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La metafora come strumento di cambiamento in psicoterapia

La metafora in terapia è uno strumento che può assumere diversi significati e può favorire la presa di coscienza e il cambiamento di alcuni meccanismi.

Di Noemi Monti

Pubblicato il 21 Feb. 2017

Aggiornato il 27 Set. 2019 15:11

La metafora costituisce una lente di ingrandimento messa a disposizione del paziente per vedere certi aspetti vissuti con problematicità in modo amplificato e rendendo il messaggio veicolato più potente e ricco di significati diversi. Inoltre, l’uso della metafora in terapia stimola tra terapeuta e paziente il rafforzamento del canale emotivo-affettivo creando empatia e sintonia (Brink, 1988).

Noemi Monti, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

“La metafora è considerata non solo un abbellimento linguistico, ma una forma di pensiero, uno strumento che permette di categorizzare le nostre esperienze. La realtà è definita in termini metaforici e le metafore incidono sul modo di percepire, di pensare, di interagire e giocano un ruolo molto significativo nel determinare ciò che è reale per noi”.
(Lakoff e Johnson, 1998)

 

L’impiego della metafora negli approcci di psicoterapia

La metafora è parte integrante della nostra realtà quotidiana. Da anni è oggetto di studio della scienza cognitiva e della linguistica, ma non solo. Numerosi approcci terapeutici si sono interessati alla metafora come strumento di cambiamento. Il primo ad utilizzarla in modo sistematico in seduta è stato Erickson (1984), con l’obiettivo di stimolare nei pazienti il riconoscimento di un significato implicito o subliminale all’interno dei suoi racconti e dei suoi aneddoti.

Successivamente i diversi approcci psicoanalitici e l’Acceptance and Commitment Therapy hanno ripreso l’intuizione dello studioso e, adattandola al loro background teorico, hanno fatto uso in modo massiccio della metafora e delle altre figure retoriche nel loro approccio clinico.

Nella terapia cognitivo comportamentale meno attenzione è stata dedicata alla metafora: la sua modalità di utilizzo è stata maggiormente lasciata alla capacità del singolo terapeuta piuttosto che sistematizzata all’interno della terapia. Malgrado ciò già Beck e Emery (1985) utilizzarono con alcuni loro pazienti delle metafore. Una delle più note riguarda una giovane scrittrice che non riusciva più a scrivere nulla in quanto, ogni qualvolta lo faceva, il risultato non era per lei soddisfacente. A quel punto il terapeuta cercò di convincerla che l’importante, almeno all’inizio, era scrivere, indipendentemente dalla qualità letteraria raggiunta. Tale tentativo non andò a buon fine e la paziente continuava a rifiutarsi di scrivere. Allora il terapeuta provò con una metafora: “Scrivere è come pompare dell’acqua. Se una pompa non viene usata per tre anni, si accumula una grande quantità di ruggine e sporcizia. Bisogna pompare l’acqua un po’ meno per eliminare la sporcizia. Lei sta facendo qualcosa di simile. Quando comincia a pompare dopo tre anni di inattività e vede che esce un’acqua di colore marrone conclude che, non essendo limpida, non è buona e così chiude il rubinetto. Ma quello che deve fare è lasciare scorrere l’acqua finché diventa di nuovo limpida”. Dopo quel racconto la paziente, non senza qualche difficoltà, riprese a scrivere.

La metafora si struttura così come una forma del pensiero prima ancora che di linguaggio e come una forma concettuale prima ancora che espressiva.

Secondo Casonato (2003) è il modo di pensare, di immaginare la realtà e di interpretarla ed è alla base delle reazioni emotive dei comportamenti del paziente indipendentemente dalla sua struttura psichica. Ma non basta usare una metafora per ottenere un cambiamento significativo nel paziente.

L’uso della metafora è un’arte e come ogni arte richiede rigore nell’impararla e creatività nell’utilizzarla. Innanzitutto per essere efficace una metafora deve essere ben integrata nella conversazione terapeutica. Ciò implica che il suo utilizzo può avvenire quando tra terapeuta e paziente si è instaurata una buona relazione ed il terapeuta conosce gli aspetti della vita del paziente che lo caratterizzano e/o che per lui sono importanti. Non esiste un set di metafore base che funzionano, ma ogni metafora è tailor made su quel paziente. Nel caso per esempio di un paziente con la passione dell’informatica, molto utili potrebbero rivelarsi i parallelismi con quel mondo durante la seduta.

