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L’eredità di Bruno Bara – Editoriale Cognitivismo Clinico

L'editoriale di Cognitivismo Clinico è dedicato alla memoria di Bruno Bara, scienziato, clinico, formatore e didatta di intere generazioni di terapeuti

Di Redazione

Pubblicato il 19 Feb. 2025

Bruno Bara: il maestro della consapevolezza e della relazione terapeutica

Davide Armanino e Livia Colle

Curare questo numero monografico di Cognitivismo Clinico dedicato alla memoria e all’opera di Bruno Bara è stato per noi motivo di viva emozione e profonda gratitudine, anzitutto nei confronti dei colleghi ed amici che sono stati autori dei contributi qui raccolti. Hanno risposto a questo invito numerosi dei più influenti e rappresentativi autori e clinici dell’attuale panorama cognitivista italiano.
Essi sono riusciti nell’arduo compito di delineare nitidamente la profondità del pensiero e la ricchezza dell’opera di Bruno Bara, scienziato, clinico, ma forse soprattutto formatore e impareggiabile didatta di generazioni di terapeuti che si sono riconosciuti nel modello teorico costruttivista relazionale. Ringraziamo anche Francesco Mancini e Antonino Carcione per averci dato la possibilità di raccogliere i contributi di molti amici, colleghi e allievi di Bruno per ricordarlo con affetto e stima dopo la sua inaspettata e repentina scomparsa.
L’intento che ci ha mossi era quello di delineare il suo contributo in particolare nell’ambito clinico e formativo, toccando alcuni fra i temi portanti della sua opera. Anzitutto la relazione terapeutica e la consapevolezza del terapeuta, vero e ultimo strumento dell’agire clinico, dimensioni queste di cui Bara, in ambito cognitivista, si è sempre occupato arricchendo il dibattito e fornendo spunti rilevanti di riflessione.
Temi che egli ha voluto e saputo inserire come assi portanti nella didattica e formazione degli allievi terapeuti, anche attraverso, ad esempio, l’attenzione alla mindfulness, inserita nelle scuole di formazione ben prima del suo successo portato dalla “terza onda” del cognitivismo. Ed è sulla base di questi assi portanti, consapevolezza del terapeuta e relazione terapeutica, che il Bara clinico si è spinto nell’esplorazione di ambiti più incerti e sfumati quali il sogno, con la squisita intelligenza e l’acuta sensibilità che lo caratterizzavano, sempre coniugando la libertà e la curiosità di esplorare con il rigore e l’attenzione puntuale, apparentemente senza fatica e con una particolare nota di lievità che ben traspare nelle pagine dei contributi qui raccolti.
Proprio questa sua disposizione, questo peculiare atteggiamento, attento ma libero, scientificamente rigoroso ma clinicamente flessibile, erano in lui evidente frutto di una costante autoriflessione e elaborazione personale, che con naturalezza diventavano proposta e traccia formativa per la cura e la consapevolezza degli allievi terapeuti.

