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La supervisione (2022) di Nancy McWilliams – Recensione

Nancy McWilliams spiega come l'obiettivo della supervisione sia il benessere dei pazienti dei clinici, in un nuovo libro ricco di spunti di riflessione

Di Antonio Scarinci

Pubblicato il 16 Set. 2022

Il libro “La supervisione” si rivolge a psicoterapeuti di prospettive teoriche diverse e mette in evidenza come la qualità di una supervisione sia indipendente dall’orientamento teorico di chi la mette in atto.

 

Il libro si apre con una citazione di Watkins che definisce la supervisione:

Un metodo educativo o un intervento in cui un professionista più anziano della comunità psicoanalitica, con maggiori conoscenze ed esperienza clinica, stabilisce un rapporto professionale con un collega più giovane, con minori conoscenze ed esperienze … per promuovere la crescita professionale e accrescere le competenze cliniche e concettuali del più giovane; tale relazione è di tipo valutativo e gerarchico, si sviluppa nel corso del tempo e prevede un processo di monitoraggio e controllo della qualità del lavoro del clinico (Watkins, 2011, p. 403).

 Relativamente a questa definizione dovremmo tener presente che la supervisione, o l’intervisione tra pari, sono pratiche che dovrebbero accompagnare uno psicoterapeuta, indipendentemente dalla sua età, per tutto il periodo dell’attività professionale. L’autrice, di orientamento psicoanalitico, in più parti del testo sottolinea tale necessità.

Il libro si rivolge anche a psicoterapeuti di prospettive teoriche diverse e mette in evidenza come la qualità di una supervisione sia indipendente dall’orientamento teorico di chi la mette in atto, avendo come obiettivo di sviluppare uno stile di lavoro che ben si adatti al terapeuta e ai suoi pazienti, sfuggendo al rigore dell’ortodossia del modello teorico.

Per la McWilliams più che l’apprendimento del modello teorico, ciò che conta sono le intuizioni dei supervisori esperti. Sebbene riconosca che la formazione mirata a sviluppare competenze specifiche e pratiche cliniche ad hoc abbia un suo valore, pensa che vada considerata una visione ampia del percorso di crescita professionale da non ridurre all’insegnamento di procedure: “Se fossi stata formata in una serie di interventi manualizzati per sindromi sintomi-specifiche, penso che sarei incorsa in burnout all’inizio della mia carriera”.

A questa idea centrale del suo lavoro si contrappongono una serie di studi empirici presenti in letteratura che suggeriscono viceversa che l’aderenza ad un modello teorico ben preciso favorisca una migliore efficacia della supervisione (Scarinci, Barnabei, Mezzaluna, 2021).

Si può certo concordare sul fatto che fare supervisione comporti delle competenze specifiche e diverse dal fare clinica: autorevolezza, maturità, capacità raffinate di ragionamento clinico, ma la conoscenza approfondita del modello di riferimento rimane un presupposto di base. Come sosteneva De Silvestri bisogna imparare prima di tutto a suonare il violino, poi ogni musicista lo suonerà in modo personale, tenendo in considerazione che di Paganini ce n’è uno solo. D’altra parte l’impostazione della Mc Williams fornisce accenni alla possibilità di sottoporre la supervisione a prove di efficacia che riguardano gli effetti sul supervisee, sul paziente e sul processo terapeutico, e questo risulta essere un campo ancora tutto da esplorare.

L’autrice propone una riflessione già nel primo capitolo sugli obiettivi e i processi implicati nella supervisione e continua dedicando il secondo a ricostruire la storia della supervisione psicoanalitica, discutendo se si debbano trattare i supervisionati, insegnare loro le tecniche o favorire una crescita professionale complessiva. Quindi dichiaratamente assume essa stessa un modello di riferimento, naturalmente auspicando che il contributo che fornisce possa risultare utile anche a supervisori e professionisti che adottano approcci diversi.

Effettivamente il libro è pieno di spunti di riflessione utili anche per chi non è di stretta osservanza psicodinamica.

Due questioni controverse che sono emerse in modo ricorrente nella letteratura clinica sono messe in risalto e riguardano gli obiettivi della supervisione: “insegnamento versus trattamento” e “trasmissione di competenze versus promozione della maturazione”.

Il capitolo terzo si sofferma su cosa valutare, quali sono i progressi in terapia psicodinamica, considerato che non ci si può limitare a considerare i soli sintomi, con una velata critica ad altri modelli che punterebbero piuttosto a trattarli in modo preminente.

