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Lo Stile Cognitivo influenza la Fede in Dio?

Lo stile cognitivo può svolgere un ruolo importante nel plasmare le convinzioni teologiche.

Di Milko Prati

Pubblicato il 24 Ott. 2012

Aggiornato il 03 Ott. 2013 15:09

 

Lo Stile Cognitivo influenza la Fede in Dio?. - Immagine: © GIS - Fotolia.comLe differenze individuali possono essere rintracciate nello stile cognitivo. Tale stile svolge un ruolo importante nel plasmare le convinzioni teologiche.

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Alcune settimane fa, inaspettatamente, ho ricevuto una mail di un vecchio amico che non vedevo da qualche anno. Contento che fosse riuscito a contattarmi e volesse incontrarmi, l’ho chiamato e abbiamo deciso di bere un caffè. Iniziamo la nostra conversazione domandandoci il motivo per cui non ci siamo più sentiti ma, come spesso accade in questi casi, non abbiamo trovato una risposta, semplicemente è andata così. Avevo parecchio da dire, in dieci anni accadono moltissime cose e comincio a raffica, per poi accorgermi di aver monopolizzato la conversazione. Mi fermo e gli chiedo di raccontarmi di sé. Mi parla del lavoro, dei genitori, della sua ex e poi, in un’atmosfera mista tra orgoglio e voglia di stupire, mi rivela: “Sono diventato cristiano, un vero cristiano!”. Ho pensato: “…folgorato sulla via di Damasco!”, effettivamente lui stesso mi dice di aver sempre pensato che la religione fosse l’oppio dei popoli. In ogni modo, mi descrive la sua esperienza di conversione ed io ne prendo atto, non giudico, mi limito a osservare il suo sguardo, che mi sembra cambiato da quando ha iniziato a parlare di Dio. La cosa importante per me è sapere che il mio vecchio amico sia sereno, realizzato, insomma la sua conversione non mi ha sconvolto e, soprattutto, non ha pregiudicato in alcun modo il mio legame di amicizia.

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Questa esperienza personale mi ha sollecitato a riflettere su alcuni temi importanti, quali la religione e la conversione, e ha stimolato il mio interesse di carattere psicologico riguardo la possibile relazione tra la fede e il modo in cui una persona organizza i propri pensieri.

Un sondaggio del 2007 del Pew Forum on Religion & Public Life (2008) ha evidenziato che il 92% degli americani crede in Dio e che il 71% degli stessi ritiene tale credenza una certezza assoluta; a livello mondiale si stima che circa il 90% della popolazione creda in un Dio (Zuckerman, 2007). Molti autori si sono occupati di questo argomento, alcuni hanno sostenuto che la fede in Dio è atto intuitivo, un prodotto naturale della mente umana, data dalla sua struttura cognitiva (Bering, 2011; Bloom, 2005; Preston & Epley, 2005) e dal contesto sociale di riferimento (Atran, 2002; Wilson, 2002).

Gli esseri umani possono avere un certo numero di tendenze cognitive, sviluppate precocemente ed eventualmente innate, che sostengono la fede in Dio o in altre entità soprannaturali. Altri hanno proposto che la fede in Dio può fornire spiegazioni utili a ridurre l’incertezza (Preston & Epley, 2005), e alleviare l’ansia relativa all’incertezza (Inzlicht, McGregor, Hirsh, & Nash, 2009; Inzlicht & Tullett, 2010).

Il differente grado di fiducia che le persone ripongono nella fede è stato analizzato attraverso il modello della trasmissione culturale, che si è concentrato in particolare su come le credenze degli individui siano influenzate dai contesti sociali piuttosto che sulle caratteristiche psicologiche distintive dei singoli credenti (Gervais & Henrich, 2010, Henrich, 2009). Senza negare che i modelli culturali di trasmissione della fede siano in grado di spiegare gran parte della variazione osservata, Aarnio e Lindeman (2007) affermano che le differenze individuali possano essere rintracciate nello stile cognitivo e che tale stile possa svolgere un ruolo importante nel plasmare le convinzioni teologiche.

Un aspetto rilevante dello stile cognitivo è il modo in cui gli individui formano i loro giudizi intuitivamente anziché attraverso la riflessione (Frederick, 2005). I giudizi intuitivi consentono di prendere delle decisioni con poco sforzo e attraverso processi automatici, mentre i giudizi riflessivi impongono all’individuo di soffermarsi a esaminare criticamente i dettami della sua intuizione, giungendo così a una conclusione meno intuitiva o controintuitiva; la riflessione è considerata tipicamente più faticosa dell’intuizione. I costrutti del pensiero intuitivo includono il pensiero automatico, associativo, olistico e l’euristica, mentre il pensiero riflessivo è correlato a processi analitici, di controllo, basati su regole, o al pensiero “razionale”.

