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Femminicidio, il Ruolo dell’Impulsività

FEMMINICIDIO: L’informazione sui segnali di impulsività rabbiosa prima delle tragedie deve viaggiare insieme al discorso politico.

Di Sandra Sassaroli

Pubblicato il 29 Nov. 2012

Aggiornato il 12 Feb. 2013 16:55

 

Femminicidio, il Ruolo dell’Impulsività. - Immagine: © fabianaponzi - Fotolia.com

L’informazione sui segnali di impulsività rabbiosa prima delle tragedie deve viaggiare insieme al discorso sociale e politico, completarlo renderlo pratico e concreto nella vita quotidiana delle donne e degli uomini. 

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Dall’inizio dell’anno sono morte 100 donne uccise da compagni, mariti, ex fidanzati o estranei.  Le motivazioni sociali e politiche e storiche dell’emergenza femminicidio sono molte e variegate. 

L’amore visto come possesso e la violenza contro le donne sono un vecchio tema al centro dell’attenzione della riflessione femminista, fin dal suffragettismo, durante il femminismo degli anni settanta e più che mai ora. 

Molti sono i motivi sociali e storici di questa emergenza.  

La crescita delle donne, la loro spinta all’autonomia economica e all’indipendenza, la crisi dei modelli tradizionali nelle società occidentali, il bisogno di due stipendi in famiglia che hanno portato molte donne a lavorare fuori casa, hanno reso sempre più discusso e meno condiviso il modello tradizionale di possesso e dedizione esclusiva alla famiglia. 

La reclusione in casa, l’intenzione di possesso da parte dell’uomo, sono vissute dalla maggior parte delle donne come illegittime, pretestuose, assurde. Le donne si vedono come autonome, indipendenti e come persone con il diritto a scegliere e a vivere la vita che preferiscono e desiderano.  Questo aumento di libertà porta anche aumento di libertà nelle relazioni affettive e sentimentali. 

Nosografia del Femminicidio. - Immagine: © Photo_Ma - Fotolia.com
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Questo passaggio culturale, sociale e psicologico è in atto e spesso incontra ostacoli. Adattarsi a cambiamenti di questo tipo richiede tempo e non viene subito assorbito dalla società come un dato di fatto. 

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Nelle coppie dove non sia presente follia questi ostacoli divengono motivo di discussioni, approfondimenti, confronti anche serrati.  Dove si va a vivere, dove lavora l’uomo? O dove lavora la donna? Chi sceglie i tempi della convivenza? Chi e perché lascia l’altro? Chi dedica più tempo alla casa? O ai figli? L’idea della parità a implicazioni nella quotidianità importanti e non tutte facili da gestire.

Se il sentimento presente nell’uomo è non solo amare  qualcuno ma anche volere il suo bene, desiderare la sua felicità e soddisfazione oltre che la propria,  si riescono a costruire punti di vista comuni, ciascuno cede, si confronta,  cambia mutuando il cambiamento nella condivisione affettiva e del progetto di vita comune. 

Ma se l’amore diviene volere l’altro come possesso e dominio esclusivo allora nascono problemi che in condizioni normali portano alla separazione; se c’è follia, invece, possono portare alla violenza e al femminicidio. 

Nel  femminicidio impulsivo, visto dal punto di vista degli psicoterapeuti, possiamo trovare   alcune caratteristiche che andiamo a descrivere.

L’inizio è spesso il sentimento di minaccia di un uomo che si rende conto che la “sua” donna lo vuole abbandonare, vuole separarsi, vuole fare una vita indipendente, vuole vivere con un altro. 

Arriva allora la disperazione, il senso della propria piccolezza, del fallimento, della solitudine. Un uomo sano è capace di accettare il  tema doloroso della solitudine con consapevolezza e strazio, accettandone l’ineluttabilità e sentendosi capace di uscirne con il tempo e l’accettazione di ciò che è accaduto.  Ma alcune persone non hanno questa capacità matura di accettare la sofferenza di una separazione. Per non entrare in contatto con queste emozioni tristi la cosa più facile è dare la colpa all’altro, alla sua crudeltà, alla sua ingiusta tendenza alla fuga, al tradimento.  Se si è di fronte a un abbandono è più facile vedere la colpa nell’altro che vedere se stessi.

Arriva allora la rabbia, con emozioni violente e contrastanti di passione e di rabbia contro l’altro che fa male, trascura, si allontana.  La rabbia è contro l’altro che si desidera avere vicino, possedere e che invece si muove in modo indipendente. 

