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Dalla padella alla brace: la paura del contrasto emotivo.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 14 Ott. 2011

Aggiornato il 02 Nov. 2011 13:12

Rumination_© jaymast - Fotolia.comIl modello cognitivo considera l’ansia come il risultato di un’incapacità, più forte in alcune persone, di tollerare emozioni negative intense e spiega le strategie utilizzate per evitarle come importanti fattori di mantenimento del disturbo. In quest’ottica il rimuginio ansioso (worry) costituisce uno dei principali strumenti dell’ “evitamento emotivo”: chi rimugina ritiene che pensare continuamente a possibili conseguenze negative aiuti a generare nuove soluzioni per prevenirle o per prepararsi al loro inevitabile verificarsi. “Staccare” da quel pensiero, seppur intrusivo e spesso disturbante, è vissuto in modo terrifico e perciò costantemente evitato. Il rimuginio ha inoltre un effetto calmante a breve termine sull’attivazione neurovegetativa (tachicardia, sudorazione, pressione alta,..) legata all’ansia (Borkovec, Alcaine, & Behar, 2004): l’immediato sollievo del corpo rinforza, di nuovo, la credenza che rimuginare aiuti a tenere sotto controllo le emozioni!

Alcune ricerche hanno tuttavia dimostrato che a fronte di un benessere a breve termine, i rimuginatori cronici esperiscono emozioni intensamente negative a causa di questo stile di pensiero, sia sul piano fisiologico che sul piano soggettivo (Brosschot, Gerin, & Thayer, 2006), riportando un peggioramento della sintomatologia ansiosa e depressiva, senza però riuscire a cambiare strategia.

Ma allora, se è vero che il rimuginio aiuta la mente ad evitare emozioni negative e il corpo a non sentirle, come riescono i soggetti ansiosi invece a tollerare le emozioni negative generate dallo stesso rimuginio?

In un recente articolo pubblicato su Clinical Psychology Review (Michelle G. Newman, Sandra J. Llera, 2011), le autrici propongono un modello esplicativo nuovo del legame tra worry ed disfunzioni emotive; in contrasto con il modello cognitivo classico dell’evitamento emotivo (Borkovec, Alcaine, & Behar, 2004), ipotizzano che il timore dei soggetti gravemente ansiosi (GAD) non sia il solo esperire emozioni negative, ma che l’esperienza da cui sarebbero davvero terrorizzati sia un improvviso cambiamento dello stato emotivo causato da un’esperienza imprevista e negativa. Secondo questo modello i soggetti ansiosi sarebbero più inclini a percepirsi emotivamente vulnerabili rispetto a eventi negativi improvvisi e utilizzerebbero il rimuginio per mantenere uno stato emotivo negativo e prolungato proprio per evitare i rischi di un improvviso cambiamento.

Le implicazioni di questo modello sul trattamento cognitivo comportamentale sono enormi, se si pensa alla dimostrata efficacia delle tecniche di esposizione finora usate per la maggior parte dei disturbi d’ansia e alle difficoltà che invece si incontrano nel trattamento dell’ansia generalizzata (GAD). Le autrici suggeriscono che la paura del contrasto emotivo potrebbe essere una delle preoccupazioni target, forse la più importante, nel disturbo d’ansia generalizzato. La loro proposta è dunque quella di utilizzare le tecniche di esposizione graduale al contrasto emotivo (negative emotional contrast) e consentire i processi di adattamento al cambiamento, fisico e mentale, che un intenso stato emotivo generalmente provoca.

Trattare il disturbo d’ansia generalizzato come una “fobia specifica per il contrasto emotivo” è la sfida cui i futuri protocolli potrebbero orientarsi, nella cura di un disturbo così invalidante e costoso per la qualità della vita di chi ne soffre.

BIBLIOGRAFIA:

  • Michelle G. Newman, Sandra J. Llera (2011). “A novel theory of experiential avoidance in generalized anxiety disorder: A review and synthesis of research supporting a contrast avoidance model of worry”, Clinical Psychology Review, 31 (2011) 371–382.
  • Borkovec, T. D., Alcaine, O., & Behar, E. S. (2004). Avoidance theory of worry and generalized anxiety disorder. In R. Heimberg, D. Mennin, & C. Turk (Eds.), Generalized anxiety disorder: Advances in research and practice (pp. 77−108). New York: Guilford.
  • Brosschot, J. F., Gerin,W., & Thayer, J. F. (2006). The perseverative cognition hypothesis: A review ofworry, prolonged stress-related physiological activation, and health. Journal of Psychosomatic Research, 60(2), 113−124.
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