 

Le fasi per definire una metafora

Gordon (1978) individua tre fasi del processo di creazione di una metafora. In primo luogo occorre raccogliere le informazioni, ovvero indagare i soggetti coinvolti nella situazione ritenuta problematica: gli aspetti caratteristici, il tipo di azione/reazione messe in atto, gli ostacoli che impediscono al paziente di mettere in gioco un atteggiamento più funzionale.

In secondo luogo c’è la costruzione della metafora vera e propria, ossia identificare il problema del paziente, definire l’obiettivo, delineare il contesto di riferimento e generare un simbolismo e un isomorfismo in grado di generare un’esperienza vicaria funzionale all’attivazione di ristrutturazioni con conseguenti soluzioni alternative.

L’ultima fase è quella della soluzione del problema, ovvero l’applicazione della metafora negoziata e rielaborata dal paziente affinché avvenga un cambiamento. Compito della terapia è proprio quello di facilitare l’elaborazione esperienzale ed emozionale piuttosto che quella concettuale, supportando il paziente a essere consapevole della propria modalità personale di essere nel mondo e di rapportarsi (Greenberg, Rice e Elliott, 2000).

Il successo di una metafora dipende dalla sua capacità di riuscire a coinvolgere alcune componenti cognitive:
1. l’evocazione di contenuti visivi. Una metafora veicola anzitutto un’immagine. E’ come se il problema del paziente acquisisse più concretezza, più chiarezza, incarnandosi in una figura ben definita;
2. l’integrazione degli aspetti verbali e di quelli immaginativi. La capacità di integrare questi due aspetti permette, secondo Watkins (2008), di diminuire i rischi legati alla generalizzazione e alla scarsa risoluzione dei problemi. Nella letteratura sulla terapia cognitivo comportamentale è stato evidenziato come una preponderanza di elaborazione verbale porti a infruttuose ruminazioni che non consentono al paziente un’elaborazione maggiormente flessibile dei vari tipi di informazione che possiede;
3. la considerazione di più concetti contemporaneamente. La metafora stimola la capacità del soggetto di tenere in considerazione, nello stesso momento, due o più concetti diversi. Questo porta alla stimolazione del problem solving che è stimolato da una più ampia considerazione dei singoli aspetti di uno specifico problema al fine di connetterli o differenziarli;
4. la consapevolezza di punti in comune al di là delle differenze superficiali. La metafora consente di creare un ponte tra un concetto astratto e un’immagine concreta e di recuperare da quest’ultima delle percezioni e delle sensazioni “dormienti” nella memoria storica emotiva della persona;
5. l’uso flessibile di più significati. Secondo Lakoff e Johnson (1980) una stessa metafora è portatrice di più significati che diventano salienti di volta in volta rispetto a un determinato paziente e in un determinato contesto. Il rischio che lamentano gli autori, tuttavia, è che vengano compresi dai pazienti un solo significato alla volta, lasciando sullo sfondo gli altri, altrettanto importanti. Per questo suggeriscono di utilizzare più metafore per esplorare uno stesso tema piuttosto che una.

A sostegno di ciò portano la metafora della gamba rotta, particolarmente utilizzata nei pazienti che soffrono di depressione. I pazienti depressi sono comprensibilmente frustrati dai loro sintomi. Ciò che per loro è più doloroso è il continuo confronto con quando stavano meglio e il ripetersi che dopo alcune sedute di terapia dovrebbero ritornare quasi come prima. Il terapeuta allora chiede al paziente di immaginarsi di essere un maratoneta che, a causa di un infortunio, si rompe una gamba e lo invita a chiedersi se sarebbe così duro ed esigente con se stesso nel riprendere a camminare e a correre. In questo caso la metafora rende saliente il concetto di tempo di recupero necessario per guarire, ma lascia sullo sfondo l’incertezza a cui si può andare incontro in questo percorso e che può portare a vivere una situazione di smarrimento. In questo caso è utile affiancare alla metafora della gamba rotta anche quella del viaggio nel buio. L’utilizzo di più metafore deve essere fatto con molta accuratezza così da non ingenerare confusione nel paziente. Tuttavia utilizzarne diverse può anche inviare al paziente un meta-messaggio utile: ci sono modi diversi di guardare le cose.

