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Dialogo con il prof. Sanavio sul colloquio in psicoterapia cognitiva

Il Colloquio in Psicoterapia Cognitiva: le critiche di Sanavio sono centrate. È vero, per cominciare, che il titolo può essere fuorviante.

Di Giovanni Maria Ruggiero, Sandra Sassaroli

Pubblicato il 20 Giu. 2013

LEGGI LA RECENSIONE DEL LIBRO: IL COLLOQUIO IN PSICOTERAPIA COGNITIVA

IL COLLOQUIO IN PSICOTERAPIA COGNITIVAIn una buona recensione la parte migliore sono le critiche, e le critiche del prof. Enzo Sanavio al nostro volume “Il Colloquio in Psicoterapia Cognitiva” sono centrate. È vero, per cominciare, che il titolo può essere fuorviante. Il nostro libro descrive la tecnica del colloquio di psicoterapia cognitivo-comportamentale, ma citare solo “il colloquio” nel titolo confonde le idee.

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Forse sarebbe stato meglio chiamarlo “La seduta di psicoterapia cognitiva”. Il termine “colloquio” intendeva indicare una sorta di unità molecolare e non elementare della psicoterapia; molecolare perché il colloquio è qualcosa in più dell’elemento atomico del singolo intervento; ma è anche certamente meno che una seduta completa.

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Comprensibile anche la critica sulla nostra definizione di psicoterapia, molto focalizzata sul versante mentale e psicologico. Vero è che il prof. Sanavio fa storicamente parte di un movimento teorico che -a volte- ha respinto il concetto di psicoterapia, preferendo quello di modificazione comportamentale. È sempre utile che ci si ricordi degli aspetti prescrittivi e didattici della psicoterapia cognitiva.

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Giovanni Ruggiero - intervista
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Quindi accettiamo le critiche. Forse accettiamo un po’ meno gli elogi. Naturalmente scherziamo, gli elogi sono ancora più graditi; però abbiamo un’osservazione da fare sulle belle parole che Sanavio ci dedica. Il prof. Sanavio scrive che “Probabilmente un libro sulla teoria e sulla tecnica del colloquio in psicoterapia cognitiva è un’impresa impossibile. Non per caso, l’argomento ‘colloquio’ è pressoché assente nelle riviste specializzate e nella ricerca scientifica.

Questa affermazione ci incoraggia a pensare che abbiamo fatto bene a scrivere questo libro e ci fa capire perché questo libro fosse atteso dagli allievi.

Se è vero quel che scrive Sanavio, ovvero che si fa poca ricerca sul colloquio, questo segnala un lato debole della psicoterapia cognitiva. Ovvero una tendenza a trascurare una descrizione concreta e tecnica di come si conduce un colloquio in questo tipo di psicoterapia. In un certo senso è una verità stupefacente. La psicoterapia cognitiva si è sempre vantata di essere scientifica, controllabile, di non avere misteri e sapienze esoteriche. Ora però apprendiamo che descrivere come si fa un colloquio di psicoterapia cognitiva sarebbe un’impresa impossibile.

E allora tutti i manuali di psicoterapia cognitiva di che parlano? Di una forma astratta e manualizzata di somministrazione della nostra terapia che non corrisponde alla realtà del colloquio? E perché poi ci sarebbe poca ricerca sul colloquio? Anche questo è vero: si fa molta ricerca sui modelli psicopatologici e sull’efficacia, ma su come si fa il colloquio ce ne è poca, scrive Sanavio. Questo significa che tanta scienza, di cui giustamente ci vantiamo, ha prodotto un’insufficiente tecnologia del colloquio in psicoterapia cognitiva. E che troppi ricercatori si dedicano alla ricerca teorica e non a quella applicata. Troppi fisici e pochi ingegneri, in psicoterapia cognitiva.

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 Il discorso a questo punto diventerebbe lungo. Concludiamo con due annotazioni. È vero che, dopo lo slancio iniziale di Ellis e Beck (soprattutto di Ellis), per molto tempo la tecnica del colloquio in psicoterapia cognitiva non ha visto sostanziali progressi. Clark, Salkovskis e Fairburn non hanno proposto nuovi interventi, ma si sono limitati ad adattare la tecnica di Beck a singoli disturbi, rendendola più specializzata.

Progressi ce ne sono stati in ambito REBT (vedi le varie edizioni del manuale di Walen, DiGiuseppe e Dryden, dal 1980 fino a quest’anno; ad agosto 2013 esce la terza edizione) ma non sono stati recepiti in ambito CBT standard; ed è un  peccato, perché la tecnica REBT continua a evolvere in termini meta-cognitivi e meta-emotivi mentre quella CBT rimane quella rigidamente razionalista di Beck.

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Infine c’è la terza ondata, con i vari Hayes, Wells e Young, che ha ideato innovazioni tecniche interessanti, ma che spesso tende a rinchiudersi in paradigmi non comunicanti tra loro, di modo che le innovazioni, invece di andare a arricchire il repertorio tecnico dei terapeuti, tendono a diventare una sorta di strumento unico che esclude tutti gli altri: il re-parenting di Young, la detached mindfulness di Wells, gli esercizi di defusione e la riflessione sui valori di Hayes. E gli altri interventi? Un oggettivo impoverimento del patrimonio culturale della tecnica del colloquio.

 

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RATIONAL-EMOTIVE BEHAVIOUR THERAPY – REBT

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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