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La trascendenza orizzontale della psichiatria fenomenologica

È possibile intendere, analogicamente, la 'fondazione fenomenologica della psichiatria' come una seconda navigazione delle scienze umane, vediamo come

Di Francesco Luigi Gallo

Pubblicato il 24 Gen. 2023

Per ‘allinearsi al modello delle scienze naturali’ la psichiatria organicista ha rischiato (e nelle sue avanguardie contemporanee rischia ancora) di perdere la ‘specificità dell’umano e quindi ciò a cui essa è naturalmente ordinata’.

 

 È nel dialogo intitolato “Fedone” (96 A – 102 A) che Platone, per bocca di Socrate, ci racconta come, deluso dalla ricerca dei “fisici” scoprì, mediante la ‘seconda navigazione’ (δεύτερος πλοῦς), il mondo soprasensibile, cioè il mondo delle Vere Cause delle cose di ‘quaggiù’. Tutto cambiò: ogni cosa che prima risultava contraddittoria, inspiegabile ed enigmatica ebbe un senso da questa scoperta che stravolse per sempre la fisionomia spirituale dell’Occidente. La ‘seconda navigazione’ platonica fu verticale: il grande filosofo ateniese scoprì il Fondamento del Tutto, non la ragione di qualche ente in particolare.

C’è un senso in cui è possibile intendere, analogicamente, la ‘fondazione fenomenologica della psichiatria’ come una seconda navigazione delle scienze umane. La prima navigazione, quella naturalistica e positivistica, era sfociata in una concezione organicista dell’uomo per cui l’universo della sua vita psichica era concepito come il prodotto dell’attività cerebrale e i disturbi mentali come la conseguenza, naturale, di disturbi del cervello.

Per comprendere pienamente la necessità di un superamento di questo modo d’intendere l’uomo che maturò nelle menti di alcuni importantissimi psichiatri del secolo scorso, è possibile fare riferimento a tre episodi estremamente significativi che C. Trabucchi racconta in “Curare la psiche elevando lo spirito”. Nei primi anni della sua direzione ospedaliera a Verona (diresse l’Ospedale Psichiatrico di Verona dall’estate del 1947 fino al 1972) ricorda di aver condotto una paziente da uno psichiatra ‘di grido’ il quale, sorridendo, affermò: ‘cosa importa a me, come psichiatra, sapere se una è sposata o no…’ (ivi, p. 28).

Il secondo episodio si verificò in occasione di un Convegno quando Trabucchi ascoltò due cattedratici affermare: ‘ne abbiamo già abbastanza di studiare la psichiatria…mancherebbe altro che ci dovessimo anche curare delle situazioni ambientali dei nostri malati …’ (ibidem).  Il terzo, emblematico, episodio raccontato dallo psichiatra riguarda lo stupore (misto a scherno) con cui un collega accolse questa ‘diagnosi’ di una sua paziente: ‘mancanza di senso morale con gravi disordini della condotta’ (ibidem). Sembrava strano al collega che Trabucchi, in una diagnosi psichiatrica, avesse usato il termine ‘morale’: troppa soggettività in un settore in cui tutte le attenzioni dovevano essere scientificamente concentrate sul cervello, in quanto organo fisico oggettivabile.

Per salvaguardare l’infinita ricchezza dell’umano, la psicologia non può costituirsi né epistemologicamente né metodicamente sul modello delle scienze naturali. Giustamente U. Galimberti ha spiegato che ‘[…] la scienza non ha rapporti con la “verità”, perché ciò che essa produce sono solo proposizioni esatte, cioè “ottenute da [ex actu]” le premesse che sono state anticipate, per cui accostare lo psichico “scientificamente” non significa trovare la verità dello psichico, ma semplicemente il risultato che un certo metodo ha prodotto’ (U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, p. 106).

È ancora Galimberti a ricordare quel monito di Binswanger che suona come un gong nelle coscienze degli psicologi, psicopatologi e psicoterapeuti: ‘si tenga ben fermo che cosa significa essere un uomo’ (U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, p. 222). Ma è impossibile cogliere la verità dell’uomo dopo averlo oggettivato, sezionato e spogliato di quella coscienza intenzionale che lo lega indissolubilmente e intenzionalmente ad un mondo ricco di sfumature e significati esistenziali inintelligibili per un metodo finalizzato alla mera classificazione diagnostica e alla fredda e sterile misura degli episodi sintomatologici.

