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Tecniche terapeutiche: la bacchetta magica

Vinai scioglieva nodi complessi chiedendo al paziente 'cosa farebbe se avesse la bacchetta magica?'. Inizialmente rimanevo sorpreso, condizionato forse dal mio pezzettino individuale di immaginario collettivo secondo il quale la psicoterapia, da molti non addetti ai lavori ancora associata alla psicoanalisi e non a caso, vive di interpretazioni enigmatiche che sfuggono ai più.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 01 Dic. 2011

Aggiornato il 18 Nov. 2015 11:04

La Bacchetta Magica in psicoterapia: aggirare una resistenza dialettica.

Tecniche terapeutiche: la bacchetta magica - Immagine: © Ekler - Fotolia.com La scuola di psicoterapia è un percorso particolare, diviso fra il piacere di condividere un’atmosfera formativa, di complicità umana fra gli allievi, e la gestione delle proprie aspettative, dei propri timori circa una professione che attende a poca distanza e può tuttavia sembrare lontana.

Queste rappresentazioni, che ogni allievo declina in modo peculiare e che rispecchiano tratti significativi della sua personalità, si riferiscono in particolare alle grandi domande ‘saprò essere un buon terapeuta?’, ‘come si fa il terapeuta?’, e la ricerca di una risposta si svolge su più fronti: lo studio della teoria, gli insegnamenti che si possono attingere dall’esperienza dei didatti, la riflessione sui protocolli che ognuno sente più vicini alla propria maniera di intendere la terapia.

Vi è dapprima la necessità di individuare regole solide, di legarsi a tecniche terapeutiche che strutturino senza incertezze la pratica clinica, e solo in seguito ogni allievo impara gradualmente a maneggiare con flessibilità tali tecniche, ad incastrarle in un mosaico che tenga in considerazione le caratteristiche particolari del paziente, la sua modalità di relazionarsi, il funzionamento cognitivo e metacognitivo che ci mostra.

LA BACCHETTA MAGICA

Coloro i quali hanno avuto come insegnante Piefrancesco Vinai non possono aver dimenticato la celebre tecnica della bacchetta magica, da lui utilizzata con sobria maestria. Il mio desiderio di capire cosa avvenisse in uno studio di psicoterapia allorché il lavoro veniva condotto da un professionista esperto, trovava risposte intriganti quando Vinai scioglieva nodi complessi chiedendo al paziente ‘cosa farebbe se avesse la bacchetta magica?‘. Inizialmente rimanevo sorpreso, condizionato forse dal mio pezzettino individuale di immaginario collettivo secondo il quale la psicoterapia, da molti non addetti ai lavori ancora associata alla psicoanalisi e non a caso, vive di interpretazioni enigmatiche che sfuggono ai più.

Vinai poneva al paziente una domanda che appariva facilmente aggirabile, ma aveva intuito che nel racconto appena ascoltato ‘qualcosa non tornava’, per usare un’altra sua espressione ricorrente. Aspetti di fondo o piccoli dettagli che in quel preciso contesto, in relazione alle altre informazioni disponibili risuonavano incoerenti: era in quegli angoli della terapia che andava a distendersi la bacchetta magica.

Una moglie che non lascia il marito perché non riuscirebbe a mantenersi, un uomo che non confida le proprie sofferenze ai familiari per non farli preoccupare, e molte altre scene cliniche analizzate a lezione: denominatore comune, la rinuncia ad interpretazioni che escludano il contributo reale del paziente. Al contrario, lasciando a quest’ultimo il compito di svelare il proprio vissuto emotivo nei termini in cui di fatto lo percepisce, creando un contesto comunicativo sospeso nel quale non si parla di ciò che bisogna fare ad ogni costo ma di ciò che sarebbe bello fare se alcune condizioni psicologiche o ambientali fossero diverse, si può aprire uno scenario alternativo. La possibilità di rappresentare unicamente nel proprio immaginario un cambiamento sentito come pericoloso rassicura il paziente; compito del clinico sarà imboccare efficacemente la strada aperta dalla bacchetta magica, partendo dalla caduta di una resistenza prima di tutto dialettica.

Alcune domande semplici e dirette costituiscono uno strumento fondamentale per la terapia cognitiva specie quando, pur mantenendo la loro forza penetrativa, si dimostrano gestibili per il paziente. La bacchetta magica ne è un esempio perfetto e nella pratica clinica non è difficile sperimentare la sua validità, ricevendo risposte che diradano la fitta boscaglia di alcuni passaggi faticosi. Il suo utilizzo è semplice poiché non espone il paziente al pericolo di una consapevolezza indotta dal terapeuta attraverso l’autorità del ruolo; ciò che può distinguere il clinico esperto dai colleghi più giovani è semmai la capacità di riconoscere gli scambi comunicativi nei quali il ricorso a quella domanda può risultare più fertile: si definisce esperienza. Godiamoci l’apprendimento!

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