Il coinvolgimento di tutti questi processi fa sì che la metafora costituisca una lente di ingrandimento messa a disposizione del paziente per vedere certi aspetti vissuti con problematicità in modo amplificato e rendendo il messaggio veicolato più potente e ricco di significati diversi. Inoltre, l’uso della metafora in terapia stimola tra terapeuta e paziente il rafforzamento del canale emotivo-affettivo creando empatia e sintonia (Brink, 1988). Infine è un valido strumento per l’insight in quei contesti che sfuggono alla comprensione diretta.

Pacciolla (1991) riassume le funzioni di efficacia della metafora:
– motivare, attivare un paziente deluso, scoraggiato che reputa i suoi problemi insolvibili;
– superare le difficoltà ad affrontare situazioni o temi importanti per la vita del paziente o quando si osserva una scarsa disponibilità ad accogliere le riformulazioni del terapeuta;
– affrontare il disagio che si può costituire utilizzando una comunicazione diretta;
– aumentare il grado di coinvolgimento evitando la deconcentrazione e la perdita di interesse;
– sfruttare il potere evocativo delle immagini e consentire che queste rimangano in memoria il più a lungo possibile;
– adeguarsi al linguaggio indiretto del paziente;
– vedere un problema in un contesto diverso che lascia spazio anche ad un’opportunità;
– mostrare al paziente come i suoi pensieri e i suoi comportamenti siano legati ad un certo modo di vedere le cose che potrebbe non essere né l’unico né tantomeno il più funzionale.

Quanto presentato permette di osservare una forte analogia tra l’effetto che stimola una metafora e la ristrutturazione cognitiva che si pone come uno degli elementi centrali della terapia cognitivo comportamentale. L’efficacia della metafora nel cambiamento non è dimostrata solo dalla pratica clinica ma anche da alcuni studi che hanno documentato come il cervello risponda se stimolato da una figura retorica.

Benson e Hays (2003) sostengono l’esistenza di una base neurale della metafora e che l’ascolto di una metafora lunga porti la persona ad un abbassamento del livello di attenzione con conseguente cambiamento dell’attività elettrica del cervello che passa dalle onde cerebrali beta tipiche dell’attenzione attiva alle onde alpha proprie della veglia rilassata. Tale mutamento di attività crea nel paziente uno stato di maggior apertura e minor tentativo di razionalizzare il suo vissuto problematico e consente l’integrazione degli aspetti emotivi. Erickson (1984) ha paragonato questo stato alla trance che consentiva la registrazione dei messaggi trasmessi dal proprio subconscio per la valutazione dell’esperienza complessiva.

L’utilizzo della metafora nella terapia cognitivo comportamentale

Stott, Mansell, Salkovskis, Lavender, Cartwright-Hatton (2010) hanno sintetizzato alcuni punti chiave per l’utilizzo delle metafora all’interno della terapia cognitivo comportamentale.

1. L’importanza dell’interazione terapeuta-paziente: la negoziazione e la scoperta guidata

Come anticipato, l’uso della metafora richiede un’interazione ricca e ben integrata tra paziente e terapeuta finalizzata a costruire la strada migliore per trasformare in modo funzionale la visione di sé e del mondo. Ciò implica una condivisione e discussione dei significati implicati con lo scopo di giungere ad una negoziazione della metafora da utilizzare. Una volta individuata la metafora il terapeuta deve farsi promotore della fase di scoperta guidata in cui la metafora viene destrutturata e analizzata. A volte questa fase è più complessa per il terapeuta che per il paziente in quanto la stessa metafora può essere utilizzata in circostanze differenti e per scopi differenti. A volte il percorso terapeutico viene paragonato a un viaggio e al paziente viene data una cartina al cui interno indicare tappe ed ostacoli da superare. Altre volte il terapeuta viene paragonato a un detective privato, mentre il paziente ad uno scienziato. L’idea comune è quella di scoprire qualcosa, anche se il percorso può essere arduo.

