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Il Potere della Timidezza. Introversione, estroversione e stili di pensiero.

é importante capire che pensare alla timidezza necessariamente come un difetto o, ancor peggio una malattia, è profondamente errato.

Di Naomi Aceto

Pubblicato il 06 Feb. 2012

Aggiornato il 29 Mag. 2019 10:04

 

Time Cover - Monday, Feb. 06, 2012 (US). Immagine: © 2012 Time Inc. All rights reservedL’autorevole periodico americano Time ha recentemente dedicato una copertina al “potere della timidezza” nel tentativo di sfidare uno dei più consolidati luoghi comuni, ovvero: essere estroversi migliora la propria leadership.

Pensare alla timidezza necessariamente come un difetto o, ancor peggio una malattia, è profondamente errato. Il messaggio che riceviamo dai media, tuttavia, è proprio questo: le persone timide hanno una scarsa autostima, soffrono spesso di disturbi d’ansia e necessitano di cure.

Il luogo comune non distingue infatti la timidezza dalla fobia sociale, disturbo ansioso caratterizzato da una costante e sproporzionata paura nelle relazioni sociali, uno stato di intenso malessere psicofisico che costringe l’individuo a evitare situazioni sociali per il timore di essere giudicato inadeguato dagli altri. Il più delle volte questo timore si autoalimenta dando vita a una sorta di circolo vizioso, in cui il soggetto fobico, per paura che gli altri scoprano le sue preoccupazioni, arriva al punto di avere paura della paura stessa, sviluppando un’ansia anticipatoria che lo costringe di conseguenza a perpetuare i suoi comportamenti di evitamento.

La fobia sociale, tuttavia, non corrisponde alla timidezza, la quale non è solo sinonimo di difficoltà e disagi, ma racchiude anche una serie di qualità e abilità che, se efficacemente utilizzate, possono diventare un punto di forza, come per esempio, la maggiore e più prolungata capacità di attenzione. Sembrerebbe che nei soggetti introversi, l’attività cerebrale sia concentrata nella corteccia cingolata anteriore, ovvero la regione legata ai processi emozionali, al contrario negli estroversi, tale attività interessa prevalentemente le aree del linguaggio e del pensiero razionale della corteccia frontale sinistra (Mobbs, 2005).

Narcisismo e Leadership: gli svantaggi delle apparenze. Immagine: © 2011-2012 Costanza Prinetti
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Per comprendere la natura dell’introversione e dell’estroversione occorre, però, fare riferimento alle numerose interazioni tra fattori genetico-biologici ed ambientali. Come è vero infatti che i fattori genetici esercitano un ruolo primario nello stabilire gli aspetti costitutivi della personalità, è altrettanto vero che tali predisposizioni ereditarie si struttureranno o meno nel soggetto a seconda del ruolo, ugualmente fondamentale, giocato dall’ambiente nel corso dello sviluppo. Oggi però, nella società sempre più efficientista, dinamica e competitiva in cui viviamo, poco importa “come si è”, l’importante è “come si appare”.

In letteratura introversi e non, vengono comunemente definiti “Sitters” e “Rovers” (Cain, 2012): i primi sono coloro che si imbattono nelle situazioni senza pensarci due volte e godono all’idea di stare al centro dell’attenzione; mentre la seconda definizione descrive figure più attente, che spesso rimangono ai margini in una fase di osservazione e valutazione e che agiscono solo in un secondo momento.

Il continuum introversione-estroversione non deve essere considerato un’evoluzione da una disposizione caratteriale negativa vs positiva, queste due polarità sono semplicemente due modi differenti di essere: sitters e rovers metteno in atto strategie di sopravvivenza diverse e ognuna porta ad ottenere diverse ricompense. L’estroverso risulta essere più sicuro, ed ha abilità maggiori nella gestione delle critiche e dello stress rispetto al timido, il quale è sicuramente più sensibile e vulnerabile, ma anche più riflessivo e con maggiori capacità di concentrazione (Jagiellowicz, 2010).

Sarà dunque vero che l’estroversione è il segreto per avere successo nella vita? Forse non è sempre così, come dimostrano alcune strepitose carriere, come quella dell’introverso regista Woody Allen, del celeberrimo maestro Vladimir Horowiz, il quale interruppe le sue esibizioni per 15 lunghi anni a causa della paura di fallire di fronte al suo pubblico, o quella della timida scrittrice britannica Joanne Kathleen Rowling. Ci sono poi personalità pubbliche che sulla propria timidezza costruiscono i loro personaggi e spesso la loro fortuna, ad esempio il sopracitato Woody Allen o la nostrana Margherita Buy, come osserva lo psichiatra Fausto Manara.

Concludo osservando che gli individui schivi alla mondanità, non avvezzi a futili chiacchiere o serate di circostanza vengono spesso etichettati come chiusi o, nella peggiore delle ipotesi, asociali. La tendenza a categorizzare, tuttavia, sembra essere un bisogno intrinseco all’esperienza umana, ma non presenziare ad ogni evento o non avere sempre qualcosa da dire, non sono necessariamente manifestazioni di timidezza, né tantomeno di introversione. In un periodo storico come quello odierno dei reality show, in cui i panni sporchi vengono lavati di fronte a milioni di telespettatori, si può solo pensare che il peggior difetto di un introverso sia quello di non essere “alla moda”.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Stengel R. (2012). What if Introverts Ruled the World? Time, Monday, Feb 06, 2012
  • Cain S. (2012). Quiet: The Power of Introverts in a World That Can’t Stop Talking . Crown Publishing Group (NY) 2012.
  • Jagiellowicz J., et al. (2010) “The trait of sensory processing sensitivity and neural responses to changes in visual scenes”. Social Cognitive Affective Neuroscience 2010.
  • Mobbs D., et al., (2005). Personality predicts activity in reward and emotional regions associated with humor. Pnas 2005; 102:16502-1656.
  • Manara F. (1997). Timidezza. Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1997.
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