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Dalla Riserva Cognitiva alla Riserva Comportamentale

Riserva Cognitiva: l’elevato livello di istruzione può ritardare le alterazioni comportamentali in pazienti con demenza frontotemporale.

Di Eleonora Minacapelli

Pubblicato il 27 Feb. 2013

Aggiornato il 05 Lug. 2019 12:06

Dalla Riserva Cognitiva alla Riserva Comportamentale:

Quando la Scolarità ci Preserva il Carattere

 

Dalla Riserva Cognitiva alla Riserva Comportamentale. -Immagine:© EnryPix - Fotolia.comUn più elevato livello di istruzione può ritardare l’esordio di alterazioni comportamentali di tipo disinibitorio in pazienti affetti da demenza frontotemporale.

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Studiare di più, raggiungere importanti traguardi lavorativi, dedicarsi a variegate attività nel tempo libero sono tutti fattori che ci consentono di ritardare l’insorgere di patologie dementigene, compensando, almeno inizialmente, il danno cerebrale strutturale da esse derivante. Tale meccanismo di compensazione, noto con il termine di riserva cognitiva, è stato indagato sperimentalmente soprattutto nella demenza di Alzheimer. Si è dimostrato come, ad esempio, a parità di decadimento cognitivo, pazienti con livelli educativi più elevati sottendano danni cerebrali maggiori rispetto a soggetti meno istruiti.

Di recente tali ricerche sono state estese anche alla demenza frontotemporale, un calderone di neuropatologie ingravescenti non-Alzheimer, che, come suggerisce il nome, esibisce un focale coinvolgimento dei lobi frontali e temporali del cervello.A differenza della più comune sintomatologia alzheimeriana, in cui sono i deficit di memoria a farla da padrone sul generale assetto cognitivo, la demenza frontotemporale appare altamente eterogenea nelle sue manifestazioni cliniche, in particolare nella sua variante comportamentale. Molti pazienti, infatti, esibiscono alterazioni del comportamento collocabili su un continuum che va dall’apatia alla disinibizione, in assenza di una chiara categorizzazione clinica.

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Consapevole della qualificazione spesso solo descrittiva di tale sintomatologia, qualche mese fa un gruppo di ricerca, coordinato dal Prof. Alessandro Padovani dell’Università degli Studi di Brescia, aveva identificato i fenotipi comportamentali e le strutture cerebrali ad essi associate in un campione di pazienti affetti da demenza frontotemporale a variante comportamentale. Il risultato era stato l’individuazione di quattro fattori comportamentali predominanti – disinibito, apatico, aggressivo e linguistico – nonché l’evidenza di un’associazione neuropatologica fattore-specifica.

A pochi mesi dalla categorizzazione fenotipica di tali alterazioni comportamentali, lo stesso gruppo di ricerca, coordinato questa volta dalla Dott.ssa Barbara Borroni, si pone un’interessante domanda sperimentale: se è vero che questi cambiamenti di personalità sono correlati al deterioramento di specifici network o regioni cerebrali, è possibile che anche i disturbi comportamentali – e non solo le funzioni cognitive – vengano modulati da meccanismi di riserva?

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Sono state, così, analizzate le acquisizioni SPECT (Tomografia Computerizzata ad Emissione di Fotoni Singoli) di 102 pazienti affetti da demenza frontotemporale a variante comportamentale, di cui 52 con un livello di istruzione basso (meno di 5 anni di scolarità) e 50 con un livello di istruzione alto (più di 5 anni di scolarità), ipotizzando una vicinanza teorica dell’educazione scolastica all’indice di riserva cognitiva. Grazie alla possibile comparabilità dal punto di vista demografico, neuropsicologico e neuropsichiatrico, questi soggetti hanno consentito di evidenziare in generale una correlazione positiva tra i livelli di scolarità e l’ipoperfusione frontotemporale soggiacente. Attraverso un’analisi differenziata dei quattro fattori comportamentali predominanti, tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che solo il fenotipo disinibito è in grado di usufruire dei meccanismi compensatori di riserva. Questi pazienti, infatti, mostrano un’ipoperfusione frontale e sottocorticale più elevata se maggiormente istruiti, evidenza non riscontrata nelle altre varianti comportamentali.

Gli autori hanno, pertanto, ipotizzato l’esistenza di un meccanismo di riserva comportamentale – almeno per le alterazioni di tipo disinibitorio – e suggerito la necessità di estendere la teoria cognitiva ad un approccio multi-modale di riserva. La possibilità di modulare i network neurali attraverso fattori ambientali, infatti, aprirebbe la strada a nuove strategie terapeutiche, estendendone l’applicazione a diverse sindromi neuropsichiatriche oltre che ai soli disturbi cognitivi.

Tale risultato incoraggia, inoltre, la riflessione sugli interventi preventivi. Stimolare maggiormente le future generazioni sulle attività scolastiche ed extra-scolastiche, nonché favorire un dinamismo occupazionale di stampo americano, potrebbe diminuire il carico economico e sociale derivante dalla progressiva diffusione delle demenze?

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