2. Il momento migliore per utilizzare la metafora

Non esiste un momento preciso per introdurre nel dialogo terapeutico una metafora. Questa può essere collocata centralmente in una terapia per stimolare il cambiamento oppure nella parte conclusiva per cristallizzarlo. In qualche caso può essere messa in campo anche all’inizio come strumento per agganciare il paziente. A tal proposito può essere utile portare ad esempio una metafora. Nell’era di Internet è esperienza abbastanza comune che i pazienti giungano in terapia sulla base di qualcosa che hanno letto sulla rete. Generalmente, della terapia cognitivo comportamentale viene apprezzata la sua pragmaticità, il suo intervenire sulla problematica dell’hic et nunc. Viene spesso obiettato che non ci si occupi della causa della sofferenza lasciando nel dubbio che sia solo un intervento superficiale e temporaneo. Quando un paziente arriva con queste osservazioni il terapeuta potrebbe portare alla sua attenzione questa metafora: “immaginiamo che lei si svegli in un letto di ospedale, confuso e stranito e con una gamba rotta. Quanto è importante che si vada a ricercare la causa di quell’infortunio per poterla curare? Il medico prima di operare, tuttavia, farà tutte le verifiche, tutti gli esami necessari per valutare l’intervento migliore. Valuterà inoltre se ci sono degli ostacoli che impediscono la guarigione e delle possibili cause di ricaduta. La terapia cognitivo comportamentale segue questo principio. Non ha senso indagare il passato, ma i riflessi che questo ha nel presente in termini di modalità del funzionamento di ciascuno di noi, così da non ricadere negli stessi problemi”. Alcuni autori obiettano che talvolta la metafora potrebbe rendere le cose più complicate anziché semplificarle e ritengono che una psicoeducazione diretta potrebbe portare a migliori risultati. L’esperienza clinica, tuttavia, suggerisce che la sofferenza in cui si trovano i pazienti potrebbe rendere difficoltoso un processo così esplicito sia dal punto di vista della comprensione cognitiva che di quella emotiva. Inoltre stimola nel paziente l’idea che non solo sia possibile pensare alle situazioni in modo più funzionale ma che si possa imparare a gestire la situazione e non solo a reagirvi. Si supera così anche l’approccio classico per cui il cambiamento terapeutico passa attraverso l’individuazione di errori logici di pensiero.

3. L’importanza di identificare e bilanciare le emozioni

Per B. Beck (1978) la metafora rappresenta un ponte, un’integrazione tra il pensiero razionale e quello emozionale. In ambito terapeutico le metafore possono essere utilizzate per trovare il giusto equilibrio tra l’elicitazione di emozioni cariche e il far sì che tali emozioni non esplodano. Molti terapeuti fanno esperienza del tentativo dei loro pazienti di razionalizzare i problemi. Così facendo in realtà è come se evitassero di pensarli in modo troppo approfondito. Spesso capita con pazienti che soffrono di attacchi di panico che talvolta sono assolutamente consapevoli del fatto che non moriranno né impazziranno. Tuttavia riferiscono che nel momento in cui l’ansia prende il sopravvento formulare questo pensiero diventa quasi impossibile. Altri pazienti cercano, nei momenti di sofferenza, di dirsi delle frasi auto-rassicuranti come: “non preoccuparti, finirà tutto, ho fatto del mio meglio”. Tutto ciò allo scopo di combattere alcune paure. Questo tuttavia conduce, come prima, ad un evitamento esperienziale che non solo mantiene, ma addirittura può aumentare il disagio del paziente, sebbene questo sia spesso convinto del contrario. L’unica strategia messa in atto dal paziente è quella di contraddire il pensiero negativo anziché attuare una ristrutturazione delle credenze. Nell’ambito delle emozioni è spesso necessario sostenere nel paziente un passaggio “dalla testa al cuore”. Per farlo il terapeuta può mimarlo toccandosi prima la fronte e poi passando la mano alla parte sinistra del cuore. Non di meno può essere utile portare le parole auto-rassicuranti del paziente in una metafora facendo in modo di vedersi in questo atteggiamento dal di fuori. Così facendo potrà capire come tale tentativo potrà, al limite, portare solo ad un miglioramento superficiale e temporaneo.

Infine si segnala che, a parere degli autori, le espressioni metaforiche mettono in luce vividamente che le emozioni positive fanno crescere, danno forza ed energia e sono utili, mentre quelle negative possono risultare dannose e per questo non vanno evitate ma gestite.
Uno dei binomi più utilizzati e frequenti in psicoterapia nell’ambito delle metafore è quello di cibo ed emozioni: “ho un peso sullo stomaco”, “mi sento avvelenato dalle loro cattiverie”. Per un terapeuta riuscire a cogliere il significato profondo di queste metafore all’interno di una seduta può essere molto prezioso.

