto all’impoverimento della lingua italiana a causa di un gergo e dell’introduzione di vocaboli tipici del web (abbreviazioni, storpiature, neologismi etc.). La lingua italiana, però, è da sempre in evoluzione e trasformazione, e secondo alcuni eminenti esponenti della linguistica italiana (tra cui la presidentessa dell’Accademia della Crusca) l’allarme non è tanto riguardo ad un nuovo linguaggio, che bisogna però di cercare di circoscriviere, considerandolo come un linguaggio “tecnico” (il linguaggio della chat), ma la mancanza di letture da parte degli italiani.

Come a dire: potremmo esprimerci anche come Manzoni sui social network, ma se non apriamo un libro, non cambierà mai nulla.

E allora, forse, varrebbe davvero la pena di fare di quello che sembra un nemico invincibile (Facebook) un alleato: utilizzando i suoi strumenti e la sua potenzialità per ingaggiare gli adolescenti e mostrare loro che si può essere connessi sempre e comunque ma anche con la Cultura con la C maiuscola.

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BIBLIOGRAFIA:

 

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