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Una ricerca effettuata da Amitai Shenhav, David G. Rand e Joshua D. Greene (Harvard University) ha avuto come obiettivo quello di verificare se la credenza in Dio è davvero intuitiva, e se la fede possa essere influenzata dalla tendenza a fare affidamento sull’intuizione piuttosto che sulla riflessione. A tale scopo sono stati realizzati tre studi: nello Studio 1 è stata esaminata la correlazione tra le differenze individuali nello stile cognitivo (intuitivo vs riflessivo) e la fede in Dio; nello Studio 2 è stata indagata la stessa correlazione valutando inoltre la capacità cognitiva (QI) e la personalità; infine, nello Studio 3, è stata analizzata sperimentalmente la relazione causale tra lo stile cognitivo e la fede in Dio, inducendo atteggiamenti mentali che favorissero l’intuizione rispetto alla riflessione o viceversa. 

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Allo Studio 1 hanno partecipato 882 adulti americani; il campione era costituito dal 64% di donne e l’età media del campione era di 33 anni. Prima di effettuare i test, i soggetti hanno compilato on line una survey relativa alla loro fede in Dio. Il test era composto da problemi di matematica con risposte errate che sembravano intuitive. Per esempio, una domanda chiedeva: “Una mazza da baseball e una palla costano complessivamente $1.10. la mazza costa $1 in più della palla. Quanto costa la palla?” La risposta automatica o intuitiva è stata 10 centesimi, ma la risposta corretta era 5 centesimi. I partecipanti che hanno dato più risposte errate hanno mostrato un maggiore ricorso, nel loro stile di pensiero, all’intuizione piuttosto che alla riflessione.

Per quanto riguarda lo Studio 2, il quoziente di intelligenza è stato misurato attraverso il Shipley Vocabulary Test (Shipley, 1986) e il Wechsler Adult Intelligence Scale Matrix Reasoning test (Wechsler, 1997), mentre le variabili di personalità sono state valutate attraverso la Barratt Impulsiveness Scale (Patton, Stanford, & Barratt, 1995), il NEO Personality Inventory (Costa & McRae, 1992), e il Behavioral Inhibition/Activation Scales (BIS/BAS; Carver & White, 1994).

Allo Studio 3 hanno partecipato 373 persone, suddivisi in due gruppi. A un gruppo è stato chiesto di descrivere un momento della loro vita in cui l’intuizione o l’istinto ha portato un buon risultato, mentre al secondo gruppo è stato chiesto di scrivere un’esperienza positiva derivante dall’uso consapevole del ragionamento (stile riflessivo). Dopo l’esercizio di scrittura, i soggetti sono stati intervistati e i ricercatori hanno riscontrato che coloro i quali avevano riportato un’esperienza intuitiva di successo avevano più probabilità di riferire che erano convinti dell’esistenza di Dio, rispetto a chi aveva riportato un’esperienza di successo “riflessiva”.

La relazione osservata tra la fiducia sull’intuizione e la fede in Dio potrebbe derivare da molteplici fonti. 

In primo luogo, la fede in Dio potrebbe essere intuitiva per motivi legati a caratteristiche più generali della cognizione umana, condizione che può dare origine a tendenze verso il dualismo (Bering, 2011) e all’antropomorfismo (Waytz, 2010). Se la credenza in Dio è supportata da tendenze socio-cognitive di tipo intuitivo, allora si ha una spiegazione del motivo per cui uno stile cognitivo, che favorisce l’intuizione rispetto alla riflessione, porterebbe a una maggiore credenza in Dio. 

In secondo luogo, la fede in Dio può essere il risultato di processi di formazione di credenze intuitive ma può anche svolgere un ruolo di supporto a tali processi. La fede in Dio può consentire spiegazioni facilmente accessibili dando un senso a fenomeni altrimenti misteriosi, facendo ricorso a molteplici e smisurati poteri di Dio (Lupfer, 1996). Tali le spiegazioni assumerebbero così una qualità euristica, infatti, la ricerca suggerisce che le persone con stili cognitivi più intuitivi sono più propensi a fare affidamento su euristiche (Frederick, 2005).

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Così, le persone che sono attratte da spiegazioni intuitive possono arrivare a credere in Dio o a rafforzare la loro fede proprio perché il credere in Dio sostiene le spiegazioni intuitive di diversi fenomeni (Inzlicht & Tullett, 2010; Preston & Epley, 2009). La fede in Dio può quindi dare origine a un ciclo di feedback in cui soddisfare la richiesta di spiegazioni appellandosi a Dio rafforza lo stile cognitivo intuitivo che originariamente ha favorito la fede in Dio.

I risultati della ricerca hanno evidenziato che i soggetti con uno stile di pensiero intuitivo presentavano maggiori probabilità di diventare, nel corso della loro vita, più fiduciosi nella loro fede in Dio, indipendentemente dal fatto che avessero ricevuto in passato un’educazione religiosa. Gli individui con uno stile cognitivo riflessivo tendevano invece a mostrare meno fiducia nella loro fede in Dio. Lo studio ha anche mostrato che questo collegamento tra stili di pensiero differenti e livelli di fede non poteva essere spiegato da differenze di capacità di pensiero dei partecipanti o dal QI.

Inoltre, questi risultati sono particolarmente interessanti in quanto riescono a fornire un’interpretazione di un importante fenomeno sociale attraverso l’uso di tendenze cognitive di base. Come le persone giungono alla soluzione relativa ai prezzi delle mazze e delle palline (esempio Studio 1), riflette il loro modo di pensare e, in ultima analisi, le loro convinzioni circa l’ordine metafisico dell’universo.

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