A questo proposito è giusto ricordare che nella seconda navigazione in campo psicologico un momento fondamentale è costituito dalla pubblicazione della “Psicopatologia Generale” (Allgemeine Psychopathologie) di K. Jaspers che, in un passo davvero memorabile, ha scritto: ‘il nostro lavoro di ricerca infine deve mantenere quale orizzonte ultimo la coscienza dell’omnicomprensivo dell’umano in cui tutto quanto si può ricercare empiricamente rimane sempre una parte, un aspetto, una relatività e ciò anche se fosse la totalità empiricamente più completa. Al limite di ogni conoscenza umana rimane il grande problema che cosa sia propriamente l’uomo [neretto e corsivo miei]’ (K. Jaspers, Psicopatologia Generale, p. 33).

È sulla strada aperta da questo tipo di considerazioni che s’incontra, nella Psicopatologia Generale, quella fondamentale distinzione tra spiegare (erklären) e comprendere (verstehen) che mette a fuoco due precise modalità di approccio all’umano: ‘[…] la spiegazione può essere chiamata riduzione, perché, a differenza della “comprensione” che si accosta all’oggetto da comprendere nei suoi stessi termini, allo scopo di vedere in esso le strutture che emergono dal suo versante e non dal versante di chi indaga, la “spiegazione”, invece di parteciparsi all’oggetto affinché esso ceda la propria essenza (Wesen) a noi che la comprendiamo, riduce ciò che appare a ciò che essa considera le leggi ultime o la realtà ultima dei fenomeni che appaiono. In questo senso, precisa Jaspers: “è possibile spiegare pienamente qualcosa senza comprenderlo”’ (U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, p. 178).

Per ‘allinearsi al modello delle scienze naturali’ la psichiatria organicista ha rischiato (e nelle sue avanguardie contemporanee rischia ancora) di perdere la ‘specificità dell’umano e quindi ciò a cui essa è naturalmente ordinata’ (cfr. U. Galimberti, La casa di psiche, p. 228). L’analogia con il Fedone di Platone è perfetta ed emblematica. In 99 A-B, il grande filosofo ateniese, sempre per bocca di Socrate, scrive: ‘Se uno dicesse che, se non avessi queste cose, cioè ossa, nervi e tutte le altre parti del corpo che ho, non sarei in grado di fare quello che ritengo di fare, direbbe bene; ma se dicesse che io faccio le cose che faccio proprio a causa di queste, e che, facendo le cose che faccio, io agisco, sì, con la mia intelligenza, ma non in virtù della scelta del meglio, costui ragionerebbe con assai grande leggerezza’.

In questo passo cosa ha tentato di dirci Platone? La risposta è solo superficialmente semplice, ma in realtà è rivoluzionaria e abissale: restando nella dimensione delle dinamiche causali materiali ed efficienti, per usare note espressioni aristoteliche, niente di quello che ci sta intorno risulterebbe fino in fondo intelligibile. È esattamente questa considerazione che ha spinto Platone alla seconda navigazione. Trasposta analogicamente sul terreno della psichiatria e della psicoterapia, questa critica radicale vecchia di due millenni è ricalcata fedelmente dalla distinzione jaspersiana tra spiegazione e comprensione ed è alla base di quel rivoluzionario approccio ‘comprensivo’ all’uomo peculiare ‘delle scienze umane fenomenologicamente fondate’ (U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, p. 15). Così come Platone è approdato al regno delle Idee, cioè a quel luogo metafisico che è causa Formale e Finale del mondo di ‘quaggiù’, la seconda navigazione fenomenologica è approdata ad una concezione dell’uomo nella quale a) l’inesauribilità delle sue dimensioni interiori irriducibili ad una mera struttura neurobiologica e b) l’imprescindibile relazione con il ‘suo mondo’ appaiono come i pilastri fondamentali.

