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Il Piacere della Condivisione: Aprirsi agli Altri è Gratificante

La condivisione rafforza i legami sociali, accresce le conoscenze,elicita feedback degli altri, permettendoci di conoscere meglio noi stessi.

Di Alessandra Piccolini

Pubblicato il 04 Dic. 2012

Aggiornato il 15 Ott. 2013 13:07

FLASH NEWS

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

La condivisione rafforza i legami sociali, accresce le nostre conoscenze sul mondo e, fattore forse più importante, elicita il feedback degli altri, permettendoci in qualche modo di vedere e conoscere meglio parti di noi stessi.

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Cosa hanno in comune l’uso di Facebook, il cibo e l’attività sessuale? Sembrerà strano, ma tutte e tre queste attività coinvolgono le stesse aree del cervello, quelle legate al senso di gratificazione.

Diversi studi hanno dimostrato che il 30-40% delle conversazioni umane ha come scopo principale quello di fornire agli altri informazioni su di sé o condividere esperienze vissute personalmente (Dunbar, Marriott & Duncan, 1997; Landis & Burtt, 1924). Le ricerche condotte recentemente riguardo all’uso di internet indicano che ben l’80% dei nostri aggiornamenti di stato su Facebook o Twitter consistono in esperienze personali appena vissute (Naaman, Boase, & Lai, 2010).

Questo tasso così alto di “apertura agli altri” (self-disclosure), tipico della nostra specie, deriverebbe da una motivazione molto forte negli esseri umani a condividere i propri pensieri e convinzioni sul mondo: il motivo di questa spinta alla condivisione è che questa viene da noi esperita come una potente fonte di gratificazione personale. In altre parole, raccontiamo volentieri qualcosa di noi perché questo, in qualche modo, ci soddisfa (Tamir & Mitchell, 2012).

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Nei decenni precedenti, studi di neuroimaging hanno evidenziato i circuiti cerebrali connessi proprio a questo senso di gratificazione. Sia negli animali sia negli umani il sistema mesolimbico dopaminergico – che include il nucleus accubens (NAcc) e l’area tegmentale ventrale (VTA) – risponde fortemente a stimoli gratificanti primari, come il cibo o il sesso (Hernandez, & Hoebel, 1988), a stimoli secondari, come il denaro (Schott et al., 2008) e persino a gratificazioni sociali come l’osservare come gli altri condividano le loro opinioni, l’esperire l’humor, o ricevere lo sguardo interessato di un membro del sesso opposto (Sabatinelli, Bradley, Lang, Costa, & Versace, 2007; Aharon et al., 2001).

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Tamir e Mitchell, del dipartimento di psicologia di Harvard, hanno condotto una serie di studi, combinando tecniche di neuroimaging e metodi comportamentali al fine di testare l’ipotesi che le stesse aree cerebrali componenti il circuito della gratificazione fossero coinvolte anche nel processo di self-disclosure.

Tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI) veniva analizzata l’attività cerebrale dei partecipanti allo studio durante due fasi: una prima fase in cui veniva chiesto ai soggetti di rivelare le proprie opinioni e i propri pensieri agli altri, ed una seconda fase in cui si chiedeva invece di speculare su ipotetiche opinioni o pensieri di un’altra persona.

Gli autori hanno inoltre elaborato un metodo “comportamentale” per rilevare il valore dato dai soggetti all’opportunità di parlare di sé: hanno sviluppato un questionario composto da domande suddivise in tre classi (domande “self”, “others” e “facts”). Ad ogni domanda è stato associato un piccolo guadagno in denaro (variabile da $ 0.01 a $0.04) che i partecipanti ricevevano alla fine dell’esperimento. Le domande di tipo “self” venivano associate ad un guadagno minore. Basandosi sull’ipotesi che dare informazioni personali fosse intrinsecamente gratificante, gli autori si aspettavano che i soggetti fossero disposti a rinunciare a somme di denaro maggiori per rispondere a domande su di sé (es. “Quanto ti piacciono gli sport invernali, come lo sci?”) rispetto che per rispondere a domande “others” (es. “Quanto pensi che a Barack Obama piacciano gli sport invernali, come lo sci?”) e a domande “facts” (es. “Leonardo Da Vinci ha dipinto la Mona Lisa?”).

Gli autori hanno così scoperto che non solo parlare di sé attivava il NAcc bilaterale e la VTA in modo molto più marcato rispetto al parlare di altri, ma anche che i soggetti erano disposti a rinunciare al 17% del guadagno che potevano ottenere per rispondere a domande relative a se stessi.

Il risultato forse più interessante è che il solo pensare introspettivamente a sé stessi era sufficiente a far provare ai soggetti un senso di gratificazione e ad attivare il loro sistema mesolimbico dopaminergico. Tuttavia, il comunicare agli altri i propri pensieri piuttosto che il tenerli per sé  ne magnificava l’attivazione. In altre parole, condividere pensieri ed esperienze con gli altri è per noi tanto importante quanto gratificante, molto più di quanto non accada quando, per motivi di varia natura, non abbiamo l’opportunità di farlo. E questo non dovrebbe sorprendere, dal momento che la condivisione rafforza i legami sociali (Dindia, 2000; Collins & Miller, 1994), accresce le nostre conoscenze sul mondo e, fattore forse più importante, elicita il feedback degli altri, permettendoci in qualche modo di vedere e conoscere meglio parti di noi stessi.

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