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Cinema – Antonioni e l’Incomunicabilità: alla ricerca di un senso.

Antonioni regista, precursore e inarrivabile indagatore di alcune tematiche psicologiche fondamentali. Su tutte l'incomunicabilità.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 22 Mag. 2012

Aggiornato il 01 Ago. 2012 15:25

 

Antonioni e l’Incomunicabilità: alla ricerca di un senso. -
Michelangelo Antonioni

“Quando tu, Antonioni, dichiari in un’intervista con Godard: ‘Provo il bisogno di esprimere la realtà in termini che non siano affatto realistici’, tu testimoni una corretta percezione del senso: non lo imponi, ma non lo abolisci. Tale dialettica conferisce ai tuoi film una grande sottigliezza: la tua arte consiste nel lasciare la strada del senso sempre aperta, e come indecisa, per scrupolo. E’ proprio in questo che tu assolvi il compito dell’artista di cui il nostro tempo ha bisogno: né dogmatico, né insignificante”.

Con queste parole, pronunciate da Roland Barthes in occasione della consegna del premio ‘Archiginnasio d’oro’ a Michelangelo Antonioni nel 1980, possiamo provare ad entrare nel mondo di un regista considerato tra i più grandi di tutti i tempi, precursore e inarrivabile indagatore di alcune tematiche psicologiche fondamentali. Su tutte l’incomunicabilità, che Antonioni analizzo’ con la celebre trilogia composta da “L’avventura”, “La notte” e “L’eclissi”.

Di che cosa discutiamo quando discutiamo di cinema? - Immagine: © fergregory - Fotolia.com
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Comprendere cosa accade quando le persone si distanziano senza un motivo apparente, quando uomini e donne si scoprono alienati da una realtà penetrata sotto la loro pelle senza comunicare il proprio arrivo, è impresa ardua e da terapeuti non di rado ne abbiamo esperienza. Il potere della parola si rivela limitato, l’analisi dei processi mentali spesso non è sufficiente a generare un reale cambiamento, e i nostri pazienti continuano ad essere sovrastati da emozioni che è difficile definire e ancor di più gestire. Coloro che osservano dall’esterno faticano a ricostruire un senso; il terapeuta si pone perciò l’obiettivo di decodificare il sistema di significati personali del paziente, assumendo la sua prospettiva nel tentativo di collocare i pensieri e le emozioni all’interno del suo peculiare habitus esplicativo.

La poetica di Antonioni fa propria la medesima esigenza, non si accosta all’animo umano suggerendo verità universali, bensì tratteggia i caratteri di una mente, di una relazione, mantenendo come riferimento costante l’ambiente esistenziale ed emotivo nel quale ha preso forma quell’esperienza.

Ne “La notte” Antonioni descrive la parabola di una relazione coniugale che nelle ore che dividono un tramonto dall’alba successiva si scopre svuotata, strappata di senso, priva di autentica speranza. Non ci sono litigi accesi ma silenzi che accrescono il frastuono di una festa, non vediamo alzarsi la tonalità emotiva che semmai si abbandona alla ricerca di una solitudine all’improvviso inevitabile se non addirittura provvidenziale. E assistiamo al lento vagabondare, nella periferia della metropoli, di un personaggio che per ciascuno di noi può essere uomo o donna, giovane o adulto. Il senso aperto, appunto. Non sappiamo, né il film ce lo svela con precisione, quale sia il reale stato d’animo dei protagonisti: si mostrano a noi smarriti, annoiati ma la loro potrebbe essere la rabbia di un fallimento, la tristezza per un progetto esistenziale naufragato, la paura di non riuscire a trovare uno scopo alternativo sul quale elaborare un tema di vita più evoluto.

I personaggi di Antonioni si aprono alla nostra interpretazione attraverso sguardi sottili, dialoghi essenziali e quasi lunari, come i paesaggi della città che si perde nelle sue architetture alienate; gli uomini e le donne dell’incomunicabilità si toccano e si lasciano come per inerzia, alludono al vuoto che li pervade ma non sanno quale forma conferirgli realmente, non sanno come condividerlo affinché diventi meno spaventoso. E’ questa, di fatto, l’incomunicabilità. Ogni protagonista procede lungo un sentiero che lo conduce a smarrire gli elementi fondamentali delle proprie certezze e perde progressivamente contatto con i compagni di viaggio, osservandoli sempre più da lontano mentre a loro volta affrontano interrogativi senza risposta. Antonioni racconta l’avvento di una società complessa, nella quale si moltiplicano i bisogni relazionali e la frustrazione di non riuscire a soddisfarli; l’essere umano si ritrova a fronteggiare compiti evolutivi spesso sfuggenti, poiché accanto all’esigenza di costruire e mantenere una propria individualità emerge la necessità di adattarsi ad un contesto sociale nel quale lo sguardo dell’altro diviene sempre più penetrante.

Kill Me Please, Suicidio Assistito e le nuove frontiere del Controllo. - Immagine: © 2012 Costanza Prinetti
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Le convenzioni vacillano, i codici comunicativi condivisi devono essere rinegoziati e le relazioni non sono pronte ad accogliere desideri, pulsioni, movimenti un tempo non previsti: e’ il caso della vicenda narrata ne “La notte”. In questa incertezza prende forma una terra di nessuno, all’interno della quale le persone non comprendono cosa sia richiesto loro e quale spazio debbano occupare le istanze più intime, più private. Affiorano nuovi scopi esistenziali ma ancora nebulosi, che si confondono con le strutture precedentemente assunte come pilastri; il conflitto fra dimensione interna ed esterna, bisogni riconosciuti e spinte evolutive più difficili da collocare nel contesto dei sentimenti accettabili, pone l’individuo dinanzi alla necessita’ di comunicare qualcosa che non può ancora congiungersi a parole affidabili.

Il senso e’ ancora prevalentemente emotivo, incostante, alienato da moti contrapposti, la consapevolezza non ancora chiara; la percezione soggettiva induce ad allontanarsi ma ancora bisogna comprendere da chi e per quale ragione. E’ questa l’incomunicabilità di Antonioni, la sua analisi del mondo umano sorto nel periodo più contraddittorio del secolo più sconvolgente, nei significati inconciliabili di un’umanità divisa e confusa, atterrita dalle più grandi tragedie della storia appena consumatesi e trascinata verso un progresso rapido ma disturbante. Nell’opera di questo regista per molti aspetti rivoluzionario osserviamo nitidamente alcuni concetti che sarebbero diventati sempre più centrali nella lettura delle dinamiche umane, su tutti la lotta per superare il disagio contemporaneo di relazioni parziali, convulse, sferzate dalla velocità dei mutamenti sociali e culturali che lasciano indietro il tempo interiore dell’uomo, la sua visione introspettiva, il suo passo talvolta stentato.

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