Sul primo pilastro resta insuperabile, per chiarezza e profondità, un’immagine utilizzata da Jaspers nella sua “Psicopatologia Generale”: ‘il problema di come si costruisce, si ordina, si articola tutto questo sapere, diventa l’esigenza di sintesi di tutta la conoscenza. Noi ripetiamo che questo è possibile solo metodologicamente, e non come teoria dell’essere umano. La sintesi non è come la carta di un continente, ma come la carta delle possibilità di viaggio in esso. Ma a differenza del continente geografico, l’uomo non può essere tutto oggetto della nostra conoscenza. È questo appunto che lo distingue dall’esistenza di un oggetto anche grandissimo, e cioè che in tutta la natura egli ha la posizione eccezionale di essere libero [neretti e corsivi miei]» (p. 797).

La comprensione dell’umano non si esaurisce nell’oggettivante pratica diagnostica che intrappola il paziente riducendolo ai suoi sintomi, ma si realizza, senza mai concludersi definitivamente, nelle indeterminate possibilità di viaggio all’interno di quel misterioso e labirintico mondo della soggettività umana. Solo a questa condizione è possibile il riscatto della ‘psicologia dalla psicofisiologia’ (U. Galimberti, La casa di psiche, p. 238) nel pieno rispetto della multiforme e a tratti inaccessibile natura umana.

Sul secondo pilastro, invece, è opportuno considerare quanto L. Binswanger ha detto nella famosa conferenza dedicata a La psichiatria come scienza dell’uomo: ‘vorrei accennare preliminarmente solo al fatto che non si può adempiere il compito psichiatrico di comprendere e descrivere disturbi psichici in primo luogo nella loro essenza propria, cioè come modificazioni della struttura dell’essere-nel-mondo, limitandosi a fornire un rigido schema o una determinata ricetta. Di regola, lo scopo sarà quanto prima raggiunto, sottoponendo all’indagine innanzi tutto il modo della “mondità”, sia come modo di spazializzazione, di temporalizzazione o, come la psichiatria doveva ancora imparare nel suo campo, nella sua materialità o consistenza (solidità, durezza, mollezza, ariosità, focosità, ecc.), nella sua apertura-illuminata [Belichtung], luminosità, colorazione, nella sua “altezza” e nella sua “profondità”, pesantezza e leggerezza, calorisità o freddezza, nella pienezza e nella vacuità, nell’ascendere e nel cadere, ecc.’ (L. Binswanger, La psichiatria come scienza dell’uomo, p. 45).

Se ‘la psicologia non ha a che fare con un soggetto privo del suo mondo [weltloses Subjekt] perché un simile soggetto non sarebbe altro che un oggetto’ (L. Binswanger, La concezione eraclitea dell’uomo, p. 101) allora è vero che la seconda navigazione fenomenologica è anch’essa approdata, come quella platonica, alla Trascendenza, ma non quella “verticale” che spiega tutta la realtà, ma quella “orizzontale”, cioè quella che determina lo spazio esistenziale dell’altro che si pone di fronte al terapeuta e/o allo psichiatra. È a partire da queste considerazioni che può essere compreso il principio metodologico della psichiatria fenomenologica che raccomanda allo specialista, come direbbe C. Rogers, di ‘raggiungere lo schema di riferimento del cliente, per arrivare al centro del suo stesso campo percettivo […]’ (C. Rogers, Terapia centrata sul cliente, p. 29) e di cercare ‘il criterio di comprensione dell’esistenza nell’esistenza stessa, che nel suo modo di vedere (Umsicht) e di indicare il significato (Bedeutung) delle cose, offre da sé la chiave interpretativa del proprio modo di essere-nel-mondo’ (U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, p. 225).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • BinswangerL., Per un’antropologia fenomenologica, Feltrinelli, a cura di F. Giacanelli, prefazione di U. Galimberti, Milano, 1970.
  • Binswanger L., La psichiatria come scienza dell’uomo, Mimesis, a cura di M. B. D’Ippolito, Milano, 2013.
  • Galimberti U., La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla pratica filosofica, Feltrinelli, Milano, 2005.
  • Galimberti U., Psichiatria e fenomenologia, Feltrinelli, Milano, 2011.
  • JaspersK., Psicopatologia Generale,a cura di R. Priori, Il Pensiero Scientifico, Roma, 2000.
  • Rogers C., Terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia, a cura di L. Lumbelli, Firenze, 1997.
  • TrabucchiC.,Curare la psiche elevando lo spirito, Editrice Queriniana, a cura di A. Nazzaro, Brescia, 1988.
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