L’autrice sostiene che un obiettivo fondamentale della supervisione è il benessere dei pazienti dei clinici in supervisione e indica una serie di “segni vitali di cambiamento psicologico, diversi dai criteri riduzionistici legati al sintomo che la maggior parte dei ricercatori adotta per valutare l’esito dei trattamenti manualizzati brevi” che andrebbero monitorati: maggiore sicurezza nell’attaccamento; costanza di sé e dell’oggetto; senso di agency (autonomia, autoefficacia); autostima realistica e affidabile (narcisismo sano); resilienza, flessibilità e regolazioni degli affetti (forza dell’io); funzione riflessiva (insight) e mentalizzazione; benessere in contesti collettivi e individuali; vitalità, accettazione, perdono e gratitudine, amare, lavorare e giocare.

 Nel quarto capitolo sono trattati il contratto di supervisione per una condivisa alleanza di apprendimento, la formulazione di obiettivi realistici nel trattamento e la promozione di una maggiore franchezza e onestà nella diade di supervisione. In questo processo è fondamentale avere rispetto dell’intelligenza emotiva, delle capacità intuitive e delle buone intenzioni dei supervisionati, dando spazio alla discussione delle diverse soluzioni ai dilemmi clinici e provare a immaginare l’esito di ciascuna opzione.

Il tema della consultazione e della supervisione di gruppo è trattato nel quinto capitolo. Il gruppo fornisce una base sicura per comparare i vissuti e fare luce su eventuali punti ciechi, migliorare le conoscenze e la padronanza delle procedure di trattamento.

Nel capitolo successivo, attraverso alcune vignette cliniche, sono proposti una serie di problemi di natura etica: dilemmi etici in relazione al migliore interesse del paziente, del terapeuta e della comunità.

Al tema della formazione negli istituti psicoanalitici e delle caratteristiche della supervisione in questo ambito è dedicato un capitolo specifico, anche se molte riflessioni sono sparse anche in altri capitoli. Molto interessante è l’accentuazione che è posta sul fatto che non esiste virtualmente alcun accordo all’interno del campo psicoanalitico in merito a come definire quali siano le qualità di un analista competente. Il problema è alla riflessione di tutte le scuole di specializzazione di qualsiasi indirizzo, unitamente a quali caratteristiche dovrebbero appartenere a un supervisore. In merito a questi temi sarebbe necessario un investimento maggiore nella ricerca. D’altra parte la Mc Williams fornisce una serie di esemplificazioni sulle dinamiche tra analista e supervisore che vanno affrontate e, siccome la ricerca è ancora in uno stato embrionale, non vi è un accordo su quale dovrebbe essere il ruolo del supervisore, sulla valutazione, su cosa è più utile per la maturazione dei candidati e su quale relazione intercorre tra la supervisione e l’ottenimento del titolo, anche se negli ultimi tempi si vanno mettendo a punto criteri didattici.

Per l’autrice ogni diade paziente-terapeuta è unica, come ogni combinazione composta da supervisore e supervisionato, nonostante ciò nell’ottavo capitolo sono generalizzate “le dinamiche di alcune tendenze psicologiche che possono riguardare entrambi i componenti della relazione di supervisione” con riferimento a tratti di personalità specifici di ognuno dei due. Una parte molto interessante di questo capitolo riguarda alcune riflessioni circa le possibili strategie per ridurre l’impatto dei problemi che si possono presentare.

Il contributo si chiude con un capitolo, il nono, in cui si offrono una serie di consigli pratici, riteniamo genericamente condivisibili, perché con la supervisione si raggiungano almeno due obiettivi:”sviluppare una voce guida di supervisore interno e imparare a capire quando si ha bisogno del supporto della supervisione e come ricercarla nel corso della propria carriera”.

Il libro è sicuramente un testo da leggere per chi opera nella formazione degli psicoterapeuti e per chi svolge supervisione perché, nonostante il modello teorico di riferimento sia dichiarato, le riflessioni contenute e gli spunti su alcuni temi sono utili per tutti quanti operano nel campo.

 

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Antonio Scarinci
Antonio Scarinci

Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Mc Williams, N. (2022). La supervisione. Teoria e pratica psicoanalitiche, Milano: Raffaello Cortina Editore.
  • Scarinci, A., Barnabei, M. C., Mezzaluna, C. (2021). L’importanza della supervisione. In Scarinci, A., Lorenzini, R., Mezzaluna, C. Orientamenti in terapia cognitivo-comportamentale. Dalla formulazione del caso alla ricerca sull’efficacia, Roma: Franco Angeli Editore.
  • Watkins, C.E., Jr. (2011), “Celebrating psychoanalytic supervision: Considering a century of seminal contribution”. In Psychoanalytic Review, 98, 3, pp. 401-418.
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