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La versione italiana dell’ICD-11: innovazioni e confini tra normalità e disturbo

L'ICD-11 introduce innovazioni nella classificazione dei disturbi mentali, con un approccio più dimensionale e un focus su cultura e genere

Di Alessandro Ocera

Pubblicato il 18 Dic. 2025

I manuali psicodiagnostici e i loro limiti

I manuali di classificazione psicodiagnostica, principalmente il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) dell’American Psychiatric Association e la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, costituiscono punti di riferimento fondamentali per psichiatri e psicologi clinici di tutto il mondo. Questi sistemi forniscono criteri standardizzati per definire i disturbi mentali, facilitando un linguaggio comune nella diagnosi e nella ricerca. Tuttavia, non sono esenti da limiti. Il modello categoriale su cui tradizionalmente si basano implica che i disturbi vengano descritti come entità discrete, separate nettamente dalla normalità e le une dalle altre. Nella pratica clinica ciò ha portato a diverse criticità ben documentate: un’elevata comorbidità (sovrapposizione diagnostica) tra disturbi diversi, un’ampia eterogeneità tra individui con la stessa diagnosi e una scarsa specificità predittiva riguardo al trattamento. Inoltre, la linea di demarcazione tra patologia e normalità risulta talora arbitraria e poco definita: molti disturbi mentali si collocano su un continuum dimensionale più che in categorie mutualmente esclusive. 

I tentativi di innovare non sono mancati. Nel DSM-5 è stato introdotto un modello alternativo per i disturbi di personalità, di natura ibrida dimensionale-categoriale, collocato in una sezione apposita (Sezione III) (American Psychiatric Association, 2013). In parallelo, anche a livello internazionale si è lavorato a sistemi di classificazione alternativi (ad esempio il modello gerarchico HiTOP) volti a organizzare la psicopatologia su dimensioni empiricamente derivate, come reazione alle criticità dei manuali correnti (Widiger et al., 2019).

In questo contesto di evoluzione continua, nel 2019 l’OMS ha approvato l’ICD-11, undicesima revisione della classificazione internazionale, che rappresenta la prima revisione completa in quasi trent’anni. Recentemente è stata pubblicata la versione italiana dell’ICD-11 (a cura di Maj et al., 2025), accompagnata dalle Descrizioni Cliniche e Requisiti Diagnostici (CDDR) per i disturbi mentali.

Le principali innovazioni dell’ICD-11 in ambito psicopatologico

L’ICD-11 porta con sé numerose innovazioni concepite per superare i limiti dei precedenti sistemi diagnostici e integrare le conoscenze scientifiche più recenti. Di seguito, in sintesi, alcune tra le novità più rilevanti introdotte in questa revisione:

  • Aggiornamento delle categorie diagnostiche: molti disturbi sono stati ridefiniti e sono state aggiunte nuove diagnosi che riflettono fenomeni clinici emersi negli ultimi decenni. Ad esempio, nell’ICD-11 compaiono per la prima volta il Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso, il Disturbo da Lutto Prolungato, e il Disturbo da Uso di Videogiochi.
  • Approccio dimensionale e a spettro: L’ICD-11 abbraccia una visione più dimensionale di vari disturbi. In particolare, rivoluziona l’area dei disturbi di personalità: non esistono più diagnosi categoriali distinte come nel DSM-IV, ma un unico Disturbo di personalità definito principalmente dal livello di gravità (Lieve, Moderato, Grave) e modulato da qualificatori di tratto (cinque domini di tratti patologici: Affettività negativa, Distacco, Dissocialità, Disinibizione e Anancastia – perfezionismo rigido e compulsività). 
  • Confine con la normalità esplicitato: ogni descrizione diagnostica dell’ICD-11 include una sezione dedicata a definire il confine tra la normale variazione e il disturbo. Questa sezione fornisce indicazioni su come distinguere i sintomi patologici dalle manifestazioni non patologiche, specie quando la differenza può essere sottile. 
  • Maggiore attenzione a cultura e genere: L’ICD-11 enfatizza la necessità di contestualizzare la diagnosi nella cultura e nel genere del paziente. Per ogni disturbo sono riportate “Caratteristiche relative alla cultura” e “relative al sesso e/o al genere” che segnalano come l’espressione sintomatologica e la prevalenza possano variare nei diversi contesti culturali o tra uomini e donne. 
  • Armonizzazione con il DSM-5: durante lo sviluppo dell’ICD-11 vi è stata una stretta collaborazione con il team del DSM-5 per allineare le due classificazioni ove possibile. Molte categorie diagnostiche e criteri dell’ICD-11 sono stati formulate in modo da corrispondere a quelle del DSM-5, rendendo più agevole la transizione da un sistema all’altro e la comunicazione scientifica internazionale. 

Nel complesso, l’ICD-11 si propone come uno strumento più flessibile, aggiornato e orientato all’utilità clinica rispetto al passato. Il processo di revisione ha coinvolto esperti di tutto il mondo e ha incluso estese consultazioni pubbliche e studi sul campo per garantire che la classificazione fosse sia scientificamente valida sia applicabile nei diversi contesti clinici globali.

