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Come i ricordi influenzano le emozioni

La psicoterapia consiste nello sfruttare le potenzialità della funzione direttiva dei ricordi per modulare le emozioni negative nel presente.

Di Daniele Bruni

Pubblicato il 07 Giu. 2012

Aggiornato il 27 Ago. 2019 12:54

Il ruolo centrale della memoria autobiografica nella modulazione delle emozioni negative nel presente.

Come i ricordi influenzano le emozioni. - Immagine: © adimas - Fotolia.com

Anche se memoria ed emozione hanno da tempo suscitato grande interesse nella ricerca in psicoterapia, la stragrande maggioranza di questa ricerca si è concentrata sulla relazione tra questi due sistemi e soprattutto su come le emozioni possano influenzare i ricordi. Ad esempio, la ricerca ha esaminato come lo stato d’animo dell’individuo influisca sul richiamo di ricordi congruenti con l’umore attuale, per un processo denominato Mood Congruity Effect (Bower, 1981).

È interessante notare che il rapporto inverso, come cioè la memoria influenzi le emozioni attuali dell’individuo, abbia ricevuto molta meno attenzione.

Solo recentemente i ricercatori hanno cominciato a esaminare il modo in cui la memoria per gli eventi delle propria vita possa avere una importante funzione per diversi esiti adattivi, tra cui l’esperienza emotiva attuale (Pillemer, 2003). La funzione direttiva della memoria autobiografica si riferisce proprio al ruolo delle esperienze passate nel guidare pensieri, emozioni e comportamenti attuali e futuri delle persone (Bluck, Alea, Habermas e Rubin, 2005). Un processo attraverso il quale la memoria può influenzare l’esperienza emotiva è l’uso deliberato delle memorie autobiografiche attraverso il ricordo, ad esempio attraverso l’uso di un diario o l’avvio di un percorso di psicoterapia.

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Pillemer (2003) suggerisce che la funzione direttiva della memoria autobiografica possa verificarsi in maniera automatica sulla base delle somiglianze tra gli stimoli ambientali e le memorie acquisite. Le memorie autobiografiche attivate da determinati stimoli vengono poi elaborate da strutture cognitive di ordine superiore (Smith & Kirby, 2000).

Andersen e Baum (1994) hanno illustrato questo processo in uno studio che dimostra come le persone sperimentino emozioni negative nel momento in cui sta per verificarsi un incontro con uno sconosciuto che può sembrare simile a un’altra persona (altro significativo) incontrata nel passato e con il quale si erano avute esperienze negative.

Le esperienze codificate nella memoria relative al passato condiviso con l’altra persona, sembrano influenzare la valutazione attuale delle persone che ci circondano poiché le esperienze emozionali nuove e passate condividono alcune caratteristiche simili. Questo processo è simile al processo associativo nella cognizione sociale studiato nella formazione degli atteggiamenti impliciti (Gawronski e Bodenhausen, 2006). Una spiegazione diretta di questo processo di stimolo/attivazione automatico è data in gran parte da un meccanismo insito nella mente e dai processi di apprendimento attivati per facilitare una risposta rapida e generica all’interno del nostro contesto di vita, per un meccanismo di semplificazione e generalizzazione (Philippe, Lecours, e Beaulieu-Pelletier, 2009).

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Una risposta meno rapida e più ragionata, ma che sarebbe in realtà più funzionale al nostro benessere, impegnerebbe un tempo eccessivo e ci costringerebbe a soffermarci di volta in volta su ogni nuovo stimolo che si presenta nel nostro campo visivo, emotivo e cognitivo. Una spiegazione per questi meccanismi di semplificazione mentale lo troviamo nel modello esplicativo dell’uomo come economizzatore di risorse cognitive di Taylor (1981). Di conseguenza, ricordi attivati da un tema specifico (ad esempio, la perdita e il lutto) o situazioni particolari (ad esempio, l’aver subìto un’ingiustizia) fanno scattare in maniera automatica dei ricordi legati al tema, che a loro volta dovrebbero far prevedere degli esiti correlati al tema o situazione specifica (ad esempio, l’attivazione dell’esperienza emotiva negativa associata all’evento passato o il comportamento disfunzionale messo in atto all’epoca della prima esperienza con lo stimolo attivante).

Un’altra caratteristica importante di questo sistema è che quando il ricordo è attivo possono attivarsi anche altre memorie collegate al tema, dato che il ricordo si diffonde come un’onda attraverso un complesso network neurale associativo di attivazione (Christianson e Engelberg, 1999).

 

Spesso durante la nostra vita incontriamo stimoli associati alla perdita di un “altro significativo”, alla perdita di un oggetto importante, alla perdita della salute o alla perdita di un ruolo. Secondo queste spiegazioni, vivendo una situazione di perdita o incontrando stimoli correlati alla perdita, si possono attivare specifici ricordi autobiografici associati in una rete. Vale la pena ricordare che la perdita è stata associata sia a livello teorico che empirico all’esperienza delle emozioni depressive (Monroe, Rohde, Seeley, e Lewinsohn, 1999). Pertanto, se una nuova perdita nella nostra vita viene valutata sulla base delle informazioni contenute nella rete di memoria attivata e sul proprio passato, si sperimenteranno emozioni depressive già vissute.

Secondo questi studi però, è meno probabile che le persone cerchino di sfruttare volontariamente la funzione direttiva delle proprie memorie autobiografiche quando necessario (Pillemer, 2003). È molto più probabile che tale funzione direttiva si verifichi in maniera automatica e in gran parte al di fuori della nostra consapevolezza o volontà (Conway & Pleydell-Pearce, 2000).

 Il lavoro della psicoterapia, al contrario, starebbe proprio nello sfruttare le potenzialità della funzione direttiva dei ricordi per modulare le emozioni negative nel presente, attraverso un processo di rivalutazione e ricostruzione del proprio passato. Questo processo attivo durante la psicoterapia è stato denominato dalla letteratura con la nozione generica di Ristrutturazione Cognitiva. Attraverso l’apprendimento di nuove modalità di valutazione dell’esperienza attuale e futura, e sulla base dell’acquisizione di un approccio critico e di sintesi tra emotività e razionalità, l’individuo diventa capace di gestire i propri stati emotivi dolorosi (Sassaroli e Lorenzini, 2000).

Ma come mai la natura non ci ha fatto dono di una spontanea capacità di ristrutturarci cognitivamente in maniera autonoma? Come mai il cambiamento e il nostro benessere sono collegati e dipendenti dall’esclusiva possibilità di raccontare noi stessi  nell’intimità della relazione con un altro significativo? Come mai abbiamo, per far questo, necessità di condividere ed amare?

 

 

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