I disturbi dell’alimentazione
Con l’espressione Disturbi dell’Alimentazione si fa riferimento a molteplici quadri diagnostici che la quinta edizione del DSM-5, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (American Psychiatric Association, 2013), distingue in Disturbo da Evitamento/Restrizione dell’Assunzione di Cibo, Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo da Alimentazione Incontrollata o Binge Eating. Si tratta di patologie eterogenee nelle loro manifestazioni cliniche, accomunate tutte da persistenti comportamenti disfunzionali legati all’alimentazione che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale.
Tuttavia, sebbene il tema dei disturbi alimentari sia stato storicamente affrontato ponendo attenzione soprattutto al ruolo dell’influenza socio-culturale per il raggiungimento di specifici ideali corporei (sui quali rimane spesso, ancor oggi, ancorata la narrazione di tali disturbi), sarebbe eccessivamente semplicistico ridurre alla presenza di tali messaggi ed aspettative sociali la causa della crescente diffusione dei Disturbi dell’Alimentazione (Toni et al., 2017), nonostante rimangano tra i fattori di rischio prevalenti.
Si tratta, infatti, di disturbi estremamente complessi caratterizzati da un’eziopatogenesi multifattoriale, nella cui insorgenza intervengono fattori predisponenti (individuali, familiari e/o socioculturali), fattori precipitanti (l’inizio di una dieta, eventi avversi e/o malessere psicologico) e fattori di mantenimento (rinforzi positivi interni e/o esterni) che possono interagire in modo diverso e peculiare nel determinare il rapporto problematico con il cibo e con il corpo (Culbert et al., 2015; Franzoni, 2004).
I disturbi dell’alimentazione nelle soggettività LGBTQIA+
Si stima che in tutto il mondo tra lo 0,6 e il 26,7% di persone adolescenti e giovani adulte, identificate binariamente come maschi e femmine, soffra di un Disturbo dell’Alimentazione (DA) (Silén & Keski-Rahkonen, 2022). Recenti studi riportano una prevalenza statunitense di disturbi alimentari del 3,4-3,8% tra le adolescenti identificate come donne, dell’1,2-1,5% tra gli adolescenti identificati come uomini e del 2,7% per adolescenti in generale (APA, 2013; Merikangas et al., 2010; Silén & Keski-Rahkonen, 2022; Streatfeild et al., 2021).
La letteratura scientifica, tuttavia, evidenzia coerentemente un maggior rischio e una maggiore prevalenza di Disturbi dell’Alimentazione, pattern di alimentazione disordinata e insoddisfazione corporea nelle persone LGBTQIA+ rispetto alla popolazione generale, a causa di una complessa interazione di fattori riconducibili alle costruzioni sociali di genere, agli ideali corporei dominanti nella micro- e macro-cultura di riferimento e al sistema fortemente ciseteronormativo a cui sono pervasivamente esposte (Arikawa et al., 2021; Calzo et al., 2017; Diemer et al., 2018; Kamody et al., 2020; Mensinger et al., 2020; Nagata et al. 2020; Parker & Harriger, 2020).
In adolescenti LGBTQIA+, in particolare, si riscontrano tassi significativamente più elevati di comportamenti alimentari disordinati (Austin et al., 2013; Guss et al., 2017; Jones et al., 2016; Nagata, Ganson, & Austin, 2020; Parker & Harriger, 2020; Roberts et al., 2021; Watson, Adjei et al., 2017) e disturbi alimentari (Hallward et al., 2023; Parmar et al., 2021) rispetto ai pari cis-etero, con adolescenti transgender e gender diverse (TGD) che presentano una maggiore e più grave sintomatologia rispetto ad adolescenti con un orientamento sessuale non-eterosessuale (López-Gil et al., 2023; Silén & Keski-Rahkonen, 2022). Una recente revisione di Nagata, Stuart et al. (2024) riporta, infatti, che tra adolescenti LGBTQIA+ circa il 54% aveva ricevuto una diagnosi di Disturbo dell’Alimentazione e un ulteriore 21% sospettava di averne sofferto nel corso della sua vita.
Sappiamo ancora relativamente poco, tuttavia, degli specifici fattori di rischio, precipitanti e di mantenimento (Rosenbaum et al., 2023), e dei meccanismi psicologici sottesi ai disturbi alimentari (Keshaviah et al., 2014) all’interno della popolazione LGBTQIA+, sebbene la letteratura suggerisca la presenza di percorsi eziopatologici specifici e peculiari rispetto alla popolazione ciseterosessuale (Duffy et al., 2016; Engeln-Maddox, et al., 2011; Feldman & Meyer, 2007; Gordon et al., 2016, 2021; Jones et al., 2016; McClain & Peebles, 2016; Nagata et al., 2020; Wang & Borders, 2017; Watson et al., 2015), percorsi che è necessario esplorare al fine di implementare interventi di prevenzione e di trattamento che siano adeguati e specificamente mirati (Kotlicka-Antczak et al. 2020; Nagata, Stuart et al., 2024; Solmi et al. 2020).