La pragmatica cognitiva nell’agire clinico di Bruno Bara

Un contributo fondamentale nell’agire clinico di Bruno è stata la capacità di tradurre in termini clinici concetti preziosi della psicologia sperimentale nelle sue diverse fasi di sviluppo.
Per fare solo un esempio, rispetto alla relazione terapeutica e la tecnica di colloquio, la sua riflessione prende spunto dalla teoria della comunicazione definita Pragmatica Cognitiva e sviluppata da Bara insieme ai colleghi Colombetti e Airenti (Airenti, Bara & Colombetti 1993a; 1993b). Secondo la Pragmatica Cognitiva la comunicazione umana è intesa come una forma di interazione sociale cooperativa tra persone che intendono condividere parte della loro conoscenza. La conoscenza condivisa dei partecipanti di specifici schemi di interazione, unita al rispetto del Principio di Cooperazione (Grice, 1975), è posta alla base della capacità degli interlocutori di comprendere le rispettive intenzioni comunicative. Affinché un atto comunicativo sia di successo occorre infatti che i partecipanti condividano un insieme di stati mentali, il che non significa che abbiano i medesimi scopi, che siano d’accordo, o che non mentano mai, ma che entrambi siano coinvolti in una serie di processi cognitivi specifici volti a rendere la comunicazione possibile. Questa co-costruzione di significato riguarda sia le parole sia il non verbale di uno scambio comunicativo.
I concetti di teoria della comunicazione di intenzione comunicativa, cooperazione e conoscenza condivisa, diventano così punto fondamentale per la costruzione del suo modello di relazione terapeutica. Tali premesse non possono che declinarsi in un modello terapeutico centrato sul presente, che rifugge sequenze tecniche precostituite, fortemente sbilanciato sul sincronico e sull’hic et nunc dello scambio comunicativo, e più recentemente volto a cogliere gli enactments del paziente. Tutti elementi questi sempre ricondotti, in ultimo, alla consapevolezza e alla lettura condivisa nella relazione terapeutica, punto principale della sua tecnica di intervento nel qui ed ora della seduta, anche attraverso una particolare attenzione alle risonanze emotive corporee ed incarnate. Ma proprio sulla base della ricerca in Pragmatica Cognitiva, Bara non dimentica che la comunicazione possa avere delle impasse, pur rimanendo su un piano di scambio cooperativo, nel quale il paziente si mostra in disaccordo, distaccato o diventa polemico e così via.
Tali momenti, potenzialmente critici, non sono considerati come rotture di alleanza terapeutica, quanto piuttosto come disallineamenti gestibili e forieri di aumento di conoscenza condivisa.
Gli autori di questo numero monografico ben evidenziano le caratteristiche del metodo terapeutico e dell’agire clinico di Bara, disegnandone le potenzialità e i confini, a tratti anche le potenziali criticità, con l’intelligenza e la competenza che siamo certi lui avrebbe apprezzato.
Nell’organizzare i contributi ci siamo prima chiesti quali fossero le principali tematiche affrontate da Bruno nei diversi libri e abbiamo coinvolto gli autori secondo le aree tematiche a cui si è dedicato nella sua opera clinica ovvero: la relazione terapeutica, l’approccio epistemologico, la formazione, l’interpretazione dei sogni, la mindfulness e la meditazione.
Noi curatori siamo stati entrambi allievi terapeuti di Bruno Bara. La vita e la professione ci hanno portati ad esplorare ambiti clinici e di ricerca anche molto distanti dalle sue aree di interesse, spingendoci ad approfondire modalità a volte differenti, ma sempre con un atteggiamento di dialogo interno costante ed aperto con le basi indelebili della nostra prima formazione personale. Allora la nostra prima gratitudine, nell’onore e nell’onere di ricordarlo, va proprio a Bruno Bara, che ci ha sempre spinti ad esplorare oltre, a superare le nostre basi sicure, a non dare nulla per scontato, a non accontentarci. Un vero maestro.

