Una premessa alla process-based therapy
Negli scorsi decenni sino ad oggi, i dati derivati da moltissimi trial clinici randomizzati hanno dimostrato che i protocolli di trattamento basati sulla CBT portavano a significativi miglioramenti nei sintomi (che si riferivano a specifici disturbi riconosciuti con specifiche etichette diagnostiche) rispetto ad altre forme di intervento (Butler et al., 2006; Hofmann et al., 2012).
Allo stesso tempo, i progressi nei trattamenti analizzati attraverso i trial clinici sono stati abbastanza stabili, ad esempio relativamente ai disturbi d’ansia non spostandosi da una percentuale di efficacia/miglioramento sintomatico del 50% dei casi trattati e analizzati (Loerinc et al., 2015; Springer et al., 2018). Secondo Ong, Hayes e Hoffmann (2022) questi dati chiamano in causa una riflessione critica sulla generalizzabilità dei risultati e dunque sulla necessità di comprendere al meglio l’altra parte di pazienti non rispondenti (Ong et al., 2022; Molenaar, 2004). La generalizzabilità dei risultati degli studi quindi ha a che fare con la generalizzabilità dei protocolli che vengono testati, evidenziando la necessità di considerare un grado di flessibilità per rispondere efficacemente all’esigenza di personalizzazione della terapia che abbia aspetti di specificità per ciascun paziente (Rubel et al., 2018; Fisher et al., 2019).
Assumendo una prospettiva idiografica, la ricerca sull’efficacia dei trattamenti deve quindi sforzarsi di considerare la famosa questione: “What treatment, by whom, is most effective for this individual with that specific problem, and under which set of circumstances?” (trad. Quale trattamento, da parte di chi, è più efficace per questo individuo con quel problema specifico e in quali circostanze?) (p. 111, Paul, 1967).
Che cosa è la process-based therapy
La Process-Based Therapy (PBT; Hofmann and Hayes, 2019; Hayes et al., 2020a) è un innovativo sviluppo della psicoterapia cognitivo comportamentale tradizionale. Pur partendo da essa, incentra il proprio operare non solo su tecniche che si riferiscono alla psicoterapia cognitivo-comportamentale standard ma anche sulle terapie di terza ondata. Integra, infatti, come parte essenziale, il lavoro sui processi transdiagnostici alla base dell’eziologia e del mantenimento di molteplici e diversi disturbi psicopatologici e la sofferenza psicologica nella sua complessità, non accontentandosi di ridurla a etichette diagnostiche.
La process based therapy riflette una concezione della psicopatologia e della sofferenza psicologica individuale come un network di processi ed elementi bio-psico-sociali interconnessi che arrivano a formare una rete causale e dinamica specifica e unica per ciascuna persona. In altre parole, se anche due persone arrivano in terapia con problematiche simili, il loro trattamento può variare ed essere adattato a seconda del network specifico di fattori implicati nell’esordio e mantenimento del problema e della sofferenza psicologica.
La process based therapy viene definita dagli stessi autori (Hofmann and Hayes, 2019) come un “nuovo modello di trattamento psicologico personalizzato evidence-based”. Si tratta di un approccio all’assessment clinico, alla concettualizzazione e al trattamento che vuole essere, non una nuova terapia, ma un “modello dei modelli”, un nuovo framework attraverso cui leggere, organizzare e strategicamente implementare nel corso del trattamento diverse tecniche terapeutiche evidence-based, lungo dimensioni psicologiche chiave per l’adattamento a un dato contesto, a livello biopsicosociale e socioculturale (Hayes et al., 2022).
Il modello della process based therapy: Extended Evolutionary Meta-Model
Il modello dimensionale alla base della process-based therapy è chiamato EEMM – “Extended Evolutionary Meta-Model”, ed è considerato uno strumento di assessment dinamico idiografico per la comprensione del funzionamento e per la pianificazione del trattamento dell’individuo in sé in quanto inserito in uno specifico contesto. Attraverso questo strumento i clinici identificano le variabili chiave in relazione al problema portato dal paziente e ipotizzano parimenti in che modo queste variabili sono legate l’una all’altra.
L’unicità dell’individuo in uno specifico contesto assume un ruolo fondamentale: la process-based therapy vede la psicopatologia e la sofferenza psicologica come un disadattamento a uno specifico contesto dovuto a problemi e difficoltà nella variazione, selezione e ritenzione di processi biopsicosociali in diverse dimensioni e a diversi livelli (Hayes et al., 2020b). Considerando la complessità e l’interdipendenza di variabili e processi, il clinico cercherà di “perturbare” il network di processi disfunzionale e disadattivo del paziente, con l’obiettivo di costruire un network alternativo maggiormente adattivo e sostenibile.
Ritornando alla classica domanda di Paul, la process-based therapy arriva a chiedersi: “Quali processi chiave a livello bio-psico-sociale dovrebbero essere il target di trattamento per questo specifico paziente in tale contesto? E in che modo tali processi possono essere più efficacemente modificati?” (p. 2, Hayes et al., 2020a).
Quindi, la process-based therapy si caratterizza per il suo tentativo di superare le barriere dei trattamenti standardizzati e nomotetici, da una parte perché considera i processi di cambiamento e non tanto i sintomi, e per il tentativo di essere flessibile nell’includere le differenze individuali di ciascuna persona unicamente situata in un contesto.