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La relazione tra Grassi “cattivi” e l’insorgere di sintomi depressivi

Lo studio ha indagato il possibile legame tra l’assunzione di differenti sottotipi di grassi e lo sviluppo di sintomi depressivi.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 02 Mag. 2012

“L’uomo è ciò che mangia”: scelte alimentari deprimenti…letteralmente!

 

La relazione tra Grassi "cattivi" e la presenza di sintomi depressivi.- Immagine: © Dmytro Sukharevskyy - Fotolia.comLa depressione colpisce attualmente nel mondo circa 151 milioni di persone, con una distribuzione differente nelle diverse nazioni e continenti. I fattori che determinano questa differenza possono essere molteplici: culturali, sociali, economici ma tra questi una quota significativa potrebbe essere giocata anche dalle abitudini alimentari.

Se è vero che “l’uomo è ciò che mangia” (Feuerbach), risulta di enorme interesse uno studio di coorte, The SUN Project, condotto tra il 1999 e il 2010, condotto da un gruppo di ricercatori spagnoli e olandesi, che si è occupato appunto di approfondire il possibile legame tra l’assunzione di differenti sottotipi di grassi e lo sviluppo di sintomi depressivi. La crescente incidenza di disturbi depressivi nella popolazione mondiale, sembra infatti andare di pari passo ad un drastico cambiamento nel consumo di grassi nella dieta occidentale. Questo cambiamento consiste principalmente nella sostituzione di acidi grassi polinsaturi (PUFA) e monoinsaturi (MUFA) con grassi saturi (SFA) e trans-insaturi (TFA).

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In accordo con questo trend, il cosiddetto “western food pattern” (ricco di SFA e TFA e molto comune in Nord Europa e USA) è stato considerato un fattore rilevante di rischio per lo sviluppo di depressione. Generalmente i PUFA e l’olio d’oliva (OO) sono considerati grassi “buoni” perché riducono l’incidenza di malattie cardiovascolari, mentre gli SFA e TFA sono noti per essere un determinante fattore di rischio di eventi cardiovascolari.

Nonostante l’economia globalizzata stia sempre più riducendo le differenze nei cibi consumati regolarmente nelle diverse parti del mondo, le scelte alimentari del Nord e del Sud dell’Europa risultano ancora oggi molto diverse, in particolare nell’assunzione di due sostanze specifiche: olio d’oliva e legumi.

In un precedente studio, i ricercatori avevano già dimostrato come la Dieta Mediterranea (ricca di legumi, frutta, verdure, pesce e cereali, ma povera di carne e latticini) fosse associata ad una ridotta incidenza di disturbi depressivi. L’insieme di questi ed altri dati analizzati dai ricercatori, ha fatto loro ipotizzare che la presenza di malattie cardiovascolari e la depressione possano in parte avere gli stessi fattori scatenanti.

L’obiettivo della loro ricerca è stato quindi di indagare il possibile ruolo del consumo di grassi nella dieta ed in particolare di differenti sottotipi di grassi sul rischio di sviluppare disturbi depressivi e malattie cardiovascolari nell’arco di vita e sui fattori comuni tra i due tipi di disturbi.

Un aspetto interessante sul possibile legame tra malattie cardiovascolari-depressione-consumo di grassi, potrebbe inoltre essere legato alla presenza di lievi, ma persistenti, stati infiammatori, molto comuni nei pazienti depressi. Un’elevata produzione di citochine, determinata dallo stato infiammatorio, può infatti interferire con il metabolismo dei neurotrasmettitori, diminuire il  livello di triptofano nel plasma e inibire l’espressione del fattore neurotrofico cerebrale (Brain Derived Neurotrofic Factor, BDNF). Il BDNF è fondamentale per la crescita, la sopravvivenza e la plasticità delle cellule cerebrali e sembra essere significativamente ridotto nei pazienti depressi. Poiché alcuni tipi di grassi sono coinvolti nel metabolismo cellulare, contribuendo alla produzione del BNDF, è possibile secondo i ricercatori che l’assunzione di alcuni sottotipi di grassi possa avere un effetto protettivo allo sviluppo di sintomi neuropsicologici, tra cui la depressione, oltre che di malattie cardiovascolari.

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I risultati del SUN Project hanno evidenziato la presenza di una forte e diretta associazione tra assunzione di TFA e rischio di sviluppare sintomi depressivi. I dati hanno inoltre evidenziato un’associazione inversa tra consumo globale i PUFA, MUFA e Olive Oil e sintomi depressivi: cioè consumare grassi “buoni”, sembra addirittura prevenire lo sviluppo di sintomatologia depressiva. Inoltre l’effetto negativo dei grassi “cattivi” (TFA) sul funzionamento cardiovascolare, sembra produrre alterazioni dannose per il metabolismo cellulare in grado di inibire la produzione di BNDF: questo il legame ipotizzato dai ricercatori tra assunzione di TFA e rischio di sviluppare sintomi depressivi.

A conferma di questi risultati, i grassi “buoni” sembrano possedere inoltre proprietà antinfiammatorie sull’organismo, e sarebbero dunque in grado di migliorare il metabolismo delle cellule e le funzioni dell’endotelio nella produzione di BNDF.

I limiti della ricerca sono molti e tutti dichiarati dai ricercatori, ma se il dato sarà confermato da studi successivi potremo a pieno titolo inserire nelle Terapie del Benessere, spesso di indispensabile supporto alla psicoterapia tradizionale, l’indicazione di astenersi dal consumo di grassi saturi, almeno nei periodi in cui l’umore è sotto terra!

 

 

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