La relazione terapeutica nel pensiero di Bruno Bara

Abbiamo scelto di organizzare i contributi di questo numero sulla base delle principali linee di approfondimento a cui Bruno Bara si è dedicato.
Un primo gruppo di contributi si focalizza sulla relazione terapeutica a cui Bruno dedicò molta riflessione e una serie di pubblicazioni.
In particolare, il primo contributo di questa sezione è quello di Furio Lambruschi e Riccardo Bertaccini. Gli autori delineano con chiarezza, in una approfondita disamina della relazione terapeutica nel pensiero di Bruno Bara, i punti centrali del suo modello terapeutico. Dalla ricostruzione diacronica degli schemi interpersonali per poi invitare il paziente ad osservare questi schemi in azione nella sua vita quotidiana, si passa all’osservazione diretta dell’enactment dove il terapeuta da spettatore diventa attore emozionato e accede alla possibilità di massimizzare il suo intervento nel sincronico, fino, in ultimo, alla consapevolezza incarnata del paziente che ha un ruolo “liberatorio” e apre ad evoluzioni autonome e non predeterminabili. In queste possibili evoluzioni il terapeuta non deve cedere alla tentazione di fornire modelli funzionali prefigurati, così come, nelle fasi precedenti, non pone eccessiva attenzione a specifiche aree psicopatologiche, rischiando di dare la precedenza al suo fare rispetto all’essere con il paziente e di oscurarne il processo autopoietico di costruzione della conoscenza.
Un secondo contributo principalmente dedicato alla relazione è quello del collega e amico Mario Reda. Reda pone come essenziale un atteggiamento perturbativo del terapeuta, realizzato all’interno di una reciprocità non lineare che sposti l’attenzione del paziente prima sul contesto (temporalità del sintomo) e poi sul corpo e l’emozione, ossia sul come più che sul perché del sintomo. Si mette in luce come anche le tecniche cognitive funzionino solo se prima il paziente si trova in uno stato di “instabilità emotiva”: la relazione terapeutica è perturbativa quando crea l’instabilità necessaria per un cambiamento. Grazie alla sequenzializzazione è possibile, per un terapeuta partecipe e sintonizzato con le sensazioni ed emozioni del paziente, condurlo ad un nuovo equilibrio dopo l’instabilità.
Reciprocità non lineare, attivazione emotiva del paziente, concordanza emotiva paziente-terapeuta, regolazione di emozioni precedentemente disregolate e acquisizione di consapevolezza sono le tappe essenziali di questo processo.
Un terzo contributo sulla relazione terapeutica è di Giorgio Rezzonico, compagno di avventure di Bara, e di Fabio Furlani. Rezzonico e Furlani analizzano il pensiero e l’agire clinico di Bruno Bara a partire dalla sua capacità di creare dicotomie per poi aprirle alla complessità senza voler chiudere e definire la conoscenza in modo stringente. La sua capacità di cambiare idea, di stare nell’incertezza, di seguire percorsi non lineari si accompagnava alla sua convinzione sulla centralità della relazione terapeutica e sulla possibilità di studiarla scientificamente in modo rigoroso. Per farlo è però necessario riflettere su cosa sia la Scienza e come si possa studiare la relazione, perché la relazione viene letta da dentro, e non è possibile manualizzare il dipanarsi di un’esperienza soggettiva che coinvolge due persone. Da qui, seguendo l’epistemologia della complessità, e uscendo da una logica clinica protocollare, gli autori invitano ad analizzare non solo ciò che funziona, ma anche ciò che non funziona, per cogliere ciò che l’inatteso mette in luce. Una prospettiva costruttivista che invita ad accostare al tradizionale sguardo dall’esterno un non lineare sguardo dall’interno.
L’ultimo contributo sulla relazione terapeutica è quello di Antonio Semerari che delinea quanto l’impianto teorico di Bara, rispetto alla relazione terapeutica, sia in stretta relazione con le conoscenze e le ricerche sperimentali nell’ambito delle Scienze Cognitive a cui Bara si dedicava. Semerari sottolinea come per Bara, l’effetto terapeutico della relazione è dovuto al realizzarsi di un’esperienza di condivisione tra terapeuta e paziente nel momento presente della terapia. L’articolo evidenzierà gli aspetti originali di questa tesi differenziandola da altre presenti all’interno del cognitivismo clinico e nel dibattito sulla relazione terapeutica.

