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Perchè non possiamo essere vegetariani – Quel che una pianta sa – Recensione

Quel che una pianta sa - All’uscita dal cinema, impressionata dalla visione di Babe, Maialino Coraggioso, giurai che non avrei mai più mangiato carne.

Di Valentina Davi

Pubblicato il 12 Nov. 2013

Aggiornato il 13 Nov. 2013 13:17

Recensione del libro

Quel che una pianta sa – Guida ai sensi nel mondo vegetale

di Daniel Chamovitz

Raffaello Cortina Editore (2013)

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Quel che una pianta sa - RecensioneAll’uscita dal cinema, impressionata dalla visione di Babe – Maialino Coraggioso, giurai a me stessa che non avrei mai più mangiato carne in vita mia. Avevo 10 anni.

I miei buoni propositi si arenarono di fronte ad un gustosissimo panino alla mortadella, la sera stessa. La questione morale ha sfiorato la mia anima di carnivora impenitente in qualche successiva occasione, ma la piacevole scarica di dopamina provocata dall’assunzione di una buona bistecca è sempre riuscita a sedare eventuali sensi di colpa.

Diventare vegetariani è una scelta che considera oltre che aspetti salutisti ed ecoambientalisti, anche aspetti etici; significa non voler prendere parte ad un processo che comporta lo sfruttamento, la sofferenza e la morte degli animali, ritenuti degni dello stesso rispetto dovuto agli esseri umani. Chi sbeffeggia questa scelta sostenendo che anche l’insalata soffre si sente rispondere che, a differenza degli animali, i vegetali, pur essendo esseri viventi, non provano dolore né possiedono un’auto-coscienza poiché sono sprovvisti di sistema nervoso e soprattutto di un cervello. Vero. Eppure le piante rappresentano quella che potremmo definire una forma d’intelligenza rudimentale; non avranno un cervello, ma sono straordinariamente simili a noi in più di un aspetto, più di quanto possiamo immaginare.

Quel che una pianta sa – Guida ai sensi nel mondo vegetale è un curioso libro di divulgazione scientifica in cui il biologo Daniel Chamovitz svela le similitudini tra il sistema nervoso umano e gli apparati attraverso cui le piante percepiscono ed interagiscono con il mondo, illustrandone le significative somiglianze riscontrabili a livello genetico.

Leggendo il testo si scopre un mondo sconosciuto che ci fa sentire più vicini alla natura. Che le piante siano in grado di percepire la luce è una nozione da scuola elementare che tutti quanti abbiamo imparato; ma scoprire che le piante “vedono” proprio come noi lascia stupefatti: le piante sono infatti capaci di distinguere tra luce rossa, blu, rosso lontana e raggi UV e reagiscono ad essa traducendo i segnali luminosi ovviamente non in immagini, ma in indicazioni utili per la loro crescita; allo stesso modo rilevano sostanze chimiche volatili nell’aria (es. i feromoni) e convertono questo segnale in una reazione fisiologica; in altre parole, anche le piante sono dotate di olfatto. Sono però prive di udito: nonostante la credenza popolare, non è vero che la musica classica ne favorisce la crescita, con buona pace della Dott.ssa Dorothy Retallack (1973) che dedicò la sua vita a dimostrare quanto i Led Zeppelin fossero nocivi ai gerani (e alle persone). I vegetali non hanno, infatti, bisogno di “orecchie” per orientarsi nel mondo, poiché sanno sempre dove si trovano grazie ad un sistema propriocettivo straordinariamente simile a quello umano che permette loro di reagire alla forza di gravità (distinguendo l’alto dal basso) e di riconoscere la posizione in cui si trovano le varie parti quando si muovono.

Leggendo Quel che una pianta sa non si può non rimanere affascinati da quanto condividiamo con il mondo vegetale. Chamovitz ci accompagna in uno straordinario viaggio tra esperimenti e curiosità che ci lasciano a bocca aperta e ci fanno sentire in sintonia con le piante, che come noi soffrono il jet leg (“ma non diventano irritabili”) e quando “si fanno male” producono metil salicilato (sì, avete capito bene, l’aspirina!).

L’insalata non avrà un cervello, ma è estremamente consapevole del mondo che la circonda: dell’ambiente visivo e dei profumi nell’aria, della forza di gravità e dei tocchi che riceve, ha memoria del proprio passato e modifica la propria fisiologia in base a tali ricordi e alle informazioni che riceve dall’esterno. Alla luce di tutto ciò, forse anche l’insalata merita il nostro rispetto? E se sì, allora l’unica soluzione è diventare fruttariani? Lascio a voi risolvere il dilemma etico.

Io d’ora in avanti guarderò la parmigiana della mia mamma con occhio diverso. Certo è che poi saper resistere non è mica da tutti: parmigiana, m’hai provocato e io te distruggo…con un po’ di senso di colpa…ma te distruggo comunque.

 

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BIBLIOGRAFIA:

 

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Valentina Davi
Valentina Davi

Coordinatrice di redazione di State of Mind

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