Il comportamento passivo-aggressivo venne storicamente identificato dal colonnello William Menniger nel corso della Seconda guerra mondiale: egli identificò alcuni particolari comportamenti da parte dei suoi soldati differenti dai soliti “ribelli”, ma in egual modo aggressivi e disfunzionali, questi comportamenti si palesavano mediante misure passive come una spiccata caparbietà, temporeggiamento, il broncio e sabotaggio passivo rispetto ai loro doveri militari.
Ad oggi tale schema comportamentale non viene identificato come una vera e propria patologia, infatti il DSM 5 lo identifica come un aspetto collegato ad alcuni disturbi, sebbene esso possa essere collegato a notevoli problematiche a livello lavorativo e ad un pattern di relazioni disfunzionali.
Il comportamento passivo-aggressivo è definito come un “modo deliberato e mascherato di esprimere sentimenti di rabbia”. (Long, Long & Whitson, 2008)
Esso deriva dall’incapacità dell’individuo di esprimere e canalizzare le emozioni verso un’espressione assertiva, quest’ultima viene sostituita da un’eccelsa mistificazione delle emozioni mediante l’immagine di una persona carismatica, ironica e da una forte personalità. Questo modus operandi conduce il passivo-aggressivo ad agire mediante una sorta di non azione, motivata da emozioni e motivazioni negative e una forte ostilità. La carta d’identità del passivo-aggressivo consta delle seguenti caratteristiche:
- Sarcasmo e ironia pungente sono estremamente spiccati;
- Il linguaggio è caratterizzato da “frecciatine”, ma sono largamente usati anche i messaggi confusi e contradditori al fine di evitare intimità emotiva, un esempio è il famoso “Come vuoi” durante quella che si appresta a diventare una discussione. Oppure usano il silenzio come arma di difesa per far comprendere il “torto” eseguito dall’altro nei confronti del nostro passivo-aggressivo;
- Ostilità e procrastinazione: l’aurea della persona amorevole e disponibile crolla nel momento in cui si svela la loro ostilità alimentata da un forte orgoglio, una tendenza a criticare tutto ciò che lo circonda e un malumore costante ma celato, per non parlare della tendenza continua al rimando e al lasciare incompleto quanto iniziato;
- Quando vogliono qualcosa dall’altro, non avranno problemi a mostrarsi affabili premurosi e pieni di attenzione;
- Tendono a fingere di dimenticare o a “fare il finto tonto” per non assumersi la responsabilità del caso;
- Mostrano una spiccata propensione al vittimismo e a dare la colpa alle persone intorno;
- A livello lavorativo sebbene appaiano ben disposti e collaborativi, tendono a resistere alle richieste dell’autorità in maniera indiretta, per esempio sabotando il lavoro richiesto sperando in una ripercussione sull’autorità;
- Sono tipicamente pessimiste e tendono a ipotizzare solo l’esito negativo di qualsiasi azione, sono le classiche persone che ad una chiamata invece di dire “come stai” ti chiedono “cosa è successo”. Questo li porta a non essere mai sereni e soddisfatti di ciò che stanno vivendo, ogni momento è offuscato dal timore che qualcosa andrà male;
- Probabilmente disporranno di una scarsissima autostima mistificato da un’immagine sicura di sé e persone da un “carattere forte”;
- La connotazione più spiccata del comportamento passivo-aggressivo si riscontra all’interno delle relazioni, caratterizzate da un sottofondo di dipendenza affettiva e controllo manipolatorio al fine di portare l’altro a fare quello che vuole lui. Alla base di ciò pullula una forte conflittualità tra la voglia di indipendenza, il bisogno di essere accuditi e la paura dell’autonomia, in quanto temono che una volta raggiunta l’indipendenza rimarranno in balia dei pericoli in grado di ostacolare il loro finto equilibrio. Dunque, questo andamento oscillatorio porta il passivo-aggressivo a manipolare le persone vicine con un fare quasi borderline al fine di non farle andare via e ottenere sicurezza e protezione.
Ognuno di noi può assumere atteggiamenti di tipo passivo-aggressivi, ma il problema sorge nel momento in cui queste modalità diventano le uniche modalità di interazione con l’altro.
Dunque, queste persone sono come in un limbo destinati a perseverare nel circolo vizioso che va dalla ricerca dell’altro al bisogno di manipolarlo privandolo di una propria autonomia relazionale, un buon percorso di psicoterapia può aiutare queste persone a comprendere le ragioni del perenne malessere e raggiungere una consapevolezza circa i propri stati interni.