L’approccio epistemologico di Bruno Bara

Rispetto all’approccio epistemologico, altro tema caro a Bruno Bara, il numero presenterà il contributo di Silvio Lenzi, interessato come Bara agli aspetti teorici alla base teoria del cambiamento in psicoterapia. Lenzi accompagna il lettore in una approfondita disamina teorica della metodologia psicoterapeutica di Bruno Bara, incentrata sull’analisi del cambiamento sintomatico e strutturale, sinergicamente raggiunto grazie ad una metodologia conversazionale che trova le sue basi nel concetto di consapevolezza condivisa, triadica, e nella condivisione co-empatica, con particolare attenzione al piano sincronico della relazione. Viene in questo evidenziata la presenza di tre livelli paralleli compresenti nella conversazione terapeutica foriera di cambiamento: un primo livello esplicito inerente temi e contenuti problematici, un secondo livello riferibile alle modalità espressive e narrative del paziente e un terzo livello che riguarda il posizionamento interattivo dei partecipanti alla conversazione, ovvero il frame della loro interazione.

Didattica, formazione e temi clinici: L’eredità di Bruno Bara

Un altro tema che raccoglie diversi contributi, tema caro a Bruno Bara, è quello della didattica e della formazione in psicoterapia.
Stefania Cammino analizza alcuni degli aspetti essenziali del Bruno Bara formatore di allievi psicoterapeuti. Il terapeuta è il primum degli strumenti terapeutici. Per questo la formazione costruttivista necessita di un lento e graduale accompagnamento dell’allievo verso la consapevolezza della sua esperienza e peculiare modalità di costruire la conoscenza di sé e della realtà. Il gruppo e l’interazione con gli altri, la delicata dinamica di cambiamento e non-cambiamento, la co-costruzione della relazione e la conoscenza e padronanza dei propri stati mentali fino all’apertura e accoglienza degli enactments del paziente sono alcuni dei temi approfonditi. “Andare a bottega” in una pluralità di esperienze non esclude per Bara l’utilizzo consapevole di strumenti non convenzionali quali il ricorso a tradizioni sapienziali di pratiche introspettive e riflessive o l’esplorazione dei sogni. Questo percorso culmina nell’espressione di sé e della propria unicità e diversità e nella coerenza vissuta, come curatori, del sapersi prendere cura di sé.
Marta Sconci tratta il tema della terapia didattica dell’allievo psicoterapeuta, evidenziando come questa sia utile nella messa a fuoco dei blindspot, punti ciechi di sé che l’autosservazione non riesce a cogliere. È infatti necessario che questi aspetti del funzionamento personale vengano approfonditi all’interno di una relazione di fiducia che consenta di agirli, giungendo dove l’esperienza di gruppo nelle lezioni di formazione, pur attente alla dimensione personale emotiva e corporea, non riescono a giungere. Bruno Bara era consapevole delle criticità della terapia didattica, quali precedenti terapie in corso, aspetti economici, aspetti valutativi impliciti, i rischi di abuso, ma riteneva prioritario che il terapeuta potesse sperimentare in prima persona cosa significhi esplorare le proprie parti oscure e dolenti e, accanto a questo, avere la possibilità di esplorare in vivo e apprendere in prima persona la relazione terapeutica.
Rossella Costantino e Carla Vandoni approfondiscono la coerenza e l’integrazione, nel pensiero e nell’insegnamento di Bruno Bara, fra l’esperienza terapeutica e l’esperienza didattica con gli allievi psicoterapeuti. La dimensione relazionale, sincronica, la consapevolezza, la sospensione del giudizio fino alla cura del benessere del terapeuta sono i punti centrali di una proposta formativa consapevole della “impossibilità della tecnica” in senso stretto, ossia dell’impossibilità della trasmissione del mestiere psicoterapeutico come semplice insieme di competenze dichiarative e, da qui, la necessità di una modalità didattica esperienziale e procedurale che ponga l’accento sulla soggettività e la crescita personale del terapeuta.