4. La metafora come chiarificatrice del binomio emozione-cognizione

L’idea sottostante al modello di Beck (1976) è che le reazioni emotive delle persone siano funzionali alla modalità in cui esse organizzano la realtà e attribuiscono significato ad eventi e situazioni. E’ il significato che si attribuisce agli eventi ad elicitare certe emozioni piuttosto che gli eventi stessi. Le emozioni appartengono a un particolare tipo di interpretazioni. Si mette in luce perciò l’importanza della specificità emozione-cognizione. Tale specificità è ben illustrata dalla metafora di Salkovskis (1996) in cui racconta di tre uomini che incapparono, una mattina, in un escremento di cane. Malgrado la situazione fosse la stessa, le reazioni furono diverse. Il primo iniziò a pensare che capitano tutte a lui e che è una persona molto sfortunata. Il secondo cominciò a chiedersi se fosse più opportuno andare a casa e cambiarsi le scarpe arrivando in ritardo al lavoro e col rischio perciò di perderlo oppure andare al lavoro ed essere redarguito dal capo per mancanza di igiene personale rischiando, ancora una volta di perderlo. Il terzo invece si disse semplicemente “meno male che non ho messo i sandali stamattina” e passò oltre. Questa metafora veicola due importanti concetti. Il primo è che la terapia cognitivo comportamentale non ha come obiettivo quello di indurre i pazienti a pensare più razionalmente né tantomeno positivamente. Il secondo è che ci sono diversi modi di vedere una determinata situazione o problema. Spesso invece nei pazienti vi è la convinzione che quello che provano o sentono sia il riflesso diretto di quello che vivono.

5. La metafora a supporto delle spiegazioni alternative alle situazioni

La metafora può supportare il paziente nel dare spiegazioni alternative alle situazioni vissute, spiegazioni che non vanno necessariamente nell’ottica di essere rassicuranti. Per accettare una spiegazione alternativa e per farla sua (soprattutto se si tratta di credenze disfunzionali) il paziente deve avere a disposizione innanzitutto una spiegazione comprensibile e chiara. Proviamo a spiegarlo con una metafora. Una donna trova sul cellulare del compagno dei messaggi con la sua migliore amica in cui si danno un appuntamento. La donna chiede immediatamente spiegazioni a entrambi ed entrambi la rassicurano dicendo che tra di loro non c’era alcuna relazione. Di questa spiegazione però non è soddisfatta e continua a nutrire dubbi e preoccupazioni. Anzi, le rassicurazioni sembrano aver peggiorato la situazione. I dubbi e le preoccupazioni svaniscono quando scopre che gli incontri clandestini sono finalizzati all’organizzazione di una festa a sorpresa per lei. Ecco la spiegazione alternativa chiara e convincente. Persons e Tompkins (2007) suggeriscono che la metafora può supportare la formulazione di spiegazioni alternative e consente al paziente di farlo in un ambiente immaginario e, per questo, protetto. La formulazione del problema e delle sue alternative è centrale nella terapia cognitivo comportamentale. Bieling e Kuyken (2003) suggeriscono che “la riformulazione della situazione può essere definita come un set coerente di inferenze che spiegano i fattori che causano e mantengono i problemi presenti nella persona”. Butler (1998) sostiene che nella formulazione dei problemi del paziente può essere utile disegnare con lui concretamente una mappa in cui indicare gli obiettivi da raggiungere e gli ostacoli che potrebbero esserci. Terapeuta e paziente in questa visione sono esploratori e la mappa può essere all’inizio parziale e incompleta. Man mano che il percorso di terapia procederà si andrà a perfezionare le tappe e a condividere in maniera più puntuale ostacoli, problemi e alternative. Questa prospettiva veicola nel paziente un approccio di empowerment aiutandolo sempre più a gestire le situazioni in prima persona anziché reagirvi facendo attenzione ad essere sempre allineati ai suoi valori.

6. Ognuno ha la giusta metafora

Un importante compito del terapeuta è quello di selezionare la o le metafora/e che siano significative per il paziente ovvero sufficienti ad assicurare l’elaborazione e la comprensione del suo vissuto. Non capita raramente che i pazienti sostituiscano le metafore proposte dal terapeuta con altre ritenute più salienti. Questo atteggiamento dovrebbe essere incoraggiato perché pone le basi per il terreno comune su cui lavorare in seduta. Il terapeuta può tuttavia aggiungere alla metafora del paziente alcuni elementi che ritiene importanti per una corretta comprensione e valutazione.

Inoltre deve supportare il paziente nell’individuare gli elementi centrali della metafora e collegarli agli aspetti problematici specifici per quel paziente. L’ultimo passo è quello di supportare il paziente nel testare la validità delle implicazioni che la metafora/situazione ha e le conseguenze sulla sua vita. La stimolazione di tale consapevolezza potrebbe portare il paziente ad aumentare la sua comprensione delle vicende del passato e a condurre veri e propri esperimenti comportamentali per verificare la bontà delle spiegazioni alternative trovate. Ciò inoltre fornisce un utile supporto al passaggio “dalla testa al cuore” cui si è fatto cenno prima.