La rabbia è un’emozione importante, la sensazione di avere subito dall’altro un torto ingiusto.   È un segnale emotivo che nelle comunità umane serve a segnalare che si deve fare i conti con un’ingiustizia, che si soffre, che si vorrebbe venisse riparato il danno subito. Ma è un’emozione forte che andrebbe governata, gestita in modo non cruento, messa al servizio della propria corteccia.   

Ma le persone che hanno scatti di rabbia non sanno governarla, metterla al servizio di un discorso, ma sanno solo farla esplodere e gettarla sull’altro come  violenza. Mentre picchiano o urlano o attaccano si sentono disperati e impotenti e spesso anche vittime. 

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L’impulsività e la rabbia sono collegate da un filo potente. Non esiste emozione rabbiosa disregolata che non abbia come esito comportamenti impulsivi.  L’impulsività è il comportamento della rabbia.
E qui accadono le tragedie. 

Gli ingredienti sono quindi il senso di minaccia per la perdita di qualcosa che appartiene, la rabbia esplosiva e l’impulsività che trasforma la rabbia in comportamenti di attacco e di violenza espressa. 

Femminicidio & Codice Penale: Delitto Emotivo vs Delitto Passionale. - Immagine: © jedi-master - Fotolia.com
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Ovviamente non tutte le crisi di rabbia generano femminicidi, possono generare schiaffi, spintoni, insulti urlati, oggetti gettati contro il muro. Ma quando ci si trova in questa area si è in ogni caso in un area pericolosa. Dove tutto può accadere.  Dove una donna può morire perché uccisa consapevolmente in una crisi di rabbia incontrollata, o per sbaglio, perché ha sbattuto la testa contro il muro con una spinta troppo forte. 

Ultimo ingrediente che non smetto di citare. Gli uomini sono più forti delle donne dal punto di vista dell’apparato muscolare. Accade ovviamente anche alle donne di arrabbiarsi ed essere impulsive ma è molto difficile e molto più raro che possano uccidere un uomo picchiandolo. 

Che fare? Dal punto di vista sociale e politico dare voce al problema del femminicidio, renderlo un problema di cui non si possa fare a meno di occuparsi. Sensibilizzare gli uomini e renderli consapevoli e partecipi della tragedia che tocca tutti (noino.org)

Dal punto di vista psicologico per le donne la prevenzione non è tutto ma è moltissimo. Si deve insegnare alle donne a chiudere i rapporti con uomini che abbiano comportamenti violenti di qualsiasi tipo, i segnali devono essere colti prima che si trasformino in tragedie. Gettare un cellulare contro un muro è già un comportamento rabbioso disregolato e impulsivo che deve segnalare alla donna che vi è allarme rosso e che è ora di chiudere una storia che non può portare che a esiti dolorosi se non tragici. 

Domenica Barbara Stefanelli si chiedeva sul Corriere della Sera: perché le donne continuano ad avere rapporti con uomini violenti? La sua risposta è: il rovesciamento estremo di un amore. “qualcosa esplode nella coppia e brucia l’amore, lo capovolge, lo profana fino all’estremo, rivela che la relazione non era fondata sulla meraviglia e sulla cura l’uno dell’altra, ma sulla costante, radicale pretesa di assimilazione e di possesso da parte dell’uomo sulla donna”. Questa risposta solo sociale però rimanda a troppo tardi le soluzioni.

Vogliamo dare un vero contributo da psicoterapeuti? Gli uomini violenti hanno disturbi di personalità che non impediscono di intendere e di volere ma che vanno individuati, diagnosticati, curati prima del danno fatale.  I segnali di rabbia e impulsività ci sono anche prima, vanno colti, dalle famiglie, dalle ragazze, dalle famiglie delle future vittime, dalle persone che assistono agli scatti, dagli amici e dalle amiche. I maschi violenti hanno imparato a leggere la violenza in famiglie dove era presente dolore e violenza.

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E le donne che stanno con uomini violenti? La responsabilità ha radici familiari. Le madri non devono considerare accettabile o tollerare la violenza in famiglia, gli insulti dei mariti,  che le figlie imparano a considerare come eventi ineluttabili che è loro compito gestire, sopportare, accettare. Le ragazze che accettano uomini violenti sono spesso ragazze che hanno accettato e che hanno visto la violenza nelle loro vite, fin da piccole.  Con genitori sofferenti, fragili, impulsivi, discontrollati.

L’informazione sui segnali di impulsività rabbiosa prima delle tragedie devono viaggiare insieme al discorso sociale e politico, completarlo renderlo pratico e concreto nella vita quotidiana delle donne e degli uomini. 

 

100 Morte che non contano – Contro la violenza sulle donne

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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