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Il dolore in terapia: sofferenza da dimenticare o necessità evolutiva?

Riguardo al dolore in terapia, ogni paziente si trova dinanzi ad una scelta che spesso, a causa di emozioni particolarmente intense, concede un ridotto grado di libertà: risolvere solo la problematica del sintomo o accedere ad una dimensione più profonda, più spirituale?

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 25 Gen. 2012

PSICOTERAPIA: UN DOLORE NECESSARIO

Il dolore in terapia: sofferenza da dimenticare o necessità evolutiva? - Immagine: © Dawn Hudson - Fotolia.com - Di recente mi sono piacevolmente imbattuto in un testo dal titolo “Manuale di psicoterapia ad uso del paziente (ovvero: come scegliersi l’analista). Dialoghi con Cristina” (Quattrini, 1991), del quale mi ha colpito un passaggio iniziale estremamente significativo:

“L’oggetto principale dell’interesse della psicoterapia è il dramma dell’essere umano: essendo evidentemente un fenomeno molto complesso, questo richiede almeno un tentativo di collocazione sul piano teorico. A un esame attento risulta evidente che il dramma non può essere valutato con un metro filosofico ab-soluto: chiunque converrà che il suo nucleo è il dolore, e le domande sul dolore sono di quelle che hanno una precisa risposta in ambito tecnico, essendo esso il prodotto di una τεχνη ancorché naturale, trattandosi cioè di un espediente biologico la cui funzione consiste nell’aumentare le chance di sopravvivenza. Sgravato il dramma di pesi metafisici, si apre allora il problema di come gestirlo, perché è ovvio che qualcosa da fare ci sia, dal momento che il dolore è lì programmaticamente perché qualcosa sia fatto: e se ci sono limiti alla possibilità di sopprimerne le cause, non ce ne sono alla possibilità di inventare reazioni, e qui il dramma ritorna ad essere δραμα, azione, e esistenzialmente l’antinomia tragica dolore-amore si risolve in una interazione funzionale, i cui elementi non sono più antinomici fra loro di una ruota che gira rispetto al motore che la spinge. Solo introducendo questo limite che necessariamente sposta per un tratto il ragionamento su un grado più basso di astrazione, si può accedere filosoficamente al dramma senza indurre nell’interlocutore considerazioni esistenzialmente fuorvianti: a meno che non si consideri la speculazione filosofica come non inerente all’esistenziale, nel qual caso viene da chiedersi di quale σοφια si sia in definitiva φιλοι” (pp.6-7).

Prima di addentrarsi in una trattazione sulle principali psicoterapie ad indirizzo psicodinamico, il testo affronta la tematica che accompagna l’attività di ogni clinico, di qualunque orientamento egli faccia parte: qual è il senso evolutivamente più profondo della psicoterapia? Che genere di vissuto rappresenta per il paziente e come collocarla nell’ambito della più universale esperienza umana che nasce con la vita stessa?

Lo sguardo del dolore - © Kelly Young - Fotolia.com
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Una prima e fondamentale risposta a queste domande è contenuta nel concetto di dolore, che costituisce un elemento ineludibile del cammino psicoterapico e il cui attraversamento risulta improcrastinabile se lo scopo del soggetto è giungere ad un’esaustiva conoscenza di sé. Ogni paziente si trova dinanzi ad una scelta che spesso, a causa di emozioni particolarmente intense, concede un ridotto grado di libertà: risolvere solo la problematica del sintomo o accedere ad una dimensione più profonda, più spirituale? In base alla risposta, talvolta inconsapevole, che viene fornita a questa domanda, il percorso clinico che ci proponiamo di impostare può subire delle variazioni significative: è il caso ad esempio di quei pazienti che dopo aver estinto i sintomi del panico si sentono molto bene e ci comunicano di voler interrompere la cura, nonostante sia a noi evidente che il loro modo di funzionare non è affatto mutato e rappresenta un equilibrio precario, pronto a crollare nuovamente alla prima invalidazione importante.

 

Oppure, al contrario, di quei soggetti che pur non presentando più un quadro sintomatico difficile si rivelano sempre più motivati alla terapia, e trasformano il percorso di cura in un prezioso viaggio di autoconoscenza durante il quale emergono elementi rimasti nascosti negli angoli più oscuri della storia di vita. Il dolore, ci spiega il “Manuale di psicoterapia ad uso del paziente (ovvero: come scegliersi l’analista)” può essere affrontato in due modi: attraverso la speculazione esistenziale, che introduce dall’alto concetti teorici esplicativi del senso dell’esperienza umana, oppure su un piano tecnico, laddove per tecnica si intende l’intervento di processi umani, innati o appresi, che organizzano i significati, conferiscono funzioni specifiche alle emozioni, predispongono l’individuo all’adattamento.

Il dolore non può essere evitato, né le sue cause più remote prevenute; è un principio unificatore dell’esistenza umana e tuttavia può mostrarsi ai nostri occhi con le sembianze di una necessità evolutiva, un’urgenza di cambiamento. Il tentativo di attribuire al dolore una definizione teorica assume una funzione difensiva che ci protegge dall’eventualità di doverlo affrontare veramente; elaborare speculazioni esistenziali sul significato neutro della sofferenza ci separa dal suo reale contenuto emotivo e la rende controllabile attraverso l’applicazione di sistemi di pensiero aprioristici. In terapia accompagniamo il paziente nella realizzazione di un’operazione differente, che da un lato lo espone ad un sacrificio più impegnativo poiché il contatto col dolore ha un carattere diretto e concreto, ma dall’altro gli consente un’esplorazione di risorse evolutive fondamentali.

Vado in terapia: aspettative e timori - Immagine: © andrewgenn - Fotolia.com -
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La sofferenza è davanti all’uomo e il suo manifesto programmatico è elicitare la rappresentazione di soluzioni alternative, modi diversi di costruire la propria identità, sistemi più flessibili coi quali integrare la novità dell’esperienza nello schema adattativo presente. Quando l’individuo si incunea nel dolore, o il dolore nelle pieghe dell’individuo, l’emozione può sembrare ingestibile, essere percepita come soverchiante. Ogni risorsa personale appare insufficiente ma da questo scenario può prendere forma, ed è il senso profondo della psicoterapia, una possibilità di evoluzione nella quale inserire nuove tecniche. Tecnica, appunto: funzione e strumento per compierla, comparsa genetica del dolore all’interno di un ambiente complesso e sviluppo di strategie che attorno al dolore, attivamente e creativamente, organizzano risposte.

 

In conclusione: può la psicoterapia essere una terapia del dolore col dolore?

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Quattrini, G. P. (1991), Manuale di psicoterapia ad uso del paziente (ovvero come scegliersi l’analista). Dialoghi con Cristina. Qui ed Ora rivista di Gestalt, registrazione del Tribunale di Cagliari 6/91 del 22/02/1991.
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