Oltre ai punti chiave per utilizzare una metafora nella terapia cognitivo comportamentale occorre tenere presente anche alcune caratteristiche fondamentali.

Innanzitutto deve essere immediatamente disponibile alla comprensione dalla persona a cui è proposta. Ciò implica che la scelta della metafora dovrebbe, preferibilmente, basarsi sul background della persona e i suoi interessi. In alternativa si possono scegliere metafore aventi a che fare con esperienze “largamente diffuse”: ad esempio il terapeuta può utilizzare l’espressione scoppio di pianto per rendere più comprensibile la sensazione di perdere del controllo. Scoppiare in pianto può essere sintomo di sopraffazione ma non è in alcun modo irreversibile. E’ questa non irreversibilità che permette al paziente di dare un senso nuovo alla sua esperienza.

La scelta della metafora, inoltre, deve essere in linea con la cultura di chi si ha di fronte ed il suo sistema di valori. Talvolta vengono utilizzate delle metafore “universali” ad esempio quelle che riguardano i temi evoluzionistici. Oppure si possono utilizzare delle metafore molto concrete che si riferiscono, a titolo esemplificativo, animali, piante e costruzioni. In ogni caso non necessariamente la metafora per essere compresa deve essere sperimentata effettivamente. Un esempio di metafora transculturale è quella del market cinese. Ci si può immaginare di acquistare dei prodotti in un negozio conosciuto e degli altri in un negozio cinese in cui non ci si è mai recati. L’esperienza soggettiva può essere molto diversa. Tuttavia una disamina più attenta può consentire di cogliere degli elementi molto simili: tutti si recano in un negozio per comprare e vendere. Ciò che cambia sono i dettagli. Così la fobia sociale in Gran Bretagna è la stessa di quella presente in Giappone. Quello che è differente sono i valori socio culturali di riferimento.

L’umorismo in terapia

Infine, una delle caratteristiche delle metafore è che esse, talvolta, possono assumere la forma di barzellette e storie umoristiche. L’umorismo in terapia deve essere utilizzato molto prudentemente per evitare che il paziente si possa sentire deriso o non compreso adeguatamente. Per questo occorre che siano valutati due fattori chiave: il contesto in cui l’umorismo è usato e la relazione terapeutica. Se contesto e bontà della relazione terapeutica lo consentono una metafora in chiave umoristica può avere un’ottima efficacia.

Ci sono due tipi di umorismo. Il primo è l’umorismo cosiddetto accidentale in cui il paziente è divertito da qualcosa che il terapeuta ha detto. In tali circostanze è utile, una volta concluso il momento divertente, chiedere al paziente che cosa abbia trovato di comico, anche se spesso ciò rovina la battuta. Altre volte invece le metafore umoristiche possono essere maggiormente deliberate. Ad esempio, nel caso di un paziente con tematiche ossessive che si lava molte volte al giorno le mani per paura di contaminare gli altri facendosi portatore di germi letali, il terapeuta, dopo aver raggiunto una buona alleanza, potrebbe suggerirgli di candidarsi per lavorare con i servizi segreti mettendo così a disposizione la sua grande capacità di mettere in pericolo e addirittura uccidere una persona semplicemente non lavandosi le mani e passandogli qualcosa. Il paziente, generalmente, troverà divertente questo parallelismo. La metafora lo aiuterà a capire che le persone spesso si sentono responsabili di ciò che non sono e di ciò che non controllano. Lo humour può cristallizzare questo messaggio.

Come anticipato in premessa – e confermato da McMullen (2008) – lo studio della metafora in psicoterapia non è approfondito quanto il suo utilizzo. Ciò viene imputato al fatto che ogni metafora ha un significato troppo specifico per ciascun paziente e quindi diviene complesso generalizzare la sua efficacia in uno studio ampio. Malgrado ciò, una ricerca di Casonato (2003) ha riscontrato una maggiore efficacia della terapia laddove si faccia un utilizzo significativo di questa figura retorica. Ci si auspica quindi per il futuro un numero più ampio di studi che possano anche determinare una correlazione significativa tra caratteristiche del paziente, tipi di metafora usata e loro efficacia.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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