Il confine tra normalità e disturbo nell’ICD-11

Uno degli elementi più originali dell’ICD-11, evidenziato anche nell’edizione italiana, è l’attenzione al confine tra normalità e patologia. Ogni disturbo mentale descritto nel manuale è accompagnato, all’interno delle CDDR, da un paragrafo intitolato “Confine con la normalità (soglia)”. Tale sezione ha un importante valore clinico: riconosce esplicitamente che i fenomeni psicologici si distribuiscono lungo un continuum e che non esiste quasi mai una frontiera netta tra il “sano” e il “malato”. Come affermato nell’ICD-11, “per la maggior parte, i disturbi mentali si manifestano in un continuum di intensità, senza una separazione netta tra i casi e i non-casi (cioè, la normalità)”. Ciò significa che un caso lieve di disturbo può differire quantitativamente più che qualitativamente da una variazione considerata normale, rendendo la distinzione potenzialmente difficile.

Il manuale invita quindi il clinico a leggere con attenzione questa sezione, perché “in alcuni casi, ciò che potrebbe apparire un’evidenza di psicopatologia può in realtà rientrare nei limiti della normalità, considerato lo stadio di sviluppo e il contesto culturale dell’individuo”. Vengono elencati esempi di condizioni che, pur assomigliando al disturbo in questione, non andrebbero considerate patologiche (i cosiddetti falsi positivi). Un indicatore cruciale che l’ICD-11 ribadisce in molte diagnosi è la presenza di una significativa sofferenza soggettiva oppure di una marcata compromissione del funzionamento personale, familiare, sociale o lavorativo come criterio per distinguere il disturbo dalla normalità. In altre parole, al di là della mera presenza di certi sintomi, è fondamentale valutarne l’impatto sulla vita dell’individuo: se pensieri, emozioni o comportamenti atipici non causano disagio clinicamente significativo né impediscono alla persona di funzionare adeguatamente, potremmo trovarci nell’ambito della variabilità non patologica.

Infine, questa prospettiva è in armonia con le raccomandazioni di molti esperti contemporanei. Ad esempio, nel dibattito sui modelli dimensionali dei disturbi di personalità, è stato sottolineato come siano necessari criteri di cut-off basati proprio sul deterioramento del funzionamento socioccupazionale e sulla sofferenza personale per stabilire la presenza del disturbo in questione (Widiger & Smith, 2025). L’ICD-11, integrando questi concetti nelle sue linee guida cliniche, fornisce dunque uno strumento concreto per tradurre tali principi in pratica diagnostica.

La diagnosi come punto di partenza, non di arrivo

La recente pubblicazione dell’ICD-11 in italiano segna un progresso significativo per la psichiatria e la psicologia clinica nel nostro paese. Le innovazioni introdotte mirano a rendere la diagnosi più accurata, sfumata e utile per orientare il trattamento. È però fondamentale sottolineare che la diagnosi in salute mentale non rappresenta mai un traguardo definitivo, bensì l’inizio di un percorso. Come dichiarato nell’introduzione dell’ICD-11 stesso, “la classificazione diagnostica è soltanto una parte della valutazione del paziente” e non esaurisce la comprensione della persona né tantomeno l’intervento terapeutico. Attribuire un’etichetta diagnostica può essere utile per comunicare in modo sintetico la natura del problema e per scegliere strategie d’azione basate sull’evidenza, ma resta sempre un mezzo e non un fine.

L’ICD-11 fornisce una mappa aggiornata per orientarsi nel complesso territorio della psicopatologia, con confini più sfumati e descrizioni più ricche rispetto al passato. È una bussola preziosa, ma la rotta concreta va tracciata nel lavoro clinico quotidiano, tenendo sempre a mente che dietro ogni diagnosi c’è una persona unica. La capacità di riconoscere i limiti intrinseci di ogni classificazione – come l’impossibilità di tracciare linee nette e immutabili tra normale e patologico – è segno di umiltà della disciplina. Significa comprendere che la sofferenza psichica si manifesta in molte gradazioni e forme e che il compito ultimo di chi se ne prende cura non è incasellare l’individuo in una categoria, ma accompagnarlo fuori dal labirinto della sofferenza, utilizzando la diagnosi come uno dei tanti strumenti al servizio di questo fine.

Riferimenti Bibliografici
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders: DSM-5(Fifth edition). American Psychiatric Association Publishing.
  • Widiger, T. A., Bach, B., Chmielewski, M., Clark, L. A., DeYoung, C., Hopwood, C. J., Kotov, R., Krueger, R. F., Miller, J. D., Morey, L. C., Mullins-Sweatt, S. N., Patrick, C. J., Pincus, A. L., Samuel, D. B., Sellbom, M., South, S. C., Tackett, J. L., Watson, D., Waugh, M. H., … Thomas, K. M. (2019). Criterion A of the AMPD in HiTOP. Journal of Personality Assessment, 101(4), 345–355. 
  • Widiger, T. A., & Smith, M. M. (2025). Personality Disorders: Current Conceptualizations and Challenges. Annual Review of Clinical Psychology, 21, 169–192. 
  • World Health Organization. (2025). ICD-11: Descrizioni Cliniche e Requisiti Diagnostici per i Disturbi Mentali, Comportamentali e del Neurosviluppo (Edizione italiana a cura di M. Maj, S. Galderisi, A. Fiorillo, & A. Mucci). Raffaello Cortina Editore.
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