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Il Colloquio Psicologico: Cosa Fare nel Primo Colloquio #2

Colloquio Psicologico: seguire il problema come lo vede il paziente per evitare di affrettare la conclusione prima di negoziare la definizione.

Di Gabriele Caselli

Pubblicato il 05 Mar. 2013


Il Colloquio Psicologico- Cosa Fare nel Primo Colloquio #2. -Immagine: © Sergio Hayashi - Fotolia.comIL PROBLEMA NELLO SPAZIO

E NEL TEMPO

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IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA

“Il guerriero non ha dubbi: segue una formula infallibile.

 <Dai frutti, conoscerai l’albero,> ha detto Gesù. Egli segue questa regola, e non sbaglia mai.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.64]

Lo psicologo ricerca connessioni tra ciò che vede e ciò che è stato detto, cioè osserva. Queste osservazioni costituiscono lo scheletro delle ipotesi sperimentali per la definizione, accordata con il paziente, del problema. Da queste prime osservazioni, legate anche all’intuito e all’esperienza del professionista, è necessario formulare nuove domande, esplorare più a fondo il problema, per trovare nuove informazioni, per cambiare o confermare le proprie intuizioni. In questa fase esistono due campi fondamentali in cui testare le proprie osservazioni e che possono offrire una grande quantità di nuove informazioni: lo spazio e il tempo. Queste costituiscono le due principali categorie di Aristotele e le due dimensioni nelle quali il problema deve essere affrontato.

Il Colloquio Psicologico - Il Colloquio di Motivazione. - Immagine: © Ivelin Radkov Fotolia.com
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Fare domande che permettano un’ analisi del problema nello spazio vuol dire cercare di comprendere in quali situazioni e in quali condizioni contingenti questo si manifesta o, se è pervasivo, in quali condizioni acquista una maggiore intensità. La relazione tra le variabili ambientali e le caratteristiche del disturbo può dire molto sulla sua entità ma anche sul modo attraverso il quale può essere affrontato. Possono essere così individuate le contingenze di rinforzo che stimolano il comportamento. In questa indagine non bisogna fermarsi all’analisi di fattori esterni all’individuo. Anche le emozioni e i pensieri che contraddistinguono quei momenti sono importanti per conoscere come i tre canali comunicativi sono associati tra loro e per avere una visione completa delle dinamiche disturbanti.

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Allo stesso modo l’analisi del problema nel tempo permette al counselor di ricostruire la storia del disturbo cogliendone l’origine. Si può giungere a comprendere quali eventi o pensieri hanno condotto il paziente a sviluppare un comportamento problematico e quali rinforzi hanno agito su di esso. Queste osservazioni ci permettono di osservare con maggior chiarezza cosa si trova dietro alle associazioni attuali tra la messa in atto del comportamento o il suo livello di intensità e le variabili ambientali che le determinano.

La storia del problema comprende anche richieste sui tentativi effettuati dal cliente per affrontare il problema e sul modo in cui sono falliti, attraverso le quali si può ulteriormente definire il rapporto tra il paziente e il proprio disturbo.

Queste informazioni sono fondamentali se si vuole raggiungere un quadro descrittivo completo del problema del cliente. Queste ci permettono di confermare o cambiare le prime osservazioni raggiungendo nuove associazioni che portano il terapeuta ad una propria definizione del problema.

LA DEFINIZIONE DEL PROBLEMA

“Questo è il Cammino del Cavaliere: un cammino facile e, nello stesso tempo, difficile, perché obbliga a tralasciare le cose inutili, e le amicizie marginali. Perciò, all’inizio, si esita lungamente prima di seguirlo.”

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.102]

In base alle descrizione del cliente, alle informazioni  tratte dai primi momenti del colloquio e ad un analisi del problema nello spazio e nel tempo, lo psicologo raggiunge una sua prima definizione del disturbo. Questa definizione dipende principalmente dall’orientamento teorico del terapeuta e può essere in contrasto con quella presentata dal cliente. Dal momento che è utile lasciare la conduzione del colloquio nelle mani del cliente, per favorire l’instaurarsi della fiducia e la scoperta indipendente di nuove prospettive, la definizione che possiede il terapeuta non deve essere presentata immediatamente.

Inizialmente il colloquio si orienta a seguire il problema come lo vede il paziente e carpire informazioni su come il soggetto vive il rapporto con esso. Questo evita inoltre il rischio di affrettare la conclusione permettendo di approfondire i dati sul problema prima di negoziare la definizione.In questo modo dopo le prime osservazioni, e grazie al proseguimento del colloquio guidato dal cliente, il terapeuta può effettuare domande per approfondire alcuni argomenti che portano a nuove associazioni e che permettono di chiarire ulteriormente il problema. Ciò conduce alla formulazione dell’ipotesi sperimentale, che dovrà essere verificata attraverso il colloquio e che è la base per la diagnosi del cliente.

Storie di terapia #12: La gelosia della bella Caterina. Immagine - © Antonio Gravante - Fotolia.com
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In questo modo lo psicologo approfondisce la sua conoscenza del problema e perfeziona la sua definizione. Tuttavia il problema aperto rimane quello di presentare al cliente una definizione diversa dalla propria. E questo ostacolo non è superabile se non dopo che un corretto rapporto di fiducia sia stato instaurato e comunque non può essere affrontato in modo diretto.

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La possibilità di cambiamento della definizione del problema non deve essere imposta ma viene raggiunta dallo stesso cliente attraverso esperienze di insight in cui, sulla base delle informazioni strategicamente trasmesse dallo psicologo al momento opportuno, scopre la presenza di diverse prospettive e di diversi punti di vista. Se vi è fiducia questa esperienza di insight costituisce l’origine di un processo di negoziazione che conduce all’accordo tra le sue aspettative e le valutazioni del terapeuta riguardo la definizione del problema.

“Il guerriero della luce conosce l’importanza dell’intuizione. […] Ma il guerriero sa che l’intuizione è l’alfabeto di Dio”.

[Coelho, Manuale del guerriero della luce, 1997, p.65]

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ESPERIENZE TERAPEUTICHE PRECEDENTI

Se il paziente è stato inviato da un ente o da un altro professionista si possono ottenere molti dati rilevanti informandosi sull’andamento e sui risultati ottenuti nel corso delle precedenti terapie. Anche nel caso che il paziente venga di sua spontanea volontà si può chiedere se ha già effettuato altre terapie.

Può capitare che sia il paziente a fare spontaneo riferimento a terapie precedenti e può mostrare sia un comportamento ostile che adulatorio nei confronti di queste. Lo psicologo ha il compito di rimanere calmo e neutrale in entrambe le occasioni, senza sostenere il paziente o cedere alle sue provocazioni. In seguito all’esperienza accumulata in precedenti terapie questi può anche assumere l’atteggiamento da esperto parlando in gergo tecnicistico. In tal caso la migliore reazione è quella di riformulare ciò che dice in termini comuni senza imporre forti negazioni.

Quello che interessa al terapeuta è quello di valutare l’andamento della terapia e i motivi per cui è terminata e quindi perché il paziente si trova lì in quel momento. Inoltre le osservazioni di altri colleghi possono essere sempre importanti. Per questo sapere che colloqui psicologici sono già stati svolti offre allo psicologo la possibilità di avere contatti con persone che hanno conosciuto il paziente ed ampliare la sua base di conoscenze.

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IL COLLOQUIO PSICOLOGICO – MONOGRAFIA


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Gabriele Caselli
Gabriele Caselli

Direttore scientifico Gruppo Studi Cognitivi, Professore di Psicologia Clinica presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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