Questo journal vuole incoraggiare l’espressione delle idee dei giovani psicologi e psichiatri italiani, troppo spesso un po’ riservati. Per questo volentieri pubblichiamo questo piccolo pensiero della nostra redattrice. Lo pubblichiamo così come è, fresco di forno senza revisioni.
Lavorando da diversi anni nelle scuole e vedendo molti bambini, all’inizio di questo anno scolastico qualcosa mi ha colpito più del solito e, da psicologa, mi ha fatto riflettere. Noto, infatti, che sta diventando sempre più richiesto il cosiddetto “modulo” introdotto dal ministro Gelmini e che consiste nella possibilità del genitore di scegliere per i propri figli iscritti alla scuola elementare 27 ore settimanali invece delle tradizionali 40. Senza entrare nel merito della riforma, ciò che mi spinge a pensare sono le motivazioni della maggior parte dei genitori nel scegliere questa possibilità invece che quella classica: “40 ore sono tante, poi si arriva a casa stanchi”, “tanto io non lavoro e posso preparare il pranzo, quello della mensa non piace a mio figlio e poi posso seguirlo io nei compiti”, “mio figlio non è neanche andato alla scuola materna e preferisco tenerlo a casa il pomeriggio, così si riposa” e così via. Insomma, ho l’impressione che più passi il tempo più si stia diffondendo nella nostra società un senso di “iper-tutela” dei bambini, che io chiamerei piuttosto iper-protezione da tutto ciò che è fatica, lavoro, studio, sacrificio. Mi ricordo la mia maestra delle elementari che ci ripeteva come la scuola fosse una palestra di vita, che tutto ciò che si impara a scuola è un allenamento a ciò che poi si va incontro nella vita, e forse anche di più, perché ciò che incontri a scuola magari non lo incontrerai più nel corso della vita.
Questa osservazione mi riporta indietro a qualche mese fa, quando mi trovavo a Boston proprio in concomitanza dell’inizio dell’anno accademico e ciò ho visto erano strade e atenei colmi di asiatici, gli studenti che stavano per iniziare l’università. E trovandomi lì ho pensato che è proprio vero che i cinesi ci stanno superando. In America, per entrare in università, occorre passare dei severissimi esami di ammissione e avere frequentato determinate scuole superiori uscendone con voti brillanti. È possibile quindi che gli asiatici siano tutti più intelligenti di noi? Credo che la risposta vada cercata altrove. I cinesi studiano tantissimo, parlano un inglese eccellente e si preparano al meglio, vincendo su chi è meno preparato ma soprattutto meno motivato a farcela. La famiglia orientale tramanda ai figli il senso del dovere e del sacrificio, la rinuncia al gioco e allo svago in favore del lavoro duro. Tutte cose molto lontane dal modo occidentale di crescere i figli, ma che dovrebbero farci riflettere criticamente, non solo perché le cosiddette tigri d’oriente stanno prendendo i posti migliori nelle università e nel mondo del lavoro, ma anche perché, come dice Sandra Sassaroli nel post “La depressione e il dolore”, concentrandoci troppo sulla felicità dei nostri figli e sulla loro protezione, ci dimentichiamo di insegnargli che cosa sia il dolore, la fatica, l’insoddisfazione.