Alla psicoterapia dell’età evolutiva, all’interpretazione dei sogni in una visione cognitivista, alla psicosomatica, alla meditazione e alla mindfulness, tutti temi cari a Bruno Bara, è dedicato un contributo ciascuno di autori che proprio su questi temi hanno collaborato strettamente con Bruno.
Emanuela Iacchia accompagna il lettore nel mondo della psicoterapia dell’età evolutiva, dove la concretezza dell’espressione emotiva non permette astrazioni e metafore e dove la cura della relazione terapeutica con il bambino implica l’accoglienza e la declinazione delle richieste genitoriali, spesso espresse con aspettative urgenti e irrealistiche mosse dall’affaticamento e dalla preoccupazione. Qui l’insegnamento di Bruno Bara si declina nell’uso del genogramma affettivo, nell’attenzione a non dare per scontati gli esiti e le direzionalità del cambiamento, nel mantenere l’importanza del diventare consapevole dei suoi schemi di comportamento e nel non scivolare nell’offrire in termini affettivi ciò che manca al paziente, bambino, adolescente o adulto che sia. Attraverso l’esemplificazione di casi clinici ed il racconto della delicata presenza e partecipazione di Bruno Bara, con il quale ha condiviso lo studio per alcuni anni, Iacchia riporta il suo insegnamento sulla faticosa consapevolezza di non dover allontanare la sofferenza dal paziente, ma piuttosto riuscire a stare nella sofferenza, stando insieme al paziente.
Romina Castaldo analizza l’originale contributo di Bruno Bara al campo dell’interpretazione dei sogni. Le attuali neuroscienze evidenziano come i sogni siano in grado di generare esperienze sensoriali e narrative complesse ma che minimizzano le funzioni di controllo e razionalizzazione tipiche della veglia, favorendo l’emergere di una libertà espressiva ed emotiva che ben si coniuga con l’assunto del cognitivismo costruttivista secondo cui le emozioni influenzano i pensieri. Da qui l’importanza di aiutare i pazienti a esplorare la loro esperienza soggettiva, emotiva e corporea nel sogno al fine di condurli verso una più profonda autocomprensione. Sogno sognato, sogno ricordato e sogno narrato sono le trasformazioni progressive del contenuto onirico prima di divenire raccontabile, mediante un ordinamento all’organizzazione di conoscenza personale. Dal piano non intenzionale alla comunicazione intrapersonale e poi interpersonale, le fasi interpretative del sogno consentono, nel lavoro clinico, il riconoscimento dei frame utilizzati nella vita quotidiana del sognatore. Spetterà al paziente, come sempre, la responsabilità eventuale di modificarli.
Angelo Picardi esamina il rapporto fra malattia e persona, evidenziando il rischio che il clinico, nel curare la patologia, dimentichi il ruolo complementare di prendersi cura del malato. All’interno della medicina la psichiatria come disciplina ha aperto alla fondamentale possibilità di misurare variabili soggettive quali la qualità della vita, la disabilità e il funzionamento. Nello scritto vengono passati in rassegna i contributi storici di diversi autori, fra i quali Jaspers che vede nel medico non un semplice tecnico e afferma l’importanza dell’esplorazione dei sentimenti del paziente rispetto alla sua patologia, e Binswanger che invita a cercare di ricondurre globalmente i sintomi a un altro tipo di ordine e a interpretare i dati clinici come particolari modalità della presenza della persona nel mondo. In linea con l’attenzione posta sull’esperienza della persona di fronte al corpo malato si situa il contributo di Bruno Bara, sia come autore di un volume a questo dedicato, sia come “visionario” promotore di un corso di laurea di Scienze del Corpo e della Mente.
Infine, Steven Small, amico storico di Bara che condivideva con lui l’interesse nella pratica e negli effetti della meditazione sul benessere personale, ci illustrerà alcune ricerche recenti in merito. L’articolo parte da una definizione della neurobiologia e delle tecniche di neuroimmagine poi descrive le basi biologiche dell’empatia e dei principali interventi che possono migliorare le capacità empatiche e infine si focalizza sulle pratiche di meditazione di gentilezza amorevole così come proposte da Ezra Bayda nei suoi seminari presso il Centro Zen di San Diego.

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