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Gruppi Gay di Auto Aiuto: Alcune Riflessioni

Gruppi Gay di Auto Aiuto: quanto sono utili? In che misura raggiungono gli obiettivi che si prefiggono? Generano rappresentazioni distorte?

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 07 Nov. 2012

Aggiornato il 05 Ago. 2022 11:24

 

Gruppi Gay di Auto Aiuto. Alcune riflessioni. - Immagine: © Viorel Sima - Fotolia.comGruppi Gay di Auto Aiuto: quanto sono utili? In che misura raggiungono gli obiettivi che si prefiggono? Generano rappresentazioni distorte?

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Recentemente mi sono imbattuto in una realtà che non conoscevo, i gruppi gay di auto aiuto.

E mi sono posto alcune domande: quanto sono utili? In che misura possono raggiungere gli obiettivi che si prefiggono? E’ possibile che generino rappresentazioni distorte in coloro che li frequentano?

La comunità gay afferma, credo giustamente, di essere tuttora discriminata sebbene le dichiarazioni di principio (di facciata?) della maggior parte delle persone lo escludano con fermezza; in questi casi la natura dei pensieri reali non è data da ciò che si dice sugli omosessuali – “io non ho nulla contro di loro!” – ma da come si reagisce alla loro vicinanza, al loro successo, ai loro incarichi politici, Vendola docet.

Omofobia - Immagine: © jjayo - Fotolia.com -
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Tuttavia non sono convinto che istituire gruppi gay dal significato sostanzialmente clinico, se con questa espressione intendiamo l’elaborazione di specifiche difficoltà emotive, sia un’operazione priva di rischi.

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E’ possibile infatti, a mio modo di vedere, che nella rappresentazione soggettiva di alcuni partecipanti questi gruppi gay si trasformino in percorsi terapeutici come se davvero esistesse la necessità di curare un disturbo, un’anomalia nell’adattamento all’ambiente. Da un lato è evidente che promuovere queste iniziative abbia il valido scopo di creare un contesto empatico nel quale i gay possano confrontare le proprie esperienze, raccontare situazioni familiari spesso estremamente complesse se non addirittura apertamente ostili, discutere su scelte di vita delicate come la creazione di una famiglia; dall’altro però, l’esigenza di predisporre un setting e di garantire la reciproca accettazione, il reciproco riconoscimento mi fa pensare ad una difesa nei confronti della società e delle sue chiusure culturali.

Forse l’interrogativo che dobbiamo porci è perché, in un mondo che si definisce sviluppato, essere gay induca ancora oggi ad aggregarsi all’interno di un microcosmo nel quale affrontare il vissuto problematico della propria diversità.

“Diversi da chi?”, mi chiedo, auspicando che in un futuro non troppo lontano i gruppi di auto aiuto siano rivolti solo alle persone che davvero presentano una patologia, e ricordando che l’omosessualità è un deficit non di chi la vive ma di chi, incapace forse di gestire i conflitti della propria identità, si protegge individuando una minaccia esterna.

 

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