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La costruzione di narrative personali in terapia cognitiva #3

L'utilizzo delle narrative personali nel trattamento dei pazienti con sintomi psicotici positivi.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 22 Giu. 2012

 

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Narrative Personali 3. - Immagine: © olly - Fotolia.comL’uso delle narrative personali nel trattamento di pazienti psicotici

La struttura di una seduta si può schematicamente suddividere in almeno tre frame: l’esposizione del problema da parte del paziente, l’indagine condotta dal terapeuta per approfondire la tematica oggetto della conversazione e la ridefinizione, allorché il clinico riformula il problema e condivide col paziente la costruzione di possibili scenari alternativi, utilizzando se necessario ulteriori strumenti quale ad esempio la prescrizione di attività cognitive, comportamentali o di auto-osservazione (Lenzi, Bercelli, 2010).

Le dimensioni della conversazione in base alle quali è possibile descrivere un approccio terapeutico riguardano: il grado di direttività, ossia la libertà lasciata al paziente nella sua esposizione dei contenuti; la distinzione operata dal terapeuta fra dati di realtà oggettivi e vissuti soggettivi del paziente; la collocazione dei punti di vista del clinico, in particolare di quelli identificabili come riformulazione del problema, e il loro livello di adesione al principio di comprensibilità dell’esperienza soggettiva, ossia la possibilità per il paziente di costruire un’attribuzione interna del tema trattato (Guidano, 1987). La libertà del paziente di confermare o meno il parere del terapeuta generando eventuali rinegoziazioni di forme e contenuti del dialogo; la presenza e la funzione di attività aggiuntive come le prescrizioni e le esercitazioni terapeutiche, e il loro rapporto con gli strumenti clinici di base.

La costruzione delle narrative personali in terapia cognitiva. - Immagine: Copertina del libro.  Proprietà di Eclipsi Editore.
Articolo consigliato: La costruzione della narrative personali in terapia cognitiva #1

Per quanto concerne l’approccio narrativo osserviamo una metodologia di intervento che si propone di:

  • creare una conversazione sintonica, negoziando dissidi e nodi problematici all’interno dei diversi frame;
  • riordinare dal punto di vista tematico e temporale gli eventi coinvolti nella sintomatologia del paziente;
  • ridefinire l’esperienza soggettiva utilizzando il criterio internalità/esternalità;
  • rielaborare in una prospettiva storica ed evolutiva i temi di vita e di significato personale, chiarendo il legame tra il loro sviluppo, la loro articolazione narrativa e l’insorgenza dei sintomi;
  • costruire narrative complesse e più flessibili riguardo al problema affrontato, allo scopo di individuare elementi che possano modificare le rappresentazioni semantiche ed episodiche.

Seguendo Lenzi e Bercelli (2010) ci domandiamo: è possibile utilizzare efficacemente le narrative nel trattamento di pazienti affetti da sintomi psicotici? Gli autori hanno analizzato numerosi trascritti di sedute condotte da terapeuti cognitivisti con soggetti che presentavano un quadro psicotico produttivo, costituito da sintomi deliranti e allucinatori, e hanno riscontrato come il frame più ricorrente sia quello pedagogico, nel quale il clinico affronta gli aspetti legati alla gestione concreta delle situazioni problematiche.

Il secondo frame più frequente è invece quello dell’esercitazione terapeutica, nella cui conduzione il clinico chiede al paziente di immaginare ciò che ha sentito come voce riproducendolo mentalmente nella maniera più fedele possibile, per poi comparare il prodotto della propria immaginazione con il ricordo delle voci.

Un altro frame che appare significativamente percorso dal terapeuta è l’indagine, utilizzata per avere una visione precisa del contenuto delle voci.

Lenzi e Bercelli focalizzano l’attenzione su due obiettivi clinici: ridurre l’adesione del paziente al sintomo, ossia la convinzione che le voci siano esterne e ingovernabili, e promuovere una rielaborazione interna attraverso la quale il paziente riesca a ricondurre le vicende e i temi raccontati dalle voci all’interno della propria esperienza narrativa.

Non di rado il terapeuta si confronta col dissidio del paziente, il quale sostiene con forza la natura esterna delle voci; lo studio condotto mostra però che nel frame dell’esercitazione l’adesione al sintomo si riduce notevolmente e questo risultato è determinato dal lavoro specifico che viene svolto in quella parte della seduta. I frame di indagine e pedagogico evidenziano una sostanziale impossibilità per il paziente di riconoscere l’origine esterna delle voci; quando il dialogo terapeutico è condotto dal clinico e il contributo del paziente si limita all’ascolto di istruzioni o alla descrizione oggettiva dei sintomi, risulta impraticabile la via di una ridefinizione narrativa delle voci.

Agostino l'eremita. - Immagine: © deviantART - Fotolia.com
Articolo consigliato: Agostino l'Eremita.

Nel frame di rielaborazione l’adesione al sintomo è alta durante le sequenze iniziali e centrali delle sedute, per poi diminuire nelle sequenze finali, quando il terapeuta propone un riassunto delle tematiche affrontate e sottolinea nuovamente i concetti sottoposti all’attenzione del paziente. La rielaborazione interna delle voci appare ugualmente assente nei frame di indagine e pedagogico, risultando anch’essa negativamente influenzata dalla direttività del terapeuta, mentre cresce in misura sensibile nel frame di esercitazione e in quello di rielaborazione. Questi risultati, sebbene relativi ad un unico studio e quindi ancora insufficienti per elaborare un modello solido, forniscono indicazioni preziose sul possibile utilizzo delle narrative personali nel trattamento di pazienti con sintomi psicotici positivi, e tracciano un sentiero di riflessione che può essere efficacemente percorso da successive ricerche.

La convinzione clinica di fondo è che questi soggetti possano in parte riappropriarsi, attraverso la riformulazione narrativa della propria storia di vita, dei contenuti esperienziali espressi dai loro sintomi.

Il terapeuta può condurli verso un accostamento sistematico delle voci alla narrativa personale, ad esempio lavorando sulla somiglianza, spesso sottolineata dal paziente stesso, fra la voce della patologia e quella di una figura significativa della storia di vita. I contenuti, il tono, la ricorsivita’ delle voci possono riprodurre contesti e relazioni che il soggetto ha vissuto nella realtà, possono riportarlo a frammenti esperienziali concreti che si sono connotati di un significato emotivo insostenibile;

il lavoro clinico è in grado di ridefinire almeno parzialmente il senso del sintomo psicotico, riconducendo ad una dimensione interna ciò che il paziente esperisce come occorrenza esterna. In questo caso può avvenire una ricostruzione semantica ed episodica della situazione problematica, ossia il paziente può utilizzare, nella gestione concreta delle voci, la modificazione di significato conseguente alla riformulazione terapeutica.

Un possibile obiettivo clinico è la graduale generalizzazione dei risultati ai diversi contesti di vita del paziente, affinché egli riesca a riconoscere la provenienza interna delle voci e l’appartenenza della loro trama semantica ad un mondo interno di significati narrativi che la terapia sviluppa e definisce.

 

 

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