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EABCT 2012 – Non solo Mindfulness: la Keynote di Tom Borkovec

EABCT 2012 - KEYNOTE 2: Tom Borkovec - WHAT WILL CBT LOOK LIKE IN THIRTY YEARS?

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 31 Ago. 2012

Aggiornato il 06 Set. 2012 13:33

EABCT 2012 – KEYNOTE 2: Tom Borkovec – WHAT WILL CBT LOOK LIKE IN THIRTY YEARS? 

EABCT 2012 - KEYNOTE 2: Tom Borkovec - WHAT WILL CBT LOOK LIKE IN THIRTY YEARS?
Tom Borkovec @ EABCT 2012 Genève.

 

Non solo mindfulness: la keynote di Tom Borkovec

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Dopo la sottile promozione della mindfulness operata da Segal, arriva il discorso più ecumenico di Tom Borkovec nella sua keynote: “What will CBT look like in thirty years?”.

Come sarà la terapia cognitiva e comportamentale tra trent’anni? Tre sono gli elementi nuovi che si svilupperanno cambiando l’aspetto del paradigma del cognitivismo clinico: l’attenzione ai processi cognitivi, il legame con le neuroscienze e la componente interpersonale. Tuttavia, e Borkovec ci tiene a dirlo, rimarrà anche l’elemento più tipicamente cognitivo dei contenuti distorti.

Il tema dei processi cognitivi è ormai dominante da circa un decennio. Probabilmente è il tipo di svolta più naturale per riuscire a rimanere nell’ortodossia cognitiva quando si iniziò a capire che l’esplorazione dei contenuti di pensiero distorti si stava esaurendo.

L’ultima pepita trovata in quella vena fu l’intolleranza dell’incertezza di Dugas. Dopo la quale non sono più saltate fuori nuove credenze cognitive distorte. E allora si è pensato, giustamente, si dare più attenzione ai processi: l’attenzione, la memoria e i processi interpretativi. Non che si trattasse di una totale novità. Già Beck, accanto alla triade cognitiva, aveva individuato una serie di processi disfunzionali: labeling, fortune-telling, overgeneralization, jumping to conclusion, e così via.

La vera novità della maggiore attenzione ai processi piuttosto che ai contenuti è stata un cambiamento di tecnica. Beck conosceva i processi, ma li trattava in terapia come le credenze distorte: accertandoli, un po’ disputandoli e poi ristrutturandoli.

Invece i nuovi teorici dell’importanza dei processi cognitivi hanno perfezionato nuovi protocolli terapeutici in cui il trattamento consisteva in esercizi di addestramento che direttamente andavano a modificare le abitudini mentali dei pazienti: il modo di dirigere l’attenzione sugli stimoli negativi o di trattare i propri ricordi.

E sopra questo nuovo piano terapeutico è andata a piazzarsi la mindfulness, che si propone come l’operazione clinica regina delle nuove tecniche addestrative, la corona che finisce per caratterizzare le nuove terapie.

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Tom Borkovec, Sandra Sassaroli & Giovanni Maria Ruggiero @ EABCT 2012 - Geneva
Articolo consigliato: Segal all’EABCT: è la Mindfulness il nuovo Paradigma Cognitivo? -- Nella foto da sinistra: Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero, Tom Borkovec

 

Borkovec, però, non è Segal e, pur citando la mindfulness, non le conferisce questo carattere onniesplicativo. Usa anche altri termini e altre parole. Parla di riaddestramento attentivo, di rieducazione mentale e così via. Insomma, Borkovec ridimensiona la mindfulness da nuovo paradigma a strumento tra gli strumenti a disposizione del terapeuta.

Se i processi ricollegano il cognitivismo clinico al comportamentismo, l’aspetto interpersonale lo collega alla terapia psicodinamica. Borkovec sembra quasi indicare un percorso ecumenico in cui le grandi correnti terapeutiche si incontrano.

Qui però Borkovec è più critico e quasi severo. Dice che, a parere del suo collega della Penn State University, Louis Castonguay (un cognitivista che non a caso frequenta anche l’ambiente della Society for Psychotherapy Research, che è il terreno di gioco della migliore terapia psicodinamica che fa ricerca empirica) la terapia cognitiva ha un problema con gli aspetti interpersonali della psicoterapia.

“Non c’è una teoria cognitiva di come la relazione (certo, non magicamente ma attraverso la mediazione di processi cognitivi) agisca sulla terapia”.

E soprattutto non ci sono ancora modelli cognitivi delle interazioni interpersonali più conflittuali, che descrivano come gestire le rotture dell’alleanza terapeutica, le provocazioni di un paziente svalutante e sprezzante non solo con il mondo esterno, ma col terapeuta stesso.

EABCT 2012 - Davanti allo stand di State of Mind: Gianni Liotti, Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero
EABCT 2012 - da sinistra: Gianni Liotti, Sandra Sassaroli, Giovanni Maria Ruggiero

Abbiamo modelli di interazione col paziente non conflittuali: la collaborazione tra filosofi immaginata da Beck (l’empirismo collaborativo), la sollecitazione motivante e a tratti quasi aggressiva alla Ellis (diamoci una mossa!), il maternage iperaccogliente e consolante alla Young (fin quasi a sedersi e piangere insieme sulle rive di un fiume), le esperienze condivise e cooperative di Liotti e/o Semerari.

Si, lo so: semplifico. Ed è pur vero che Liotti (giustamente) ci tiene a sottolineare che cooperazione non significa accudimento. E fa bene a sottolinearlo.

Ma c’è anche un momento in cui il rapporto terapeutico va in vera tensione e il paziente prova insoddisfazione verso il terapeuta, forse perfino rancore e rabbia quando è messo in faccia alle sue idiosincrasie.

Immaginiamo un narcisista messo di fronte alle sue distorsioni sprezzanti verso gli altri. Pensiamo di poterlo fare serenamente con lui in un’atmosfera di imperturbabile empirismo collaborativo? Di potergli proporre un paio di esercizi attentivi sui suoi rimuginii narcisistici con la stessa flemma con la quale possiamo proporli a un ansioso? Come due filosofi che cercano insieme la verità all’ombra di un platano? Non è così facile.

Infine Borkovec affronta il problema delle neuroscienze. Dice che questo tipo di ricerca sta iniziando a uscire fuori dalla sua infanzia fatta di meraviglie colorate e di scarse ricadute cliniche e che si inizia a capirci qualcosa in più. Che si sta superando il paradigma delle zone cerebrali e ci si sta iniziando ad avvicinare a indici neurocerebrali delle funzioni mentali.

Questo è un argomento delicato. Come si sa, le scienze psicologiche soffrono un po’ la loro evanescenza di discipline che studiano fenomeni che non si riesce a collegare a supporti fisici e organici. Questo Graal di vera materia lo si cerca da decenni. In fondo anche Freud partì con un modello fisico, termodinamico della mente come macchina. Poi fallì traducendo i suoi concetti in termini più psicologici. Speriamo che questa volta vada meglio.

 

 

BIBLIOGRAFIA: 

  • Borkovec T. (2012). WHAT WILL CBT LOOK LIKE IN THIRTY YEARS? Keynote 2. EABCT Congress, Genève 
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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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