La letteratura, infatti, suggerisce la possibilità di individuare fattori di rischio e fattori protettivi specifici per ogni singola soggettività, evidenziando la necessità di andare oltre la visione semplicistica e generalizzante che descrive la popolazione LGBTQIA+ come entità monolitica (Nagata, Stuart et al., 2024) che ne invisibilizza la ricchezza interna cancellandone le differenze.
Il Minority Stress e l’approccio internazionale
La teoria del Minority Stress (Meyer, 2003) rappresenta un punto di riferimento imprescindibile quando si parla di popolazioni stigmatizzate, alla quale sono stati di volta in volta integrati svariati altri modelli teorici idonei a spiegare, nella loro specificità, la molteplicità dei disturbi che possono emergere all’interno di tali popolazioni rese particolarmente vulnerabili dalle esperienze di discriminazione ed emarginazione a cui sono sistematicamente sottoposte all’intesto di un contesto ancora fortemente ciseterosessista (DeBord et al. 2017; Feldman & Meyer, 2007; Hatzenbuehler & McLaughlin, 2014; Mayock et al., 2008; Russell & Fish, 2016; Stuber et. al, 2008; Williams et al., 2017).
Infatti, le frequenti esperienze di discriminazione e vittimizzazione (fattori distali), unitamente allo stigma percepito, all’interiorizzazione di tale stigma sotto forma di omonegatività interiorizzata e al conseguente occultamento della propria identità sessuale (fattori prossimali), pongono le persone LGBTQIA+ a rischio di peggiori condizioni di salute psico-fisica (Hendricks & Testa, 2012), inclusi i disturbi alimentari (Arikawa et al., 2021; Balsam et al., 2013; Parker & Harriger, 2020; Mensinger et al., 2020; Nagata, Ganson & Austin, 2020; White et al., 2023).
La letteratura recente sta sottolineando sempre di più, tuttavia, l’importanza di includere una prospettiva intersezionale nella ricerca sui Disturbi dell’Alimentazione (Burke et al., 2020; Lawrence et al., 2024), ancora troppo sottostudiata (Lawrence et al., 2024; McEntee et al., 2021), alla luce delle evidenze che mostrano i significativi effetti sulla salute che i diversi sistemi strutturali di oppressione esercitano sugli individui, a seconda delle diverse posizioni sociali marginalizzate che essi ricoprono e del modo in queste possono in diverso modo intersecarsi, generando esperienze individuali sfumate e peculiari (Conover & Israel, 2019; Lopez & Gadsen, 2016; Parent et al., 2013).
Alcuni studi hanno infatti evidenziato come i comportamenti alimentari disordinati possano essere particolarmente diffusi tra persone adolescenti con più di una posizione sociale marginalizzata, a causa dell’intersezione di molteplici esperienze di discriminazione e di Minority Stress, ad esempio di matrice razzista ed eterosessista allo stesso tempo (Beccia, Baek, Jesdale et al., 2019; Beccia, Baek, Austin et al., 2021).
Ciò evidenzia la necessità di adottare una logica intersezionale che permetta di riconoscere e tenere simultaneamente in considerazione i diversi aspetti identitari, quali l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’espressione di genere, ma anche l’appartenenza etnica e/o linguistica, l’età o la presenza di (dis)abilità. Tutte queste componenti, infatti, tra loro indipendenti ma profondamente correlate, possono intrecciarsi in maniera complessa a creare tipiche condizioni di rischio per la salute psico-fisica dell’individuo, in cui i pregiudizi e le discriminazioni derivanti dall’appartenenza composita e simultanea a molteplici categorie sociali minoritarie si combinano e sovrappongono l’un l’altra sotto forma di stress cumulativo, come ben illustrato dalla teoria del Minority Stress Multiplo (Balsam et al. 2011; Simone et al. 2020).
La ricerca
Da un approfondimento ed un’attenta analisi critica della letteratura esistente, si evince il permanere nella ricerca e nella pratica psicologica di una cornice ciseteronormativa, sulla base della quale continua ad essere letto il disturbo, influenzando la presa in carico e l’eventuale trattamento che viene depotenziato nei suoi effetti, reso inefficace o addirittura dannoso, contribuendo così alle disparità sanitarie (Duffy et al., 2016; Smalley et al., 2016).
La presente ricerca persegue l’obiettivo di indagare la prevalenza di Disturbi dell’Alimentazione nelle soggettività LGBTQIA+ e i relativi fattori di rischio, esplorando la complessità del quadro clinico alimentare non solo in termini eziopatogenetici, ma anche in un’ottica intersezionale, alla luce delle criticità e dei problemi metodologici che hanno limitato la disponibilità di dati sperimentali necessari ad informare accuratamente il lavoro clinico e ad orientare il trattamento.
Possono partecipare allo studio tutte le persone, di qualsiasi identità di genere ed orientamento sessuale, che abbiano compiuto la maggiore età. La compilazione del questionario richiede circa 15 minuti ed è anonima.
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